Chi cerca alternative al cosiddetto Modello Caivano farebbe bene a leggere questo articolo. Non troverà la descrizione di un progetto ben pensato dall’alto e realizzato con molti soldi in qualche periferia urbana, con sgomberi e militarizzazione del territorio. Troverà invece una straordinaria storia ricca di spunti nella quale il “fare una città diversa” non è separato dal “fare un’educazione diversa”, in cui tante realtà di base hanno imparato a camminare insieme non rinunciando a confrontarsi e a scontrarsi con le istituzioni di prossimità, in cui ad abitare il territorio in modo nuovo sono stati prima di tutto bambini e bambine, ragazzi e ragazze appassionati di Hip Hop e di teatro, di murales e di breakdance, di rap e di favole, di giochi e di cartapesta… Si tratta, dicono da questa periferia complicata quanto visionaria, di cominciare dal desiderio di trasformare in profondità la scuola per cambiare la città, sperimentando una scuola in cui le strade e le piazze diventano aule diffuse… Il racconto comincia con queste righe: “«Diventerai un camorrista!!» questo Davide si sentiva ripetere a 14 anni dalla sua insegnante delle scuole medie….”. Vi anticipiamo il finale: “Ci dispiace deludere le aspettative dell’insegnante, oggi Davide è uno splendido trentenne che lavora nell’ambito della musica e ha creato una società in cui dà lavoro ad altri giovani del quartiere…”
«Diventerai un camorrista!!» questo Davide si sentiva ripetere a 14 anni dalla sua insegnante delle scuole medie. Dopo essere stato bocciato una volta in prima, poi in seconda, la scuola decise di fargli fare un percorso alternativo gestito da un’associazione accreditata in cui, con poche presenze e poche sapienze, conseguì la licenza media. Erano gli anni in cui a Scampia, periferia Nord di Napoli, si respirava il terrore della sanguinosa faida di camorra esplosa tra il 2004-2006, anni in cui sembrava che improvvisamente il mondo avesse scoperto ciò che avveniva in questa parte di città1, cosa che a noi, come a tutti gli abitanti del quartiere, era da tempo chiara.
Nessuno di noi abitava a Scampia2 ; ciò che ci avvicinò al quartiere fu l’attrazione per i gruppi Rom che, con storie migratorie, religioni e organizzazioni sociali diverse, nella periferia delle periferie, avevano
trovato in qualche modo accoglienza. Era il 1996, quando ci avvicinammo a loro, e da lì cominciò il nostro percorso con i bambini, le bambine, gli adulti, rom e napoletani. Prima realizzammo insieme una baracca-gioco all’interno del campo, poi iniziammo percorsi di laboratori ludico-creativi in spazi pubblici, fino a costruire un ambulatorio medico popolare3 dentro al campo. In breve, le rappresentazioni sociali precostituite con cui ci accostammo a quella cultura cominciarono a sbiadirsi in un intreccio di amicizie, scoperte, condivisioni, scambi, avventure affascinanti e sorprendenti: i rom ci insegnarono a sovvertire l’ordine delle cose e, per dirla con Piasere, a vedere il sole là dove prima vedevamo solo ombra.4
L’intensità dei contatti con la cultura rom, i maestri e le maestre5 incontrati nella nostra strada, insieme alle fondamentali condivisioni con altre persone attive in città in quel periodo, ha rivoluzionato le nostre vite mostrandoci concretamente che “fare educazione” non si può separare dal “fare città” e dal “fare politica”. Il nostro gruppo chiamato Com.pa.re (Comitato per l’assegnazione e realizzazione di soluzioni abitative non ghetto per i rom) ha così cominciato un lavoro educativo, sociale e politico di base in cui ci si è sperimentati parallelamente nel lavoro con i più piccoli e in quello con i più grandi, in un confronto dialettico, a volte aspro, con le Istituzioni locali che trattavano i rom come “nomadi da gestire” e non come cittadini residenti sul territorio da più di vent’anni. Nostro obiettivo: provare a costruire un ponte tra le due città presenti a Napoli: il mondo dei ricchi e quello dei poveri.
