
“L’idea che la scuola debba servire ad addestrare i bambini alla fatica è un alibi pericoloso offerto a chi vuole evitare ogni cambiamento. In realtà i bambini sono capacissimi di fatica, di sforzi continuati, diretti a una meta: basta vederli giocare…”. Così rispondeva Rodari a tutti quelli che criticavano una scuola che cercasse di motivare i ragazzi suscitando la loro curiosità e mettendo in moto la loro immaginazione.
Se un bambino o un ragazzo a scuola si annoia, forse siamo noi che abbiamo fallito, siamo noi che non abbiamo ricercato abbastanza, non abbiamo avuto il coraggio di giocare anche noi con la nostra mente, di metterla in moto per non arrenderci, per tentare strade nuove, arroccati nelle nostre certezze.
“La fantasia non è “un’evasione, come è stata più volte definita, ma uno strumento della mente, capace di esprimere per intero la personalità o di entrare in gioco con altri strumenti delle personalità e formare una personalità più ricca”. (G.R.)
La parola in Rodari acquista centralità in quanto campo di creatività, nucleo minimo per la costruzione fantastica attraverso associazioni, innesti, opposizioni, scontri, rovesciamenti.
Bisogna partire, provare, ogni volta cercare “nuovi inizi”, lanciare uno stimolo che come:
“Un sasso gettato in uno stagno – dice Gianni Rodari – suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore… Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni… In un movimento che interessa l’esperienza, la memoria, la fantasia, l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente per accettare e respingere, collegare, e censurare, costruire e distruggere […]”
Partire dalle parole quindi, dal potere delle parole. Anche da una sola parola buttata magari lì a caso, senza troppa attenzione, possono nascere tantissime cose, si possono associare con altre parole simili, non difficili da trovare; “una parola urta l’altra, per inerzia. È difficile che ciò basti a far scoccare la scintilla. Ma non si può mai dire”.
La parole possono affondare nel mondo del passato, scivolare nella memoria e rotolando far affiorare presenze sommerse, ricordi, sensazioni apparentemente dimenticate. Con i bambini, allora, sarà bello “fare il gioco della memoria”. Qualsiasi parola potrà aiutarli a ricordare «quella volta che…», a scoprirsi nel tempo che passa, a misurare la distanza tra oggi e ieri, “sebbene i loro «ieri» siano, per fortuna, ancora poco numerosi e poco affollati”.
Oppure inventare temi fantastici: creare accostamenti insoliti tra due termini distanti del vocabolario, come ad esempio «cane e armadio» o «canzone e prigione». Il “Binomio Fantastico” che libera le parole dalle «catene verbali di cui fanno parte quotidianamente», per istituire fra di esse altre relazioni semantiche, per creare «un legame nuovo tra due elementi che il caso mette in contatto».
Ed ecco “L’ipotesi fantastica”: si consegna ai bambini un personaggio e li si sollecita a rispondere alla domanda: “Cosa succederebbe se?..”.
Divertente è anche la tecnica dei «prefissi arbitrari: accostare un prefisso qualunque a una parola scelta a caso. Ciò consente di inventare infiniti oggetti e personaggi fantastici, come la «bis-penna» che scrive doppio e che serve agli scolari gemelli o il «micro-ippopotamo» da allevare e che vive nell’acquario.
Ma c’è poi il «gioco dello sbagliare le storie»: per esempio, Cappuccetto Rosso che diventa Cappuccetto Giallo; il «gioco delle fiabe al rovescio» che trasforma una storia conosciuta in un suo opposto (Cappuccetto Rosso è cattiva e il lupo è buono). La Bella Addormentata che non si addormenta, il Principe che sposa la sorellastra brutta, mentre il Grillo Parlante e il Gatto con gli stivali si possono andare a trovare allo zoo.
Tra i più noti suggerimenti didattici di Rodari, vi è poi l’invito a mettere insieme un’«insalata di favole» a partire dall’accostamento di due personaggi di fiabe distinte in uno strano binomio fantastico: Cappuccetto Rosso e Pollicino, Pinocchio e i sette nani, Cenerentola e Barbablù e così via.
Quello che insegna lo scrittore è cambiare il punto di vista: chiedendo scusa alla formica, per esempio, l’autore ammette di stare dalla parte della cicala «che il più bel canto non vende, regala».
L’obiettivo di Rodari è insegnare a capovolgere, scomporre e ricostruire. Usando l’ironia e la leggerezza, non cerca mai il senso definitivo di ogni testo e concede al lettore solo suggerimenti.
Nelle sue filastrocche parla ai bambini del mondo degli adulti e agli adulti del mondo dei bambini. La vita è presente in tutta la sua complessità.
Compaiono le persone comuni, quelle che si incontrano tutti i giorni e di loro viene alla luce l’originalità: il vigile urbano – “Chi è più forte del vigile urbano?/Ferma i tram con una mano”, l’omino della gru “cielo a sinistra, cielo a destra,/ e non gli gira mai la testa” – e il ragioniere, che non è un semplice ragioniere, ma è un ragioniere a dondolo, che galoppa dal salotto al tinello con in groppa il suo bambino.
Rodari affronta anche il problema della guerra e delle ingiustizie del mondo, della povera gente.
