Questa volta è toccato a Paola Cortellesi, a un paio di frasi dette su Biancaneve e Cenerentola. Non c’è un video, non c’è il suo discorso disponibile, ma tre frasi bastano per leggere e ascoltare interventi sulla purezza della fiabe. “È utile ricordare che le fiabe sono nate dalla cultura orale popolare e sono state riscritte e raccontate in modo diverso, nel corso del tempo e nei diversi luoghi del mondo… – scrive Rosaria Gasparro – Di Cenerentola esistono 300 versioni, studiosi del folklore ne contano addirittura 700. Rodari ci ha insegnato che le fiabe possono rovesciarsi, farne insalate, e che anche il lupo ha diritto a una sua versione…”. Una domanda, infine: quel discorso sulle identità delle tradizioni delle fiabe che non si toccano a quale mulino porta l’acqua?

Lo so che ogni giorno qualcuno/qualcuna si sveglierà presto e correrà più degli altri per essere pronto scalpitante e preparato per la polemica del giorno, per esprimere in maniera perentoria e competente la propria opinione senza badare troppo ai fatti – spesso ignorandoli deliberatamente o affidandosi a qualche frase estrapolata da un contesto che non si conosce – o semplicemente per lucidare il proprio livore quotidiano, per tenerlo sempre efficiente e scaricarlo addosso al nemico del giorno, meglio se nemica, colpevoli di non pensarla come i nostri savonarola social, così lesti e probi nel fustigare chi tocca la tradizione. Questa volta è toccato a Paola Cortellesi, a due/tre frasi dette su Biancaneve e Cenerentola. Non c’è un video, non c’è il suo discorso disponibile, ma tre frasi bastano. Bastano per leggere post dottissimi sul valore delle fiabe, Propp e Calvino, il loro valore simbolico, gli archetipi universali, la psicoanalisi, Jung e Bettelheim. Nessuno tocchi la letteratura per l’infanzia, i Grimm, Andersen, Perrault. Lasciateci i principi e le principesse, i sette nani e gli orchi, le matrigne e le streghe. Certo. Solo che è utile ricordare che le fiabe sono nate dalla cultura orale popolare e sono state riscritte e raccontate in modo diverso, nel corso del tempo e nei diversi luoghi del mondo.
Di Cenerentola esistono trecento versioni, studiosi del folklore ne contano addirittura settecento. La fiaba che tutti attribuiscono a Charles Perrault o ai Fratelli Grimm ha in realtà origini antichissime: risalirebbe infatti ad una storia dell’Antico Egitto, ambientata tra il sesto e il quinto secolo avanti Cristo. In quella versione la protagonista è la schiava Rodopi che riceve in dono dal suo padrone un paio di pantofole di oro rosso, suscitando la gelosia delle sue compagne. Quando il faraone Amasis inviterà tutto il popolo d’Egitto a un suo grande evento, Rodopi rimarrà a casa, con un sacco di faccende da terminare. Un falcone (il dio Horus) le porterà via una pantofola per portarla al faraone Amasis che, interpretando il segnale divino, deciderà di sposare la fanciulla del regno che calzerà perfettamente la pantofola.
Anche i Nativi Americani hanno la propria versione di Cenerentola. Una delle più antiche proviene dall’antica Cina, risale alla dinastia Tang e qui Cenerentola si chiama Yeh Shen. Giambattista Basile la scrisse in napoletano nel 1634, Charles Perrault nella seconda metà del XVII secolo, ed i Fratelli Grimm nel 1812, convertita poi in film animato da Walt Disney nel 1950. C’è la versione del vasetto magico nella fiaba persiana e quella russa Zolushka e l’africana Natiki.
Quando insegnavo, durante una ricerca fatta coi nonni e i bisnonni delle mie classi di allora, uscì fuori che anche noi avevamo la nostra versione di Cenerentola, si chiamava Maria delle galline. Orfana come in molte fiabe e povera. Aveva tanto da dire all’infanzia di allora, di bambini e bambine che vivevano e lavoravano in campagna, nelle masserie dei padroni, il principe qui non c’è. Il ragazzo rozzo, che umilia la ragazza sporca di lavoro, è il figlio del proprietario che ha la crusca negli occhi e la canigghje nel cervello, ma che alla fine saprà vedere la bellezza nascosta.
Rodari ci ha insegnato che le fiabe possono rovesciarsi, farne insalate, che anche il lupo ha diritto a una sua versione.
E questo discorso delle radici delle identità delle tradizioni delle fiabe che non si toccano a quale mulino porta l’acqua?
Mia madre mi raccontava sempre – quando non camminavo e stavo tante ore a letto in attesa di poter camminare come le altre – le sue storie. Erano un po’ inventate un po’ versioni rimaneggiate di altre esistenti. Quando le chiedevo di raccontarmi di nuovo la fiaba del giorno precedente, lei non la ricordava e la reinventava nuovamente. Io mi arrabbiavo perché il mio bisogno di conferme veniva meno. Non sapevo a chi aggrapparmi, in chi riconoscermi, su chi fare affidamento. Non è così, strillavo. Mia madre rideva e diceva: “Inventatela tu la fiaba che vuoi”.
Mi sentivo come Cenerentola che rimaneva a casa mentre le altre andavano alla festa. In seguito avrei finalmente camminato e avrei cercato la festa/la fiaba/la vita che faceva per me, con le illusioni perdute e la realtà guadagnata.