Foto di Seyed Srfan Mosuavi tratta da Unsplash
Questo articolo fa parte dell’inchiesta Aspettavamo qualche domanda
Chiamiamolo con il suo nome, chiamiamolo per comprenderlo e guardarlo con tutto ciò che porta con sé verso la nostra responsabilità di adulti e verso questa società di piccolo mondo, piccolo perché impoverito umanamente. Si chiama “suicidio” degli adolescenti e rappresenta la seconda causa di morte tra gli adolescenti (non solo negli Stati Uniti). Qui, in Italia oltre il 5 per cento dei suicidi (4.000 l’anno, dati Istat) è compiuto da ragazzi sotto i ventiquattro anni. Quest’ultimo periodo, quello durante il quale è cambiato il colore del nostro paese in giallo e bianco, si è tinto, invece, di rosso con il suicidio di giovani adolescenti, di tredici/quattordici anni. Una ragazzina si è impiccata nella sua cameretta, mentre un ragazzino si è buttato dal ponte di Ariccia. Mi fermo. Non voglio fare un elenco.
Fa ancora più male il silenzio che rimane dopo le loro morti, come se queste ci rendessero tutti afoni, muti anche interiormente, nel dopo, ma pieni di tante parole “vuoto a perdere”, in un prima che ci distrae per non ascoltare il disagio, per non voler vedere i segnali e per non voler sentire quella sofferenza che ci provoca disagio. Non chiamiamola “patologia”, il “suicidio non è impenetrabile al pensiero umano e non è un’idea delirante” (Vittorino Andreoli), non deleghiamola solo agli esperti di neuropsichiatria, non confiniamola nell’area medica/terapeutica perché cosi ci spogliamo ancora una volta della nostra responsabilità collettiva, umana, sociale e politica, l’unica capace di costruire risorse di vita possibile attraverso quelle reti sociali, affettive, educative in grado di fare da “ponte” tra loro e il mondo, un ponte inteso come dialogo, protezione e sostegno per bambini e adolescenti lungo un percorso di vita e di reciprocità esistenziale che ha valore trasformativo non solo per loro ma anche per noi (camminiamo tutti lungo la linea di un cerchio che non si chiude mai, leggi anche Sulla linea di un cerchio e Dalla parte dei bambini).
L’adolescenza, un’età che a differenza di altre età, ha un tempo breve, troppo breve per completare un passaggio identitario invece, così distante, eppure così ravvicinato, temporalmente, all’infanzia e all’età adulta. Questo passaggio può farsi stretto, buio, isolato, dentro una metamorfosi non riconosciuta, non afferrata né identificata da sé stessi, interiormente, né dagli altri esteriormente. Tutto resta in quel territorio oscuro, per loro adolescenti che lo attraversano da soli, per noi adulti che lasciamo lì, nell’oscurità, depositata e silente, la nostra possibilità di mantenere viva una coscienza “libera e umana”, incapaci oggi di elaborare le crisi che ci attraversano, da quella generazionale, dei nostri figli, a quella economica o quella del lavoro che ha perso il suo valore, on solo economico, per arrivare a quella di un sistema scolastico che rinuncia a trasformarsi per autoreplicarsi invece sul modello di sé stesso.
Al pronto soccorso dell’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino, il numero di ricoveri per tentato suicidio dei giovani è passato da 7 nel 2009 a 35 nel 2020. Stesso trend per il Bambin Gesù a Roma, e come ha spiegato Stefano Vicari, responsabile del reparto di Neuropsichiatria Infantile, “l’isolamento imposto dal covid non è l’unica causa dell’aumento dei casi registrati negli ultimi anni…. gli adolescenti sono i veri dimenticati di questo periodo, ci preoccupiamo del loro apprendimento e delle loro competenze, ma non della conoscenza del mondo” (rivista Mind giugno 2021, articolo Adolescenti in pausa di M. Maccarone).
Le conseguenze sono una sofferenza interiore che non viene accolta né a livello individuale, familiare, né collettivamente dalla prospettiva sociale e politica, mentre, al contrario, crescono i rischi per i bambini, ad esempio quelli sulla rete (ricordiamo la bambina di dieci anni che si è uccisa per una sfida estrema sul social tik tok) tanto che una community web di giovani, con oltre 17.000 iscritti, è stata chiusa dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Roma, in quanto sito che istigava al suicidio. Pensiamo anche, più ordinariamente alle “Click farm”, vere e proprie fabbriche dei falsi like e al fenomeno degli influencer. Ma i bambini non sono come le bambole Reborn Doll (bambole costose non distinguibili da neonati reali) così come non tutti i giovani sognano di diventare “influencer”.
