Abbiamo bisogno non solo di ricostruire nei territori le relazioni sociali per immaginare il ruolo delle comunità educanti. C’è anche da pensare a quali strumenti possono dare forma ai percorsi di quelle comunità, insomma c’è da mettere le istituzioni al servizio delle organizzazioni di base, anche riallacciando fili con esperienze del passato (cominciando, ad esempio, dall’individuare i coordinatori, a vari livelli – in primis quello municipale – dei “Patti Educativi territoriali”). Una lettera aperta al neonato Gruppo nazionale per lo sviluppo delle Comunità educanti
Boschi e luoghi vivi per bambini e bambine (e quindi anche per grandi) in città: accade a Parigi (Ph Ambra Pastore)
Lettera aperta al Gruppo Reti Nazionali per lo sviluppo delle Comunità Educanti
La conferenza del 22 aprile per la presentazione dell’accordo nazionale per lo sviluppo delle Comunità Educanti (leggi Un mondo di comunità educanti), rappresenta un passaggio significativo che racchiude e coniuga storicità passata e visioni future, lungo quella linea del cerchio che non si chiude mai. Ogni organismo aderente all’accordo ha una sua storia, sia che nasca dalle contingenti e nuove realtà sviluppatesi negli ultimi anni, come ad esempio il Congi (….), o che, invece, rappresenti quel lungo cammino che, passo dopo passo, ha saputo segnare, identificare e far vivere quei “valori universali che fanno la coesione di ogni comunità” e che nonostante la complessità e la veloce mutevolezza dei fenomeni, sopravvivono dentro ogni storicità, lungo quel filo di seta che unisce passato, presente e futuro: il Forumsad e il Movi hanno dato forma e contenuto a questa storicità, insieme alle tante organizzazioni di base che hanno tracciato dentro le loro esperienze e i loro progetti, percorsi educativi, formativi, di inclusione e coesione sociale, rendendo visibili i diritti dei bambin* e degli adolescent*.
Ogni soggetto partecipante alla formazione di questa rete nazionale, ha una sua aderenza e corrispondenza con piani di realtà sociali/educativi spesso ignorati o poco elaborati dalla prospettiva politica/istituzionale, concetto ben racchiuso nella definizione di “cecità politica” data dalla rappresentante del Congi, durante la videoconferenza.
È così: ognuno di noi l’ha sperimentata in varie forme sia personali che associative, che possono identificarsi ed essere rappresentate sinteticamente, nella mancanza ormai decennale, di continuità e stabilità politica, nella marginalizzazione educativa, subordinata sempre ad altre logiche, e di conseguenza, nella mancanza di visioni e prospettive future capaci di rendere percepibili le relazioni di causa/effetto tra presente e futuro. A conferma di questo basta considerare che oggi i “neet italiani”, giovan* tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi formativi, rappresentano il 21 per cento dei giovani, con una condizione più aggravata, soprattutto con la pandemia, per le giovani e più marcata nel Mezzogiorno con un dato che oscilla tra un 33 e un 40 per cento: un primato tutto italiano se consideriamo che la media europea è 12,5 per cento (leggi anche La crescita dei Neet ora fa paura, di Annarita Sacco).
Proprio questa consapevolezza è ciò che motiva molte associazioni, organismi di base, organizzazioni internazionali, cooperative sociali, che non hanno mai interrotto quel loro forte impegno, quella loro attiva progettazione e presenza dentro e verso le comunità presenti sul territorio nazionale, sia come volontariato, sia come promozione di forme culturali/educative/sociali, seguendo una propria bussola etica (pensiamo ad esempio ai progetti di Servizio Sociale promossi dagli enti associativi, progetti che se fossero attivati da tutte le istituzioni pubbliche regionali e comunali, rappresenterebbero una molteplicità di risorse virtuose/formative, autocostruendosi in rete per tutto il territorio nazionale), talvolta sostituendosi a quel ruolo e a quella funzione di “stato welfare”, che negli anni si è rivelato troppo debole o persino assente nell’ambito delle politiche educative, addossando sovraccarichi, cure e responsabilità esclusivamente sui nuclei familiari e sulla rete parentale in una logica esclusiva di “welfare familistico”.
Scrive Tim Ingold in Siamo linee:
Nei sentieri non si leggono i singoli movimenti, ma solo quelli fatti in comune, collettivamente. Le impronte sono individuali, i percorsi sono sociali.