La grandezza di un poeta non si misura sulla fattibilità delle sue idee, ma sulla capacità di esprimere in modo efficace e forte pensieri e sentimenti. Egli dà spazio ai sogni che non bisogna mai far cadere:
“Sarebbe una festa per tutta la terra/fare la pace prima della guerra”.
Sogna botteghe in cui vendere la speranza per chi non ha da campare, mette in rima la fame «la neve è bianca, la fame è nera | e qui finisce la tiritera» o racconta dei migranti, che nella valigia mettono un vestito e un frutto «Ma il cuore no, non l’ho portato: | nella valigia non c’è entrato». E incoraggia a non scoraggiarsi mai:
“Un punto piccoletto, superbo e iracondo diventa un dittatore e “pretende che dopo di lui venga la fine del mondo – ma le parole «lo piantarono in asso, e il mondo continuò | una riga più in basso”.
E poi c’è l’errore:
“Sbagliando s’impara è un vecchio proverbio. Il nuovo potrebbe dire: sbagliando s’inventa”. (Rodari)
Da un lapsus può nascere una storia, non è una novità. Se, “battendo a macchina un articolo”, sono arrivato in Lamponia, invece che in «Lapponia», ecco scoperto “un paese dolcissimo che sa di marmellata e di sciroppo”: sarebbe un peccato cancellarlo dalle mappe del possibile; meglio esplorarlo, da turisti della fantasia.Se un bambino scrive nel suo quaderno «l’ago di Garda», “Un ago importante: è segnato perfino sull’atlante”.
Gianni Rodari era convinto che «gli errori non stanno nelle parole, ma nelle cose; bisogna correggere i dettati, ma bisogna soprattutto correggere il mondo».
Nelle sue filastrocche e nelle sue brevi storie, i tanti errori fatti di apostrofi dimenticati, di doppie ignorate, di maiuscole che diventano minuscole, danno vita a nuove parole e aprono finestre su un mondo di nuove possibilità. Permettono nuove conoscenze, nuovi punti di vista.
Ma in questi giochi c’è anche l’attenzione a quei bambini che faticano e che di fronte alle tante regole della scrittura si sentono intimiditi e per lo più rinunciano e non imparano. Gli errori si possono, si devono correggere, ma senza che questo mortifichi mai il bambino, con semplicità e divertimento:
«Una volta un accento / per distrazione cascò / sulla città di Como / mutandola in comò. // Figuratevi i cittadini / comaschi, poveretti: / detto e fatto si trovarono / rinchiusi nei cassetti. // Per fortuna uno scolaro /rilesse il componimento / e liberò i prigionieri / cancellando l’accento. // Ora ai giardini pubblici / han dedicato un busto / “A colui che sa mettere / gli accenti al posto giusto”»
Demonizzare gli errori fa sì che gli studenti temano di tentare, di provare, si scoraggino, e invece possono diventare, come abbiamo visto, strumenti didattici attraverso i quali è possibile creare, ideare.
Del resto ad essere convinto che le imperfezioni, gli errori sono anche un’opportunità non c’era solo Rodari. Charles Darwin, rispondendo alle domande di uno studente, lo esorta a “cercare le imperfezioni perché dove ci sono imperfezioni c’è cambiamento, ovvero c’è evoluzione” e il filosofo della scienza Telmo Pievani afferma: “Dove c’è imperfezione, c’è qualcosa che accade, un evento, un processo, un mutamento, una relazione. […] Dove c’è perfezione è già successo tutto. […] Le alternative sono finite. Non rimane più nulla da narrare”».
Tutti giochi per dire che la parola è molto importante e bisogna sempre impararne di più e di migliori:
“Abbiamo parole per vendere,/parole per comprare,/ parole per fare parole;/ ma ci servono parole per pensare./ Abbiamo parole per uccidere,/ parole per dormire,/parole per fare solletico;/ ma ci servono parole per amare./ Abbiamo le macchine per scrivere le parole;/dittafoni, magnetofoni,/ microfoni, telefoni./ Abbiamo parole per fare rumore,/ parole per parlare non ne abbiamo più”.
Gianni Rodari, oggi, è più che mai necessario. È necessaria la sua riflessione sull’infanzia e sul mondo dei ragazzi. Sono necessarie le sue parole, il suo invito a inventare, disfare e ricominciare sempre. La sua è una lingua attenta al contenuto, che invita a guardare avanti, a immaginare un’utopia capace di credere che l’impossibile possa diventare possibile, capace di avere una nuova visione del mondo. Quella in cui tutti agiscono dando voce all’immaginario, a pensieri e idee che restituiscono la speranza, il pensiero libero, la condivisione di valori e la solidarietà, il confronto civile tra idee diverse attraverso il dialogo. Gianni Rodari ci invita ad avere il coraggio di sognare in grande, perché se gli adulti coltivano i sogni i bambini e i ragazzi potranno trarne beneficio, nel difficile presente e nel nuovo domani.
Questo articolo di Emilia Di Rienzo – insegnante per oltre trent’anni a Torino – fa parte di una ricerca che prova a scavare intorno a diverse parole/concetto con cui favorire il passaggio da una scuola del “Non si può” a una “Scuola del dialogo”. Qui il senso della ricerca e i link alle parole approfondite: