Il mondo degli adulti e le sue tragedie irrompono ogni giorno senza bussare nella vita di milioni di bambini e bambine. Nel tempo della crisi climatica e delle devastazioni ambientali, le guerre, la corsa agli armamenti, la crescita della povertà e il rischio di esplosioni nucleari disegnano un presente e un futuro oscuri. Non abituarsi a nascondere tutto questo sotto le macerie delle nostre coscienze resta, soprattutto per chi si occupa di infanzia e adolescenza, una priorità per ricominciare a raccontare ai più piccoli favole e storie ricche di senso, vita e stupore
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Gli anni Ottanta hanno rappresentato un tempo di confine tra ciò che era prima e ciò che sarebbe diventato dopo e la tragedia della guerra in Vietnam e quella nucleare di Chernobyl hanno segnato un tratto di questa linea di demarcazione temporale.
In quegli anni decisi di iniziare una ricerca che documentava le relazioni tra inquinamento, ambiente e infanzia. Non conta quello che si fa sul piano personale ma quanto questo si trasformi in un fare sociale. La documentazione curata per lungo tempo, portò alla realizzazione di una mostra fotografica e di dieci book di materiale che indagavano diversi settori e la loro interferenza su sviluppo, vita e salute dell’infanzia (aria, acqua, suolo, radiazioni, alimentazione, farmaci, povertà nel mondo, ecc..). L’obiettivo era far conoscere la ricerca in merito, suscitare interesse e presa di coscienza, mettere al centro la questione infanzia in tutti i suoi aspetti – familiari, sociali, ambientali, politici, mondiali – e su questo cominciare a comprendere e mettere in atto delle pratiche progettuali condivise con altri organismi e associazioni (come ad esempio è stato con il Mlal o il Cies) per iniziative sociali. Così è stato attraverso il CDIE/Centro Documentazione Iniziativa Ecologica, associazione di cui facevo parte fin dai primi anni Ottanta.
Se è vero che le idee e i movimenti sociali, con le loro direzioni, sorgono dalle pratiche dal basso, le pratiche politiche procedono, al contrario, dall’alto dividendo e separando il mondo, quello umano di sotto e quello dominante di sopra. A livello mondiale le guerre in atto, massima espressione di questa divisione del mondo, stanno facendo crescere l’interesse verso gli armamenti nucleari che si fanno sempre più minacciosi perché realistici, incombenti e diffusi nel mondo (nel gennaio 2023, l’inventario Sipri, l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace, ha contato circa 12.512 testate nucleari, 9.576 delle quali erano in scorte militari per un potenziale utilizzo, 86 in più rispetto al gennaio 2022, di queste, circa 3.844 testate sono dispiegate su missili e aerei, in uno stato di massima allerta operativa). Lo scenario ha avuto una forte accelerata in questi ultimi due anni, con la guerra in Ucraina e quella in Palestina. Diversi paesi, (in Europa, vale la pena di ricordare come Italia, Belgio, Germania, Olanda ospitano già testate nucleari statunitensi), continuano ad ampliare il loro arsenale nucleare con nuove testate, più sistemi di lancio, ampliando e diffondendo le loro tecnologie e i loro materiali nucleari. A queste preoccupanti avanzate mondiali corrispondono dei passi indietro sul versante della pace, su quello diplomatico e democratico, lasciando invisibili, sotterrati dalle macerie della guerra e dalle macerie delle coscienze mondiali, le migliaia di bambine e bambini uccisi in Palestina e nel mondo: nel 2023, 468 milioni di bambini – uno su sei in tutto il mondo – vivevano in una zona di guerra, 8.647 sono stati i bambini uccisi o mutilati, 27.638 i bambini vittime di gravi violazioni, 7.610 i bambini reclutati e utilizzati nei conflitti.