Abbiamo sperimentato, individualmente e collettivamente, che pur non trovando piene corrispondenze con la politica pubblica istituzionale, le forme collaborative e di partenariato con le istituzioni, sono sempre state elemento importante di ogni percorso attivato nei territori di comunità, in ogni ambito, da quello scolastico/educativo a quello sociale e internazionale, nel superamento di logiche frammentarie, segmentate e a compartimenti chiusi.
È da ricordare come innovazione politica, culturale/educativa, oltre che legislativa, la legge 285/1997 (della Iervolino), dal titolo Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza: la legge nazionale diede attuazione concreta a dei Piani Territoriali Cittadini promossi su tutto il territorio nazionale e da Roma capitale, con l’istituzione di nuovi servizi pubblici (ad esempio nel Comune di Roma, fu istituito attraverso questa legge, un Centro di Educazione Ambientale che operava in rete con ogni ordine di scuola, con i servizi educativi 0/6, con le associazioni, con le Biblioteche, ecc.) e con un coinvolgimento trasversale di diversi attori istituzionali e non (i centri di Giustizia minorile, le Asl, i Provveditorati agli studi, le sedi circoscrizionali, le associazioni di territorio). Un coordinamento attivo, sentito e partecipato in attuazione della Convenzione Onu ratificata dall’Italia con la legge 176 del 1991. Fu istituito a livello centrale un tavolo di Coordinamento interministeriale, tra il ministero del lavoro e delle Politiche sociali con l’istituzione di un fondo presso la presidenza del Consiglio dei ministri. Roma divenne Città Educativa.
Allora chiediamoci: perché non riprendere e tenere tra le mani quel filo politico e operativo interrotto negli anni e che già aveva creato una rete trasversale di trame geografiche sociali inclusive e formative per tutta una comunità, “e ricominciare da 3 anziché da 0”, così come ci indicava il grande Massimo Troisi, per riconoscere come diritto ciò che oggi viene considerata solo un’offerta e un’opportunità? Perché non portare la politica e i servizi pubblici dalla parte dei diritti dei bambin* e dei giovan*, persino poco nominati (e quindi resi invisibili) nei dibattiti pubblici politici? Perché non riconoscere l’asilo nido, dopo quarantacinque anni dalla sua istituzione, un servizio di diritto educativo a pieno titolo e non un servizio a domanda individuale per pochi fortunati? Perché non ridisegnare, e si può fare, una politica in modo strutturale, integrato capace di cogliere l’unità delle politiche educative con quelle del lavoro, della parità di genere, dell’occupazione femminile, delle politiche sociali?
Quali possono essere oggi i passaggi e le formule per agganciare la politica pubblica istituzionale alla sua funzione, con l’istituzione di servizi specifici in una prospettiva a lungo termine, continuativa, stabile e di riconoscimento dei contenuti promozionali e di valore inclusivo, comunitario, portati avanti in quasi cinquant’anni di storia da organismi e associazioni di base?
Se guardiamo la storia sociale dagli anni Ottanta e la mettiamo a confronto con l’attuale contemporaneità, possiamo affermare che la politica in quegli anni presentava un’identità più rappresentativa che si interfacciava nel dialogo con le realtà associative che si muovevano dal basso. Nel coniugare le diverse forme organizzate territorialmente con le istituzioni competenti nei settori diversi, emergevano forme collaborative di “patto sociale” e di interconnessione che passavano anche attraverso “soggetti politici” (istituzionali o individuali) direttamente investiti o delegati a un ruolo rappresentativo. Cito, soltanto per fare un esempio, il consigliere comunale Giuseppe Lobefaro, negli anni Novanta, delegato dal sindaco di Roma, Veltroni, come “Consigliere per la città delle bambine e dei bambini”. L’impegno e l’attenzione di Lobefaro si trasferirono, attraverso i referenti politici e i dipendenti comunali, alle sedi dei municipi. Ancora, sempre in quegli anni, Maria Coscia, che era assessore al Dipartomento Politiche Educative, riuscì a trasformare il Dipartimento stesso, portandolo a un ruolo di rilevanza centrale nel Comune di Roma per la qualità dei percorsi attivati (dall’aumento dei servizi educativi alla qualità delle proposte formative) e per la diffusa competenza presente in ogni settore, realizzando una nuova politica dei servizi educativi. Nonostante sia scomparsa recentemente, le siamo ancora grate.
