Quelli di Acmos a Torino sono abituati a mettersi accanto a ragazzi e ragazze. Qualche mese fa hanno avvertito il rischio che la scuola avrebbe riaperto chiudendosi dentro le sue mura. Per questo hanno studiato e sperimentato già in estate modi diversi per stare insieme ai ragazzi, tra incontri tematici e laboratori, coinvolgendo tanti studenti di tre scuole medie superiori e diverse associazioni. A partire da quell’esperienza, “La scuola di quartiere”, raccontano qui la loro idea di scuola come comunità. “La scuola aperta al territorio – scrivono – deve essere un obiettivo politico preciso: soltanto in questo modo potremo garantire a ciascuno il diritto all’autodeterminazione e alla piena realizzazione delle proprie volontà e capacità”
Lorenzo è uno degli studenti che ha tenuto un laboratorio su scacchi e letteratura nella Scuola di quartiere promossa da Acmos a Torino. Gli abbiamo chiesto di scrivere un pensiero, un’emozione, un ricordo significativo di quei giorni. Ecco cosa ha scritto:
«Questa sedia qua, quest’altra là. Un tavolo qui e un tavolo lì. Bisogna garantire il giusto distanziamento, almeno un metro. Edoardo mi sta aiutando a preparare, sta facendo davvero un ottimo lavoro. Mi ricorderò tutto? Vediamo… Gli scacchi nascono forse in India, forse in Persia, e poi anche Dante ne parla nella Commedia… Sì, direi che ci siamo. Finalmente potrò trasmettere a qualcun altro la mia passione, le mie passioni. E poi un paio di partite, qualche amichevole scambio di strategie, a colpi di concatenazioni logiche. Chissà chi la spunterà. Ma sta cominciando ad arrivare qualcuno, forse è meglio che mi sistemi. Prima che me ne accorga, quando anche l’ultima persona ha preso posto, mentre ancora ripenso alla scaletta, ho già iniziato. “Vi starete chiedendo: ma cosa c’entra Dante con gli scacchi? Bene, non vedevo l’ora di spiegarvelo…”»
La Scuola di Quartiere è un progetto promosso dall’associazione Acmos e dalle rappresentanze studentesche di alcune scuole superiori della città (ITIS “G. Peano”, Liceo “A. Einstein”, Liceo “Giordano Bruno”, Liceo “C. Cavour”) che ha avuto la sua prima realizzazione dal 13 al 24 luglio nella sede istituzionale della Circoscrizione 6 di Torino.
Tutti i pomeriggi, dalle 14,30 alle 18,30, la sede della Circoscrizione 6 si è trasformata in una palestra di cittadinanza, di “re-incontro” e di “re-educazione” alla socialità attraverso workshop, dibattiti e momenti ludici rivolti ai giovani del territorio (dai laboratori di graffiti, danza, giocoleria, arte, fotografia, scacchi, hip hop, teatro agli incontri tematici su clima, mafia, carcere, accoglienza…). È stata una delle prime esperienze organizzate in presenza per i ragazzi e le ragazze delle scuole superiori che hanno contribuito in maniera attiva alla costruzione del percorso.
A fianco delle attività organizzate con e per gli studenti sono stati costruiti diversi momenti assembleari con i protagonisti del mondo scuola (presidi, docenti, assessori, genitori) e importanti personalità del panorama culturale torinese poter dare vita a un dibattito continuativo e in presenza sulle sfide e i problemi della scuola pubblica. Naturalmente ogni attività è stata gestita con il massimo dell’attenzione per quanto riguardo le normative per contenere il Covid (iscrizione preventiva, sanificazione, segnaletica, misurazione temperatura, ingressi e uscite scaglionate).
Molte realtà associative
L’iniziativa è stata realizzata in collaborazione con il Miur, con il patrocinio della Circoscrizione VI e il sostegno di molte realtà associative del panorama torinese e nazionale: Movi (Movimento di Volontariato Italiano), Libera Piemonte, Fondazione Benvenuti in Italia, Fondo Vito Scafidi, Associazione Capitale Torino, Istituto teatrale per la cura della persona, Associazione Original Hip Hop, Progetto Tutti connessi, Compagnia AssaiAsai, Generazione Ponte, Associazione Islamica Delle Alpi, Coop. Nanà, Casa Comune, Rete Clima, Associazione Giosef, Under Radio, Cop. Placido Rizzotto.
L’iniziativa ha rappresentato la reazione degli educatori dell’associazione Acmos e degli studenti torinesi alla prolungata chiusura delle scuole dovuta alla pandemia di Covid-19 che ha costretto milioni di studenti a studiare da casa tramite la Didattica a distanza.
La chiusura degli istituti scolastici, per quanto necessaria, ha comportato l’allentamento delle relazioni sociali e ha impedito agli studenti di fruire degli spazi di interazione e di educazione che la scuola deve offrire.
La lunga esperienza dell’associazione Acmos con le scuole ci ricorda come la scuola pubblica abbia sicuramente più funzioni, alcune delle quali di carattere individuale: in particolare deve trasmettere conoscenze e saperi ad ogni ragazzo e ragazza che poi capirà come utilizzarli nella propria vita. Pur trattandosi di un aspetto fondamentale, gli studenti devono essere messi nelle condizioni di poter studiare per raggiungere un grado di conoscenza necessario per essere liberi e autonomi. Già in relazione a questo possono emergere molte questioni: tutto ciò viene spesso declinato come ansia di valutare le prestazioni e di terminare i programmi anziché “tendere appassionatamente verso qualcosa”, significato alla base dell’etimologia del verbo studiare.
La scuola come comunità
Tuttavia abbiamo bisogno di pensare alle scuole prima di tutto come comunità nelle quali l’aspetto relazionale e sociale sono la fonte di crescita più grande che le persone possano incontrare nella propria vita. Sul piano relazionale la scuola mette a contatto con gli altri: da una parte con i coetanei e pari, dall’altra con le regole, il dovere e l’autorevolezza/autorità del mondo adulto.
Ma la scuola è spesso anche la prima occasione per uscire di casa, quindi mezzo di emancipazione dal nucleo familiare e dalla propria condizione sociale. La casa è un luogo fatto di pregi e difetti, di amore ma anche di difficoltà, giardino felice per alcuni foresta tormentata per altri. Uscirne significa mettersi in cammino per incontrare centinaia di ragazzi della stessa età, ma potenzialmente molto diversi, con cui stare insieme, confrontarsi, litigare, giocare, sbagliare, scoprire e osservare il mondo. In sostanza dare a tutti la possibilità di sentirsi sullo stesso piano senza lasciare indietro nessuno, e sentirsi parte di una comunità più ampia con cui chiedersi “ma dove voglio andare?” O meglio “dove vogliamo andare?”.
Non a caso l’articolo 34 della Costituzione recita “La scuola è aperta a tutti”, e questa affermazione già di per sé rappresenta un valore e fa la differenza.
Dall’altra è un modo per relazionarsi con adulti diversi dai genitori: per convivere servono regole, per fare le regole bisogna organizzarsi, organizzazione vuol dire accettare ruoli, avere un ruolo significa comprendere i diritti e i doveri che ne derivano. Questo aspetto relazionale mette a contatto gli studenti con le contraddizioni di cui è fatto il mondo: solo vivendole si può sperare di comprenderle e abitarle, sempre con gli altri: a scuola si impara la solidarietà e la cooperazione, si riscontrano le prime ingiustizie e la competizione sfrenata. Anche questi ultimi aspetti, se affrontati e socializzati, possono portare a chiedersi che mondo sogniamo e come costruirlo.
