“Chiedimi come sto” è una campagna promossa dalla Rete degli studenti medi e dall’Unione degli universitari che punta a mettere al centro il tema della salute psichica dei giovani dopo due anni di pandemia
Questo articolo fa parte dell’inchiesta Aspettavamo qualche domanda
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In febbraio hanno cominciato con la diffusione in rete di un grande punto di domanda, seguito da un sondaggio web e dall’affissione di manifesti nelle strade di alcune città (foto, Roma), prima delle azioni e delle assemblee promosse davanti a scuole e università di diverse città (tra cui Palermo, Roma, Genova, Milano e Padova) il 15 marzo, Giornata nazionale di sensibilizzazione verso i disturbi del comportamento alimentare. “Chiedimi come sto” è una campagna promossa dalla Rete degli studenti medi e dall’Unione degli universitari che punta a mettere al centro il tema della salute psichica dei giovani dopo due anni di pandemia: ripartiamo da scuole e università, dicono quei ragazzi, ripartiamo dalla prevenzione per non arrivare a un punto di non ritorno.
Del resto quei disturbi (anoressia, bulimia e binge eating) sono la conseguenza di vite quotidiane dominate da ansia, paura, insicurezza, senso di fallimento, il brodo culturale della società delle merci, dell’utilitarismo e della competizione. Secondo il ministero della Salute, i ragazzi e le ragazze che soffrono di disturbi del comportamento alimentare sono circa 3 milioni, con una crescita di quasi un terzo registrata con la pandemia, ….. e sono la prima causa di morte fra gli adolescenti, dopo gli incidenti stradali.
Il 6 aprile, la campagna ha diffuso un nuovo messaggio dal titolo “DAD e Pandemia. Cosa ci è successo in questi due anni?”:
«Lo diciamo ormai da due anni: la pandemia ha intaccato il nostro benessere psichico. I vari lockdown, il distanziamento e la mancanza di contatto fisico hanno avuto delle conseguenze indelebili sulle nostre vite. Da un giorno all’altro scuole e università non erano più accessibili: siamo statə costrettə a frequentare attraverso la DAD, passando intere giornate davanti al computer senza che nessuno si domandasse quali sarebbero state le conseguenze di tale isolamento. L’aumentare delle relazioni online ha piano piano creato un senso di forte disorientamento e disagio oltre a danneggiare il nostro apprendimento. La mancanza di una comunicazione non verbale, infatti, ha diminuito la soglia di attenzione e reso conseguentemente più complesso lo studio per noi studentə. Uno studio realizzato dall’istituto superiore Freud di Milano dimostra che quasi il 67 per cento dellə studentə ritiene di avere una preparazione inferiore rispetto a quella ottenuta con la didattica in presenza.
Nonostante i cambiamenti apportati alla didattica nel nostro Paese, il sistema di valutazione non è mutato: i danni generati dalla didattica a distanza sono stati ignorati e a pagare il prezzo più alto sono state le nostre carriere scolastiche e accademiche nel disinteresse di tutti.
Attorno a noi tutto è cambiato, dal modo in cui ci vengono insegnate le cose al modo in viviamo gli spazi scolastici e accademici: eppure per noi non è cambiato nulla, continua a esserci richiesto di eccellere, puntare al voto massimo e fare tutto esattamente come prima, come se nulla fosse accaduto. È ora di ripensare il modello di istruzione nel nostro Paese, di ricostruire scuole e università a misura di studentə prendendo in considerazione le sensibilità di chi vive questi spazi».
Questo articolo fa parte dell’inchiesta Aspettavamo qualche domanda