Questo articolo da parte dell’inchiesta Prendere in mano la propria scuola
Tenere la rotta in direzione ostinata e contraria… Quella di sabato 18 maggio è stata la terza uscita in barca a vela in tre settimane con ragazze e ragazzi dai tredici ai diciotto anni: tanta bellezza e un desiderio di certezza. Mi piacerebbe dire, con prova scientifica, che quando un ragazzino con diagnosi Adhd (“Disturbo da deficit di attenzione/iperattività”), oppositivo provocatorio, uno di quelli chiamati “ingestibili”, ecco, mi piacerebbe dire che quando poi salgono su una barca a vela e qualcuno gli dice “Portaci fuori dal porto, timona tu”, pure se non è mai salito prima in barca a vela, in quel preciso momento succede qualcosa di straordinario. Non è un miracolo, e non solo perché la religione non c’entra, non è un miracolo per mille altri motivi, che hanno a che fare proprio con il concetto di “direzione ostinata e contraria”
Questi adorabili “ingestibili” ragazzi vanno al timone e ci portano fuori dal porto. Non è rilevante il fatto che lo skipper gli suggerisca cosa fare, lo è invece il loro atteggiamento. E forse che pochi secondi dopo averli conosciuti lo skipper gli faccia arrivare una travolgente ondata di fiducia.
Capitani coraggiosi vanno al timone e scompare ogni distrazione, si concentrano, ascoltano, restano lì inchiodati per un tempo infinito, finché non li scolliamo per far provare anche altri. Sguardo fiero, mano ferma e sensibile, imparano in pochi secondi che la rotta è un continuo “aggiustare” per andare avanti nella direzione utile, che non per forza, anzi quasi mai, “ostinata e contraria”. Smettono in pochi secondi di essere “oppositivi” per assecondare la rotta giusta.
Vi giuro che guardarli è bellissimo. Non c’è niente di lineare in tutto ciò, né di scientifico, ma solo il desiderio di diffondere il ragionevole dubbio che a volte essere oppositivi possa essere un bisogno, possa essere il loro modo di dire che il posto è sbagliato, il tempo pure, e che loro le cose le possono fare molto bene, ma non come piace a noi. Un bisogno, dunque, non una malattia.
Questa cosa non la penso oggi per la prima volta, l’ho pensata mille volte, perché mille volte mi hanno messo avanti nome, cognome e diagnosi e io ho cercato invece il ragazzo, nome, cognome e possibilità… tendenzialmente trovandolo sempre. Dietro le diagnosi ho trovato ragazzi che si prendono cura, fra tante altre cose belle che fanno, anche di me si sono presi cura, e dei loro amici pure. A volte gli adulti cominciano a ragionare su “in quale classe spostarli” perché facciano meno danni, e a me mi si gonfia la vena sul collo, perché pure io sono oppositivo, pure provocatorio ogni tanto, e non sopporto chi approfitta delle diagnosi per non sentirsi responsabile personalmente di ogni singola relazione educativa.
Non mi permetterei mai di disconoscere le diagnosi. Dico soltanto che le diagnosi, se fatte bene, ci dicono qualcosa, non ci dicono tutto, il resto lo dobbiamo cercare noi, ascoltando, osservando, provando, nonostante la stanchezza…
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Loris Antonelli, educatore ÀP, Accademia Popolare dell’Antimafia e dei Diritti