Anche in ambito municipale l’attivismo interno sia politico che tecnico/amministrativo (con la presenza di psicologi, pedagogisti, sociologi, funzionari educativi, assistenti sociali), circolava attraverso coordinamenti intermunicipali, con atti deliberativi in materia educativa o sociale (ad esempio, a fine anni Ottanta insieme all’Unicef, riuscimmo a formalizzare nel Consiglio circoscrizionale, come servizio Equipe Sociopsicopedagogica, una risoluzione, espressione di una volontà politica nel promuovere “una città per le bambine e i bambini”, secondo le linee di pensiero di Francesco Tonucci).
Sono convinta che oggi non si possa più prescindere dal coinvolgimento e dal ruolo attivo istituzionale/politico, riaffermando quella funzione centrale e di competenza che negli anni si è indebolita, marginalizzandosi e confinandosi in un ruolo sempre più distante dai bisogni e dalle istanze cittadine, cresciute e diventate, nel frattempo più urgenti sul piano educativo/sociale, come ormai riconosciuto dal governo stesso. Istanze, bisogni, urgenze, disuguaglianze, povertà educative, raccolte e comprese dai movimenti di base, cresciuti per quantità e qualità e diffusi su tutto il territorio nazionale in maniera esponenziale rispetto ai fenomeni di disagio sociale. La visione unitaria dello sviluppo umano, prospettata dallo psicologo statunitense Urie Bronfenbrenner con una prospettiva ecologica che coglie le opportunità già presenti nell’ambiente e le capacità umane lasciate sottotraccia perché non sollecitate e sostenute, è un’urgenza avvertita ed affermata, che richiede riconoscimento pubblico e consapevolezza della veloce misura con cui avvengono e si interfacciano i mutamenti di oggi. Comprendere le diverse interconnessioni tra i meccanismi relazionali/ambientali e istituzionali, le dinamiche di causa/effetto in ogni contesto ambientale e i cicli di crescita umana possibile e, al contempo, quelli di decadimento umano, deve diventare assunzione di obiettivo e responsabilità politica, come viene sancito dalla nostra Costituzione.
Perché non ipotizzare, esigendolo, su tutto il territorio nazionale, per ogni regione, per ogni comune, municipio, sedi Asl, la nomina di un referente politico/istituzionale, insieme a dei referenti tecnico/amministrativi, con funzione di responsabili coordinatori dei “Patti Educativi territoriali” (dunque delle alleanze associative, delle forme collaborative di partenariato…), con una funzione attiva di promozione territoriale e di coinvolgimento dei cittadini, in una prospettiva auto-formativa, di responsabilità e di protagonismo virtuoso di cittadinanza attiva, in analogia e in prosecuzione di quanto già istituito e attuato negli anni Novanta con la legge 285, sopra citata?
Un grande patto sociale, ampio, condiviso, intersettoriale, aperto,strutturato e formalizzato, autogarante del suo stesso percorso dentro una continuità temporale e “sulla linea di un cerchio” che non si chiuderà mai.
In sintesi i passaggi da richiedere ed esigere al governo:
- Al ministro Bianchi per delegare con atto formale (decreto ministeriale o altro atto) i sottosegretari all’esercizio di funzioni specifiche a loro delegate (funzioni da voi indicate come Rete Nazionale per lo sviluppo delle Comunità Educanti). Esplicitando le funzioni di indirizzo politico con la diffusione di programmi e obiettivi (da voi espressi) sollecitando le Regioni e i Comuni a nominare e delegare referenti politici e dei referenti tecnico/amministrativi e dirigenziali.
- Ogni Regione e Comune dovrà procedere alla nomina e alla costituzione di veri e propri “servizi” delegati al coordinamento e alla promozione delle Reti di Comunità Educanti, seguendo e garantendo le linee e i programmi da voi presentate.
- In analogia presso le sedi Asl (individuate nei consultori, nelle aree dei servizi età evolutiva) , dovranno essere istituiti stessi servizi con referenti tecnici/amministrativi/dirigenziali
- Il quadro di riferimento storico già esistente e solo in parte sopracitato, può rappresentare la cornice entro la quale considerare le proposte indicate ( legge 285 della Iervolino con i relativi atti costituzionali programmati, Convenzione Onu, programma Città a misura delle bambine e dei bambini, di F. Tonucci, Città Educativa, deleghe ai singoli Politici nominati per ogni Regione, ogni Comune, ogni Asl).