Fu un libro Come far passare un mammut attraverso una porta di Braucci M. e Zoppoli G., nato da un’idea di Goffredo Fofi (2005), a dare inizio nel 2005 a una lunga interlocuzione tra l’Assessorato alle politiche sociali della Regione Campania e i curatori del libro finalizzata a studiare il dramma in corso a Scampia. Il risultato fu nel 2007 la nascita del progetto Centro Territoriale Mammut a Scampia, con l’obiettivo di avviare una ricerca-azione che, partendo da un’accurata analisi del contesto, potesse mettere in campo delle azioni per il cambiamento sociale finalizzato al benessere dei cittadini e allo sviluppo del senso di collettività e comunità, con al centro una scuola ispirata alla pedagogia attiva (Zoppoli, 2011; Tagliavini e Zoppoli 2015). Il progetto vedeva l’associazione Compare capofila di una grande rete di realtà locali e nazionali.6
L’inizio fu un viaggio corridoio a Firenze con 10 adolescenti napoletani e rom7 della periferia nord di Napoli. Appassionati della cultura Hip Hop e di teatro, ognuno era portatore di una sua competenza: chi dipingeva murales, chi ballava breakdance, chi cantava rap, chi scriveva. Si partiva per fare un’azione di cura e riqualifica su uno spazio pubblico della città toscana insieme ai suoi abitanti. Al ritorno dal viaggio la progettazione per agire un cambiamento di uno spazio pubblico a loro caro alla luce delle esperienze vissute. Positiva la ricaduta dei viaggi corridoio nell’azione territoriale del Centro Territoriale Mammut8, indirizzata ai bambini, alle famiglie e alle loro scuole. Era come se i viaggi accendessero una miccia dentro i ragazzi che li portava a creare un legame forte tra loro e con noi educatori, psicologi, pedagogisti. Carichi dall’esperienza vissuta, in uno spazio come il Mammut, inserito nel loro quartiere, si sentivano parte di un
processo di trasformazione più ampio e collettivo che incideva su diversi livelli dal micro al macro. In un momento in cui per i media di tutta Italia Scampia era il quartiere delle droghe e della camorra, da lì partivano ragazzi, vitali ed energici, portatori di sensibilità, visioni e competenze da mettere a disposizione delle città ospitanti, con tanta voglia di liberarsi da etichette e stereotipi di cui erano vittime. I ragazzi hanno sperimentato nella vita reale qualcosa di diverso dalla loro rappresentazione sociale.
Erano gli ingredienti di Corridoio, la scuola del viaggio del Progetto Mammut; nelle nostre ipotesi di ricerca ci siamo immaginati così una scuola per adolescenti, corrispondente alle loro reali esigenze e interessi, uno spazio educativo che parte dalle curiosità e passioni, in cui si possono esercitare i talenti, riconoscere e sentirsi riconosciuti, sentirsi cittadini attivi e agenti di cambiamento.
Non era semplice, ma i numerosi risultati della nostra ricerca evidenziano la capacità del viaggio di mobilitare le risorse interne dei ragazzi, dare loro la possibilità di riguardarsi da lontano, uscire dai confini del proprio quartiere, sperimentare una dimensione di apprendimento reale, vivo, concreto, ricco di quella
«[…] dimensione sociale, che si realizza in una quotidiana molteplicità e varietà di rapporti – presupposto necessario per Ciari affinché avvenga – un’autentica formazione dell’intelletto aperto e critico» (Ciari, 2006, p.51).
Ma tornando a Davide, che “doveva diventare un camorrista”, ci dispiace deludere le aspettative della sensibile insegnante, oggi lui è uno splendido trentenne che lavora nell’ambito della musica, sua grande passione, che ha creato una società in cui dà lavoro ad altri giovani del quartiere, dimostrando sensibilità, talento e spirito imprenditoriale finalizzato allo sviluppo della sua comunità di appartenenza. Nel suo percorso individualizzato corridoio sperimentato al Mammut, ha coltivato le sue attitudini formandosi in diversi ambiti: educativo, musicale e organizzazione di eventi, diventando anche operatore del Centro Mammut. Crescendo, poi ha definito meglio i suoi interessi scegliendo di concentrare le sue energie sulla creazione di uno spazio dedicato alla musica che offre diversi servizi professionali. Il legame di profondo affetto e gratitudine con il Mammut è ancora vivo ed intenso e una frase che gli piace ripetere spesso è: «Gli incontri cambiano la vita!».
È inutile aggiungere, o forse è utile, che ciò che ha imparato Davide dagli scambi con gli adulti del Mammut è paritario a quello che loro hanno imparato da lui.
Come Davide, anche quei primi dieci viaggiatori del Corridoio fiorentino e tutti quelli che si sono susseguiti hanno continuato a crescere e fare esperienze tra viaggi e impegno territoriale al Mammut. Diventando dei fondamentali riferimenti per numerosi ragazzi e ragazze che negli anni si sono avvicinati al centro, in un virtuoso processo di reciproco scambio ed educazione tra pari, in un sistema etico e valoriale fondato sull’accoglienza dell’altro e la cooperazione, dove ognuno si è messo in gioco sperimentandosi nelle proprie attitudini e aprendosi al nuovo nel confronto con un contesto dinamico e multiculturale. Al Mammut ognuno ha dato e ricevuto qualcosa. I ragazzi avevano il loro spazio per coltivare e condividere le loro passioni (laboratorio di breakdance, rap, writing, disegno, musica, scrittura creativa, biciclette, cinema, teatro, e tanto altro) e al contempo offrivano le loro competenze a chi ne sapeva di meno, a chi aveva meno strumenti, contagiando passioni e costruendo una comunità che nel tempo ha preso il nome di Mammut Family.