Uno studio internazionale pubblicato sul Journal of Child Psichology and Psychiatry, rileva che in Europa oltre un quarto degli adolescenti (età media quattordici anni) mette in atto comportamenti autolesivi. In Italia il fenomeno riguarda il 20 per cento dei ragazzi. L’attenzione a queste realtà e ai fenomeni a rischio come ad esempio l’aumento dei casi di cyberbullismo, rimane troppo bassa, quanto l’offerta di servizi pubblici trasversali, da quelli alla famiglia, alla prima infanzia (asili nido e scuole dell’infanzia) a quelli giovanili, allo sviluppo di reti di comunità territoriali inclusive al posto di comunità atomizzate, divise e frazionate da antagonismi e conflittualità indotti e alimentati.
Chi mette in atto, come risposta a tutto questo, azioni positive comunitarie, sono le realtà associative che dal basso e da molti anni, si autorganizzano mettendo in opera progetti locali e nazionali in rete con azioni di inclusione e compartecipazione, consapevoli che lo stato di precarietà occupazionale odierno, la preoccupazione economica, l’instabilità affettiva/relazionale, la disintegrazione delle realtà sociali a favore di un principio di realtà esclusivamente economico, ha un riflesso pesante sulla vita degli adolescenti e non solo, quando l’unica scelta che hanno è quella di ritrovarsi negli spazi deprivanti dei mega centri commerciali. Gli interrogativi sono tanti, il bene collettivo, quello che appartiene ai giovani e che loro restituiscono a noi adulti (senza i giovani, ogni società collasserebbe), sembra a rischio se continuiamo ad essere più disposti e orientati a una spesa pubblica che si fa privata o sproporzionata nei suoi investimenti, come quelli dell’industria bellica (nonostante l’emergenza sanitaria da covid, il budget della Difesa Italiana ha registrato forti incrementi nel 2020/2021-Millennium giugno 2021) piuttosto che investire verso il benessere individuale, sociale, ambientale della comunità (tutti beni comuni che invece di essere tutelati vengono saccheggiati), a partire dal diritto a un sistema sanitario garante della nostra salute fino al diritto a un sistema scolastico/formativo che non abbandoni i giovani a sé stessi.
I nostri sentimenti sensoriali, affettivi, sociali, culturali e relazionali sono un sistema dinamico, complesso che trascende sempre, anche inconsapevolmente, il piano logico/razionale divenendo poi modello di pensiero, un paradigma che si traduce in usanza e costume culturale. Questo modello di pensiero che dà forma e significati alle nostre azioni, guida e orienta gli adolescenti che possono trovare nelle forme di adattamento e/o di creatività, un punto di rottura (oppure, al contrario, più punti di forza) nel proprio ambiente, sia esterno che interno, dove spesso la fatica di crescere si dilata nella sua bolla con una solitudine pesante e opprimente. Bolla che nessuno di noi adulti vicino agli adolescenti (e non solo famiglia e scuola) riesce a vedere e penetrare.
Vicino e lontano, falso o vero, virtuale o reale cessano di trovarsi in opposizione, confondendosi e confondendo la costruzione di un processo di crescita e di stabilità.
Costruire reti territoriali sociali/educative aperte, dinamiche, significa, appunto, creare punti di forza multipli, estesi e differenziati, ben oltre le fragilità ormai riconosciute ma comunque ignorate (famiglia e scuola) e presenti nei nuclei familiari, spesso isolati, mononucleari e conflittuali; opportunità di costruire relazioni affettive, di vicinanza umana, di conoscenza, all’interno di una “rete”, significa che se un punto della rete si rompe o salta, gli altri punti di forza compensano, sostenendosi comunque proprio come rete e come funzione di sostegno, di crescita formativa, di protezione di tutta la comunità dei giovani.
Investire politicamente e come comunità sociale nel loro futuro, significa riconoscerli e riconoscere il loro presente dentro il ciclo delle nostre vite, lungo la linea di un cerchio che non si chiude mai.
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