La scuola come comunità umana insegna anche a non essere al centro del mondo ed educa all’empatia. Lì si riproduce una società in miniatura, un piccolo mondo nel mondo, e l’allenamento che rappresenta vale più di ogni valutazione di carattere individuale. Per cambiare ciò che non piace non si può prescindere dagli altri, non si può fare a meno delle argomentazioni e del confronto democratico mettendo in discussione se stessi con un adeguato spirito critico. Possiamo dunque dire che la scuola è la più grande palestra di politica di cui abbiamo bisogno.
Per queste ragioni con il progetto la Scuola di Quartiere si è cercato di aprire un istituto scolastico nel periodo estivo: sarebbe stata la prima scuola a riaprire dopo il lockdown per provare a riunire la comunità educante in un contesto sperimentale. Alla fine si è trovata la disponibilità della Circoscrizione e l’iniziativa si è realizzata in spazi diversi ma comunque altamente simbolici per il valore del progetto.
Recuperare spazi, ricomporre relazioni
Gli obiettivi del progetto possono essere riassunti in questi due punti salienti: la necessità di recuperare spazi di socialità e abitudine all’interazione e la necessità di passare dall’obbedienza alla responsabilità.
Il primo obiettivo nasce da alcuni dati preoccupanti: secondo lo studio “Giovani e quarantena” promosso dall’associazione nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, Gap, Cyberbullismo) l’80 per cento degli studenti intervistati ha modificato il ritmo riposo-veglia e circa la metà ha risvegli notturni; circa il 50 per cento dichiara di mangiare di più e in qualsiasi momento; il 25 per cento di essere iperconnesso, cioè oltre le dieci ore di connessione giornaliera. A questi dati bisogna aggiungere quelli che dimostrano quanto abbia pesato il divario tra chi ha dispositivi e connessione adeguati, oltre che spazi disponibili nelle proprie abitazioni, e chi invece è rimasto escluso dalla possibilità di seguire le lezioni o comunque di fruirne serenamente: secondo un sondaggio di Cittadinanzattiva i secondi sono il 64 per cento del totale. Questi dati sono allarmanti: è venuta fuori la necessità di proporre e sostenere un confronto tra chi è stato direttamente coinvolto per rielaborare quanto accaduto e proporre di lavorare insieme sulle conseguenze.
La Scuola di Quartiere è stato un ottimo modo per sottolineare l’importanza anche di un altro aspetto (il secondo obiettivo) rimettendolo al centro del dibattito pubblico.
“Chiamare all’ubbidienza e sollecitare la responsabilità sono cose profondamente diverse. A ciascuno il suo: al governo le prescrizioni giuridiche…, alla società nelle sue tante articolazioni, la promozione dell’etica della responsabilità”.
Così Gustavo Zagrebelsky concludeva un suo articolo apparso su La Repubblica il 29 aprile 2020 nel quale rifletteva sull’uso che è stato fatto dei Dpcm e esortava ad alimentare una presa di coscienza dei doveri di solidarietà, perché nessuna repressione o sorveglianza potrà sostituire l’adesione spontanea a comportamenti adeguati. È stata interpellata la società tutta, ma questa sollecitazione è stata un’ottima occasione per ribadire il ruolo della scuola pubblica nella costruzione di un’etica della responsabilità attraverso l’esperienza e quindi la presa di coscienza.
Lo zaino
La Scuola di Quartiere ha avuto un simbolo che rappresenta nel modo migliore il motivo per cui è nata, gli obiettivi che si è posta e quello che è stato effettivamente generato durante quei giorni. Il simbolo scelto è uno zaino: lo zaino che rappresenta il bagaglio di ogni ragazzo, quel contenitore che gli studenti si porteranno appresso per tutti gli anni della scuola e che riempiranno di libri e appunti, ma soprattutto di domande, esperienze, sogni e desideri. Lo zaino che per troppi mesi è stato fermo in casa per cause di forza maggiore ma che durante la Scuola di Quartiere è simbolicamente uscito dalle case per tornare in mezzo agli altri.