Le evoluzioni che abbiamo vissuto nel tempo insieme ai ragazzi, i bambini, le famiglie, le maestre, i maestri, gli educatori, le scuole, la rete territoriale e nazionale, le istituzioni e tutti gli spazi pubblici della città che abbiamo rivitalizzato con la nostra anima-in-azione, sono state le diverse tappe della sperimentazione pedagogica, didattica ed educativa del Centro Territoriale Mammut. Nel confronto con le periferie del Sud, Centro e Nord Italia, in quegli anni di costruzione del progetto, ciò che era emerso è che le problematiche erano estremamente simili. Esse riguardano da un lato la crisi della scuola, una scuola tradizionale che ha perso per strada tutti i fondamentali insegnamenti di Bruno Ciari, Fabrizia Ramondino, Célestin Freinet, Maria Montessori, John Dewey, Mario Lodi, Danilo Dolci, Paulo Freire, Giuliano Scabbia e i tanti maestri e maestre che ci hanno accompagnato in questi anni di ricerca, ispirandoci e formandoci. Dall’altro la crisi della nostra società nei suoi valori di base.
Il Metodo Mammut costruito nel corso del tempo, facendo sintesi degli insegnamenti appresi è per noi bussola che ci dà direzione, passi, mappe di ricerca, azioni messe in campo, indicatori, programmazioni, valutazioni e riprogrammazioni, per ripartire ogni anno con un nuovo sfondo integratore e nuovi obiettivi di ricerca, frutto dei risultati di quella dell’anno precedente. Attraverso miti, leggende, favole, riti collettivi, gioco, pittura, creta, cartapesta, il teatro che diventa quartiere, in cui gli spazi pubblici diventano scenografia di un’architettura ludica che vede protagonisti bambini, ragazzi, insegnanti, cittadini. Negli anni le piazze, le strade, i cortili delle scuole, i parchi pubblici, il mare, la spiaggia, le metropolitane, i viaggi cittadini e non, sono stati per noi i principali alleati nel nostro modo di fare scuola, insieme alla partecipazione attiva dei cittadini nel prendersi cura degli spazi, beni comuni della città.
Con il Mito del Mammut ogni anno proviamo a trasformare la scuola trasformando la città. Sperimentando una scuola in cui le strade, le piazze diventano aule diffuse, luoghi di apprendimenti in cui dare spazio alle curiosità e al naturale spirito di ricerca dei bambini e dei ragazzi. In cui gli adolescenti si possono sperimentare nella cura dei più piccoli, sentendosi riconosciuti in un processo d’individuazione e i genitori e gli insegnanti possano ritrovare la fiducia nella loro capacità di determinare un cambiamento migliorativo nei loro contesti di vita. Allora è proprio vero: gli incontri cambiano la vita!
Note
1. Gomorra di Roberto Saviano edito da Mondadori ebbe in quegli anni un ruolo importante nella denuncia dello stato delle cose.
2. Il provenire da un altro quartiere ci permise di proporre visioni altre da quelle lì dominanti. Nel corso degli anni sono entrate nel gruppo persone del quartiere, cosa che ha favorito il confronto e la mescolanza di punti di vista ed una grande crescita collettiva.
3. Grazie all’impegno volontario del dott. Gianni Grasso.
4. L’antropologo Leonardo Piasere scrive: «I rom vedono il sole là dove i gagé vedono l’ombra». Il termine gagè è utilizzato dai rom per indicare le persone non rom (L. Piase-re, Educazione romani: uno scarto d’enfasi, in «Ecole», 2000, vol. 74, pp.10-13).
5. Tra i tanti Goffredo Fofi, Franco Lorenzoni, Felice Pignataro, Mirella La Magna e il GRIDAS – Gruppo Risveglio dal Sonno, Aldo Bifulco e il Circolo Legambiente La Gru, la Mensa dei Bambini Proletari, i Maestri e le Maestre del MCE e del 73° Circolo di Bagnoli “Madonna Assunta”.
6. Impossibile per ragioni di spazio nominarle tutte. Per un’informazione completa si rimanda il lettore alle note che accompagnano questo lavoro.
7. Nella costituzione del gruppo di adolescenti, molto importante è stato il bagaglio di affetti e relazioni costruito da membri di Compare anche all’interno di altre importanti esperienze vitali del territorio. Cfr.: https://www.arrevuoto.org/ e https://www.chiro-mechino.it/.
8. Il Centro Territoriale Mammut ha sede in Piazza Giovanni Paolo II di Scampia, grande piazza al centro del quartiere.
Tratto dal libro Buongiorno scuola! Cento anni con Bruno Ciari, a cura di Gruppo MCE “Centenario Bruno Ciari” (ed. Asterios). Il libro è frutto di numerose iniziative del Movimento di Cooperazione Educativa realizzate nel 2023, l’anniversario del centenario della nascita di Ciari, iniziative che hanno visto la partecipazione di insegnanti, docenti universitari, educatori, amministratori.