Intanto la Russia ha sospeso la sua adesione al trattato New Start, trattato per la riduzione delle armi nucleari sottoscritto nel 2010 e ha revocato la ratifica del trattato per la messa al bando totale dei test nucleari (trattato tra l’altro non firmato da otto paesi tra cui Stati Uniti, Cina e India). Gli Stati Uniti stanno attuando un piano programmatico per il rinnovamento dell’arsenale nucleare attraverso un investimento che prevede 1.500 miliardi di dollari, con l’aumento di nuovi “noccioli di plutonio” per le testate, con la modernizzazione delle infrastrutture di comando e di controllo e con il sistema di missili balistici intercontinentali per il trasporto delle testate nucleari (ICBM). Considerando questa spaventosa rincorsa agli armamenti nucleari, prende spessore l’esposizione ai rischi di guerre mondiali, l’elevato costo umano in termini di vita e anche in termini economici, nel breve e lungo periodo.
Il nocciolo di plutonio, per chi non lo sapesse, è il nucleo centrale della bomba ed è circondato da esplosivi convenzionali che quando scoppiano lo comprimono, scindendo gli atomi, rilasciando radiazioni e materiale radioattivo che si scarica direttamente nei terreni e nell’aria. Pensiamo a Los Alamos National Lab, New Mexico che continua a produrre noccioli come scorte di guerra e detonatori per le armi nucleari e pensiamo ai movimenti nati in New Mexico per le morti di cancro avvenute anche di recente a seguito del “Trinity Test” del 1945. L’avvio dell’era nucleare ha comportato tragiche conseguenze: il Progetto Manhattan, programma di ricerca in ambito militare portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche (quattro bombe atomiche) durante la seconda guerra mondiale di cui una, denominata “Little Boy” (mi chiedo ancora perché venne chiamata cosi?), fu anche la prima arma nucleare della storia a essere usata per il bombardamento di Hiroshima durante gli ultimi giorni della seconda guerra mondiale.
Un’altra angosciante notizia arriva dagli Usa: per la prima volta dalla fine della guerra fredda, gli Stati Uniti produrranno una testata (detta W87-1) che sarà fissata all’estremità dei nuovi missili Sentinel. È interessante notare anche come il rapporto reso obbligatorio dal National Environmental Policy Act dedicato ai potenziali effetti sugli ambienti umani e naturali del sistema Sentinel, non menziona i rischi più significativi in caso di attacchi ai sistemi missilistici. Un attacco ai silos missilistici produrrebbe polveri radioattive che si sposterebbero con i venti e che potrebbero uccidere milioni di persone, specie bambini, secondo una ricerca di indagine sul fallout radioattivo da parte di ricercatori americani (del Program on Science and Global Security, Princeton University).
Nei centri di ricerca nucleare sul tipo di Alamos, sparsi in tutti gli Usa, si trovano ancora vani e noccioli non rivestiti che risalgono al progetto Manhattan e che contengono sostanze come plutonio, uranio e trizio. Nel 2023 l’aviazione bonificò alcune strutture missilistiche nel Montana che contenevano PCB, policlorobifenili: 17 campioni prelevati alla base Warren sono risultati positivi al PCB.
Su questi temi hanno scritto in modo approfondito Abe Streep, giornalista che vive in New Mexico, e Sara Scoles, giornalista scientifica che vive invece in Colorado (in particolare sulla rivista Le Scienze, edizione italiana di Scientific American).
Che la temperatura salirà fino a diventare bollente ed esplosiva non è perciò solo un dato di realtà collegato al cambiamento climatico. Le questioni geopolitiche dei conflitti e delle guerre in atto richiamano indissolubilmente tutte le altre, quelle dei profitti delle industrie militari belliche e delle intelligenze artificiali, quelle sull’instabilità geopolitica, sui nazionalismi di stato, sui processi di militarizzazione in atto, sul bellicismo sociale che assorbe e ripropone un modello divisivo mondiale, sulle trasversali economie di guerra, sulle questioni ambientali mondiali (Pollutoma) e sulla vita di tutt* noi che viviamo questo mondo e questo tempo. Di certo, tutto questo, per le giovani generazioni segna un futuro oscuro e minaccioso.