Lo zaino citato non è solo un simbolo astratto ma ha avuto una sua proiezione materiale: è stato procurato uno zaino in cui è stato messo tutto ciò che abbiamo imparato nei giorni della scuola di quartiere, dagli delle assemblea ai volantini e le proposte delle associazioni che hanno partecipato.
Oltre a questo lo zaino è stato firmato con pennarello indelebile da tutti gli ospiti che hanno partecipato sostenendo e facendo vivere l’esperienza. La volontà è quella di consegnare lo zaino alle istituzioni locali e al Miur per restituire l’esperienza della Scuola di Quartiere come punto di partenza nella costruzione di un percorso che punti alla salvaguardia della scuola pubblica come palestra esistenziale e democratica: il punto non è tornare alla normalità ma sfruttare l’occasione per ridisegnare il ruolo della scuola. Ad un mese esatto dall’inizio della scuola nella nostra regione abbiamo scritto alla ministra Lucia Azzolina per chiedere un incontro che ci permetta di condividere la nostra esperienza e la nostra urgenza: lo zaino della Scuola di Quartiere sarà il nostro promemoria per un impegno in questa direzione.
Sappiamo che oggi la scuola non rappresenta più quella scala sociale come per diversi decenni è stato, ma riteniamo che sappia ancora generare capitale sociale in grado di mescolare gli ambienti di provenienza dei ragazzi e quindi distribuire opportunità colmando le disuguaglianze di partenza della società. L’epidemia e quindi la conseguente chiusura delle scuole ha neutralizzato questo potenziale e sappiamo che non si può certo riattivare attraverso la didattica a distanza. Ma ci preoccupano le conseguenze che questo momento storico avrà sulla vita dei giovani e quindi sugli adulti di domani: la capacità di relazionarsi con gli altri, di formare il sé e la propria dimensione sociale sono elementi fondamentali per la democrazia e crediamo non possano essere garantiti dagli strumenti tecnologici.
Per questo motivo la scuola aperta al territorio deve essere un obiettivo politico preciso: soltanto in questo modo potremo garantire a ciascuno il diritto all’autodeterminazione e alla piena realizzazione delle proprie volontà e capacità.
Diego Montemagno è presidente dell’Associazione Acmos di Torino, Gabriele Gandolfo è responsabile del Progetto Scu.Ter. di Acmos.
Scheda su Acmos Acronimo di Aggregazione, Coscientizzazione, MOvimentazione Sociale, Acmos è un’associazione con sede a Torino che promuove e sostiene “l’inclusione e la partecipazione attiva, creativa e responsabile dei giovani alla vita democratica”. Per questo, tra i diversi impegni dell’associazione, c’è quello di dare sempre più forma alle storie di “scuola aperta e partecipata”. L’associazione promuove prima di tutto esperienze collettive di educazione informale e di vita comunitaria, “Il nostro approccio pedagogico – scrivono – affonda le radici nella testimonianza: ciò che proponiamo lo viviamo in prima persona…”
L’articolo di questa pagina fa parte dell’inchiesta TORINO HA BISOGNO DI RIPRENDERE FIATO: da “La città ai ragazzi” di quarant’anni fa alla “Scuola di quartiere” promossa da Acmos in estate, Torino ripensa la relazione scuola-città. Un’inchiesta indaga quel tema e racconta un territorio con cicatrici rimosse (lo dimostrano i fatti del 26 ottobre), ma anche energie per cambiare l’ordine delle cose. Una città che dovrebbe smettere di correre. Interventi di Diego Montemagno, Gabriele Gandolfo, Marco Arturi, Emilia De Rienzo, Marco Revelli Gigi Eusebi, Libera Piemonte, Fooding – Alimenta la solidarietà, MAG4 Piemonte, Camilla Falchetti.