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L’oceano della vita quotidiana

Raúl Zibechi
05 Giugno 2013
Si può fare la rivoluzione partendo dalla vita di ogni giorno? Dipende, naturalmente, da cosa s’intenda per rivoluzione. Per Raúl Zibechi è solo da quello spazio, lo spazio della gente comune, che si può limitare o far volare alto il capitalismo. Solo da lì può nascere un mondo nuovo. A differenza del grande vuoto che all’oceano della vita quotidiana (la definizione è dello storico francese Fernand Braudel) riservano i libri di storia e le teorie rivoluzionarie, i movimenti antisistemici territoriali contemporanei, sia quelli rurali che quelli urbani, organizzano in modo collettivo la vita materiale. È da lì che resistono al capitale e allo Stato

di Raúl Zibechi

Tunel-de-salida-metro-Parque-Bustamante8La maggior parte delle analisi politiche che si pongono fini antisistemici sono orientate a comprendere come funzionano le grandi imprese multinazionali e l’insieme dell’economia capitalista, il ruolo degli stati-nazione, i rapporti di forza geopolitici a scala nazionale, regionale e globale, insomma il modo in cui dominano i potenti. Possiamo contare anche su un buon numero di studi dedicati alle lotte sociali e politiche dei settori popolari – da quelle locali alle coalizioni più ampie che si determinano a scala nazionale e globale – e a come queste forme di azione si vanno modificando nel corso del tempo.

Si potrebbe dire che buona parte di queste analisi e di questi studi descrivano la realtà del sistema e le diverse realtà antisistemiche. Tuttavia, abbiamo ben pochi lavori su quella che Fernand Braudel chiamava la «vita materiale», o anche «l’oceano della vita quotidiana», il regno dell’autoconsumo, «l’abituale, il routinario», la sfera basilare della vita quotidiana che, a suo parere, è il “grande assente della storia” (La dinamica del capitalismo, Il Mulino). Nella storia, ma, bisognerebbe aggiungere, anche nelle teorie rivoluzionarie e nelle proposte di emancipazione.

È noto che Braudel ha definito tre sfere: la vita materiale, che è il regno del valore d’uso; la vita economica o economia di mercato, dominata dagli scambi e dal valore di scambio; e, al di sopra di entrambe, il capitalismo o l’antimercato, «dove si aggirano i grandi predatori e vige la legge della giungla». In questo peculiare sguardo sul mondo, lo Stato non fa che aiutare il capitalismo ed è antitetico all’economia di mercato, come ricorda Immanuel Wallerstein.

Per completare l’analisi, dovremmo ricordare, con Braudel, che il capitalismo affonda le sue radici nella vita materiale ma non vi penetra mai. L’accumulazione del capitale si produce fondamentalmente nella sfera dei monopoli dove non funziona il mercato, non è così nella vita materiale e in quella economica. Certo gli strati sociali superiori poggiano su quelli inferiori, dai quali pertanto dipendono, ma è altrettanto certo che la vita quotidiana o materiale è relativamente autonoma e non è mai completamente subordinata alla sfera dell’accumulazione.

L’interesse e il valore attuale del punto di vista di Braudel consiste nel fatto che la lotta antisistemica è fondamentalmente ancorata alla vita materiale e, in qualche modo, anche alla vita economica, ma non può poggiare sulle sfere del capitalismo, siano esse le imprese o gli stati. L’enorme potenza dei movimenti antisistemici territoriali contemporanei, tanto quelli rurali quanto quelli urbani, è data dal fatto che essi organizzano in modo collettivo l’oceano della vita materiale e da questa posizione si mettono in relazione con la vita economica e con i mercati. È da lì che resistono al capitale e allo Stato.

Perfino nelle grandi città. Nel cuore di una megacittà come Buenos Aires, pullulano esperienze (cipamericas) di questo tipo. Si possono trovare in molte altre città latinoamericane e, naturalmente, abbondano nelle zone rurali. Un’ampia rete di spazi (caffè, mense popolari, centri di salute, scuole elementari, scuole superiori popolari, associazioni di donne, gruppi di lavoro, mezzi di comunicazione) conferisce forma collettiva alla vita materiale dei più poveri trasformando la vita quotidiana in spazi di resistenza ma anche di alternativa al sistema.

