Che cosa grideremmo noi, se avessimo diciott’anni, se avessimo trascorso anni irripetibili di adolescenza reclusa in casa, se avessimo la prospettiva di un futuro da lavoratori sfruttati, da ghiacciai sciolti, da sempre più microplastiche nella catena alimentare, da convivenza con il rischio di una terza guerra mondiale? In tanti ragazzi c’è una incoraggiante consapevolezza sui sistemi di dominio
Questo articolo fa parte dell’inchiesta Aspettavamo qualche domanda

«Alla vostra pace rispondiamo col conflitto. Guerra alla guerra». Potrebbero essere liquidate come parole di una ragazzina esaltata, ubriaca del microfono aperto sulla folla di piazza San Giovanni. Queste parole pronunciate da Siria, portavoce della Rete degli studenti alla manifestazione per la pace di Roma di sabato 5 marzo, sono invece quelle che più stimolano a pensare. La generazione di Siria ha tanta ragione per gridare con furia: chissà se gli adulti sapranno comprendere quella rabbia e abbracciarla.
Era un grido consapevole di accusa e di lotta, e al contempo una richiesta di aiuto: «Quando ricominceremo seriamente a parlare del nostro futuro?», è stata la domanda che ha aperto l’intervento di Siria. Come a dire: non lasciateci soli, di nuovo.
È parso, soprattutto, un grido rivolto alla Cgil di Maurizio Landini: una Cgil madre-padre da accusare, ma che è rimasta l’unica organizzazione di massa alla quale i giovani potrebbero affidarsi. Luciana Castellina dal palco ha invitato «a usare molto di più del proprio cervello», visto che «il movimento pacifista non combatte con le armi». E allora non possiamo dare dell’esaltata, dell’inopportuna a Siria, ma dobbiamo chiederci che cosa grideremmo noi se avessimo diciott’anni, perché vi sia quella rabbia, perché la giovane abbia detto che «la categoria di pace va riarticolata». L’ha spiegato lei stessa: «Non ci stiamo a un mondo pacificato, non ci va bene questo modello di sviluppo, di produzione e consumo che ci vuole sfruttati sui luoghi di lavoro, ci vede morire nelle scuole, ci vede oppressi».
Come a dire: le vostre battaglie pacifiche degli ultimi anni non hanno ottenuto nulla, e le conseguenze adesso le paghiamo noi. Perciò, «rispondiamo col conflitto».
«Non daremo pace a chi ci sfrutta, ci violenta, ci devasta, ci vuole schiavi. Noi saremo rivolta». Pezzi di discorso che decontestualizzati farebbero pensare a esaltazione giovanile. No, è ragione giovanile. Questi ragazzi hanno una consapevolezza sui meccanismi di dominio della società che è impossibile – a usare il cervello – non provare ammirazione per questi figli del precariato e della Terra febbricitante dell’industria umana.
Che cosa grideremmo noi, se avessimo diciott’anni, se avessimo trascorso anni irripetibili di adolescenza reclusa in casa, se avessimo la prospettiva di un futuro da lavoratori sfruttati, da ghiacciai sciolti, da siccità che brucia i campi, da sempre più microplastiche nella catena alimentare? Possiamo essere giudici di quella veemenza, della collera di chi sa di ereditare un mondo in rovina?
Se nel sottobosco dei nostri pensieri ora ronza il timore di una terza guerra mondiale, forse questo può aiutarci a comprendere il senso di precarietà che deve pervadere l’intimo dei ragazzi e delle ragazze consapevoli di ciò che accade nel proprio contesto di vita e oltre, nel mondo. La prospettiva di una guerra può aiutarci a indossare le scarpe dei nostri ragazzi, per schierarci meglio al loro fianco, di più. Una guerra può aiutare a empatizzare. È terribile.
Ci serve, l’ardire di questi giovani, l’ardire di una portavoce che così al sindacato ha parlato: «Il tempo delle parole è finito. La Cgil si assumesse la responsabilità di convocare uno sciopero generale non solo per la guerra in Ucraina, ma anche per le conseguenze di questa guerra che sta impattando sulle nuove generazioni, sulle donne, sui lavoratori sfruttati e sulle società libere».
Appena prima di lei, Pietro aveva spiegato che a Roma i ragazzi del movimento La Lupa «hanno occupato quasi sessanta istituti per criticare questo sistema scolastico, questo modello dettato dal profitto dei privati», e aveva gridato che la guerra è «l’ennesima dimostrazione di come le istituzioni, asservite a un sistema di sviluppo violento e opprimente, si curino soltanto dell’interesse di pochi».
Landini, prima dei ragazzi, aveva detto che «la lotta contro la guerra è una lotta anche per un nuovo modello di sviluppo che superi la precarietà e che metta al centro la sostenibilità». Che cosa c’è di diverso, nei contenuti, da ciò che sostengono i giovani consapevoli e arrabbiati? Forse ci sono solo gli anni.
Accogliamo la rabbia dei giovani, e dal confronto, dallo stare insieme adulti e ragazzi, tanti di loro scopriranno che a far la guerra c’è sempre da perdere. E noi impareremo a ritrovare un po’ di ardire.
L’intervento della Rete degli studenti dal palco si può ascoltare dal minuto 1:46:50
*Educatore e giornalista, ha scoperto la bellezza dell’educazione da adolescente nello scautismo. Ha studiato e lavorato in diversi paesi europei. Maestro elementare di sostegno, con l’associazione Insieme si occupa di un servizio volontario di “aiuto-compiti” per bambini e adolescenti. Ha un blog: danieleferro.it.
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