Il mondo, dunque, rischia di essere attraversato sempre più spesso da catastrofi antropogeniche, dal Brasile (con il record assoluto di 1.161 calamità nel corso dell’anno e una deforestazione che ha registrato in sette anni un aumento del 129% insieme a un aumento del 495% dell’estrazione illegale e criminale di oro e minerali), all’Indonesia (che dopo il tragico tsunami del 2004 e i terremoti che si sono susseguiti, ha deciso di creare il Badan Rehabilitasi Rekonstruksi, l’Agenzia per la ricostruzione e la riabilitazione del territorio disastrato), passando per la Russia (dove solo la metà della popolazione ha libero accesso all’acqua potabile a causa delle falde e delle sorgenti inquinate dalle scorie radioattive e dai liquami delle discariche di immondizia). E l’Italia? Dal 2013 al 2023 sono stati spesi oltre 1,25 miliardi all’anno per gestire le emergenze meteoclimatiche e solo un decimo di questa cifra per la prevenzione ambientale. Pur esistendo sul nostro territorio nazionale oltre 30mila siti contaminati da sostanze quali amianto, diossine, idrocarburi, pesticidi, ci apprestiamo a spendere nel 2024, per esercito e armi – come ricorda la Rete Disarmo -, una spesa prevista dalla bozza di Legge di Bilancio presentata dal Governo di oltre 28 miliardi, con crescita annua del 5,5%.
Mentre scrivo mi affiora un’immagine recente: camminavo attraversando un paese. Intravedo un piccolo parco per bambin*, lo sguardo coglie la presenza di giochi fatti in materiale naturale, legno, mi avvicino a uno dei lati delle attrezzature installate e mi irrigidisco disorientandomi per ciò che vedo. Lì, insieme agli usuali giochi dei parchi, c’è un vecchio cannone militare, installato come fosse uno strumento ludico qualsiasi, invitante e accattivante, messo lì da adulti ignari e troppo distanti dalle loro infanzie, a disposizione dei bambin* per un gioco che gioco non è. L’immagine mi funziona da richiamo: penso alla piccola e sconosciuta isola di Anuta, nel Pacifico, con la sua esigua superficie, dove si pratica però un valore raro nel mondo, il principio sociale dell’aropa, che significa collaborazione, condivisione e compassione reciproca. La pratica dell’aropa nasce dalla consapevolezza del popolo che la abita, delle poche risorse disponibili su questa piccola isola, troppo lontana e isolata da qualsiasi lembo di altre terre. Questo fa sì che le risorse, bene primario per gli anutesi, vengano equamente condivise tra gli abitanti che mantengono un forte senso comunitario. Hanno compreso che nessuno si salva da solo e che la comunità può resistere solo sulle forme di collaborazione e compassione.
La pace è questa, è afferrabile, praticabile, non è utopia. È già presente ogni giorno nelle nostre scelte quotidiane, personali e politiche, non è ideologia, non è qualcosa di lontano da noi stessi, non appartiene a nessun partito né a qualche religione se non a quella umana, ”centro del mondo”. Ce lo grida il corpo senza vita di ogni bambino ucciso con le guerre. Perché i bambini non muoiono nelle guerre: vengono uccisi. Non ci sono né storie, né favole a lieto fine per loro, né un Paese delle meraviglie, solo macerie che lacerano i loro corpi sotterrandoli nei buchi neri delle nostre coscienze.
Scrive Cristina Nenna, autrice di libri per bambini, nel libro Il Centro del mondo (entrato in tante scuole con l’iniziativa di promozione del libro “Io leggo perché”):
“Nell’universo esistono buchi neri giganteschi, e da lì non esce niente, nemmeno un filo di luce”.
Riconsegniamo la guerra ad un unico destinatario: la storia.