In questo modo, la «routine», o il «quotidiano», acquista nuovi significati. Le organizzazioni popolari, almeno quelle che non si limitano a vivere in modo parassitario la vita materiale, lavorano a organizzare l’autoconsumo al di là dello spazio familiare. S’impegnano, soprattutto, affinché questo spazio di autonomia (la vita quotidiana) sia il più completo possibile, non si esaurisca cioè con i bisogni più urgenti come l’alimentazione, la base dove cominciò a fiorire il movimento piquetero argentino, ma si espanda verso aree come l’educazione, la salute, la dignità delle donne, i giochi dei bambini e gli organismi decisionali, come le assemblee.

Organizzare la vita materiale, approfondire il suo significato collettivo e comunitario vale tanto quanto politicizzarla e darle più autonomia nei confronti delle altre sfere, in modo particolare delle multinazionali e degli stati. Questo vuol dire anche dotarla di sedi per prendere decisioni e poterle mettere in atto, per difendersi dalle altre sfere, di sedi, cioè, in cui esercitare potere. Quando la vita materiale viene organizzata in forma di movimenti antisistemici, le assemblee compiono questa funzione.

Come si pongono (queste esperienze, ndt) di fronte ai monopoli capitalisti? Nel caso citato, quello dei movimenti delle villas di Buenos Aires, (i movimenti, ndt) recuperano ciò di cui hanno bisogno attraverso l’azione diretta. Per ottenere medicinali per i loro centri di salute, fanno piquetes di fronte ai grandi magazzini della distribuzione farmaceutica impedendo l’uscita e l’entrata dei camion. Lo stesso accade per ottenere cibo dal municipio o dal governo della città. La cinecamera che utilizza una televisione comunitaria viene conseguita mediante un escrache un hotel a cinque stelle. E così via con tutto il resto.

È possibile rivoluzionare la società a partire dalla vita materiale o quotidiana? Dipende dal concetto di rivoluzione che si ha. La vita materiale è, tra le molte altre cose, lo spazio della gente comune, quello che può limitare o fornire le ali al capitalismo. Non esistono altri spazi dove possa nascere e crescere qualcosa di diverso dal mondo dell’accumulazione. Guardando così le cose, il cambiamento sociale è un modo sistematico di sottrarre la vita materiale dal parassitismo del capitale.

In nessun altro «strato» (sociale, ndt) può nascere un mondo nuovo e differente. Con questo non voglio dire che la vita materiale/quotidiana non contenga oppressione, come per esempio il machismo, ma il nuovo si può costruire solamente a partire dalle relazioni sociali fondate sul valore d’uso e poste sotto il comando della gente comune. Provare a farlo da altri spazi, vuol dire riprodurre la dominazione o instaurare una nuova classe dominante.

Questo articolo è uscito su La Jornada con il titolo «Vida material, capitalismo y cambio social». Traduzione per Comune-info m.c.

Raúl Zibechi, scrittore e giornalista uruguayano dalla parte delle società in movimento è redattore del settimanale Brecha. I suoi articoli vengono pubblicati con puntualità in molti paesi del mondo. In Italia ha collaborato per dieci anni con Carta ed è stato tra i primi ad aderire alla campagna di Comune-info «Nome comune di persone». Diversi suoi libri sono usciti in italiano: Il paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista nel Chiapas, Eleuthera; Genealogia della rivolta. Argentina. La società in movimento, Luca Sossella Editore; Disperdere il potere. Le comunità aymara oltre lo Stato boliviano, Carta. Territori in resistenza. Periferia urbana in America latina, Nova Delphi. Il suo ultimo volume è uscito per ora in Messico, Cile e Colombia ed è intitolato Brasil potencia.

Altri articoli di Raúl Zibechi su Comune-Info sono QUI.

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