Nelle scuole aperte a volte nascono frutti apparentemente inaspettati, come la meravigliosa esperienza germogliata intorno all’associazione romana Anita che lega nonne romane e mamme migranti desiderose di imparare l’italiano. In realtà, quei frutti sono la punta di un iceberg le cui basi nascoste in profondità si chiamano relazioni di fiducia
Ogni pomeriggio ci si ritrova all’uscita da scuola in attesa che i bambini escano. Si scambiano quattro chiacchiere e si fa amicizia parlando di noi e di chi abbiamo vicino. Così guardandoci intorno abbiamo cominciato a osservare un gruppo di mamme vestite con abiti lunghi e il capo coperto dall’hijab. A volte coloratissime come vestite a festa, spesso un po’ camuffate in quell’abbigliamento, rimanevano in disparte, sorridenti e impegnate nel ruolo di mamme. Finché un giorno abbiamo scoperto che una di loro aveva qualche problema a rimanere in Italia se non avesse imparato l’italiano. A quel punto, coinvolta da mia figlia che fa parte dell’Associazione ANITA (fb, ), ho pensato di occuparmene.
Per un paio di volte ci siamo ritrovate solo in due, io come maestra e Mejadin come allieva, provando da subito una gran divertimento. Nel giro di poco si sono unite altre mamme, sempre del Bangladesh, e man mano che si spargeva la voce alle mamme del Bangladesh si è aggiunta una mamma cinese. Alcune vivono in Italia da diversi anni e hanno appreso quella che io chiamo “la lingua all’infinito” fatta di “tu guardare, io andare, …”. Tutte, ora che i figli sono cresciuti, hanno voglia di imparare meglio la lingua del paese dove abitano. Così ho chiesto aiuto alle altre nonne e insieme abbiamo improvvisato una scuola di italiano, in un tempo e uno spazio parallelo all’aiuto compiti per bambini e bambine arrivati da poco in Italia (nell’ambito del progetto “DAI” gestito da ANITA per il Bando Scuole Aperte al pomeriggio, del Comune di Roma).
Forte di un corso fatto alcuni anni fa sull’insegnamento dell’italiano agli stranieri, ho rinfrescato la memoria sul metodo, messo a punto da linguisti di cui non ricordo il nome, che si basa sulla comunicazione pratica. Sintetizzo così alcuni principi che cerchiamo di applicare a ogni incontro: Far sentire a proprio agio chi apprende in modo che possa superare la paura di imparare una lingua straniera. Non nominare le parti della grammatica, ma insegnar loro a formulare frasi di senso compiuto nei vari tempi partendo da oggi, ieri, domani e progressivamente coniugare i verbi. Per farlo occorre avere come argomento solo situazioni di vita quotidiana come la casa, la spesa, il medico, i mezzi di trasporto, i viaggi… Non avere fretta di raggiungere grandi obiettivi. Inoltre ogni testo scritto, che sia un volantino del supermercato o un avviso scolastico, presenta le difficoltà di un libro quindi possiamo usarli per imparare a leggere e a capire la lingua scritta. Il fatto che intorno a noi tutto “parla” è un’occasione da sfruttare.
Inoltre noi “insegnanti” non dobbiamo usare troppe parole se non quelle che devono imparare in quella seduta scolastica. A volte, senza accorgercene, parliamo tra noi e diciamo un sacco di parole che per loro sono solo rumore e creano un senso di inadeguatezza che non fa bene all’apprendimento. Mentre fa molto bene il divertimento, sorridere degli errori o della difficoltà di pronuncia senza rimarcarli troppo ma ripetendo la forma corretta.
Abbiamo noi stesse imparato ad essere semplici nei nostri obiettivi. E contente perché ogni volta che vediamo un sorriso e ci sentiamo dire “capito” sappiamo che abbiamo fatto un passo avanti. Tutto questo con le mamme per un’ora e mezza alla settimana, allestendo ogni volta la nostra scuola improvvisata con tavoli di fortuna nel corridoio dell’edificio scolastico. Mentre i loro bambini fanno i compiti con le volontarie correntiste de La Banca del Tempo, che collabora con ANITA per rendere la scuola uno spazio in cui tutta la comunità può crescere.