Possiamo ragionare sulla qualità dei film e sul perché il cinema commerciale scopre l’immigrazione. Tuttavia, osserva Andrea Segre, regista, nulla intanto cambia nelle vite dei migranti che da ormai vent’anni ogni giorno muoiono soffocati dal deserto, annegati nel mare e torturati nelle carceri finanziate dai Paesi europei (Italia in testa), costretti a infiniti e disumani viaggi (in mare o nella rotta balcanica). “Se davvero vogliamo provare a reagire al punto basso, al fondo in cui Salvini ci ha trascinati, dobbiamo avere il coraggio di avviare cambiamenti reali e profondi: cancellare i decreti sicurezza, annullare i trattati con la Libia e con altri paesi terzi dittatoriali e violenti, aprire flussi di migrazione regolare e controllata, garantire corridoi umanitari…”

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E così questo Natale è successo che il cinema italiano commerciale e potente ha scoperto l’immigrazione e i valori dell’accoglienza: Ficarra-Picone e Zalone fanno a gara incentrando tutto il loro sforzo comunicativo e artistico sul tema e concedendo anche interviste molto schierate, molto “impegnate”. Non sono né ironico né sarcastico, osservo tutto ciò con sincero stupore e ora vi spiego perché, se ne avete voglia.
Premetto che non ho ancora visto i due film, e cercherò di andare presto a vederli, ma qui non è sulla loro qualità o meno che volevo discutere. Volevo riflettere su un altro aspetto. Quando nel 2016-17 ho preparato e poi fatto uscire L’ordine delle cose, molti nell’ambiente produttivo e ancor più distributivo mi dicevano che era follia fare un film su quel tema, che gli italiani ne sono stanchi, che è meglio occuparsi d’altro, che i telegiornali sono già pieni, e poi è un tema che divide, e che insomma dopo tutto era il caso di cambiare tema, che ormai avevamo già raccontato tanto; si era d’altronde appena usciti da una vera e propria sbornia comunicativa sul tema, che tra il 2015 e il 2016 aveva riempito tutti i media, cinema compreso, basti pensare all’importante successo di Fuocoammare, per fare un esempio nostrano. Insomma, non si poteva più parlare di immigrazione.
Nel frattempo però in Italia ha iniziato a dilagare Salvini e la sua onda fangosa di odio e chiusura. Per molti, anche nel mondo del cinema, sembrava che quella fosse semplicemente la trasformazione inevitabile di un paese stanco, vecchio e impoverito di fronte all’inarrestabile movimento globale delle genti. Non c’era altro da fare. Meglio occuparsi di altro. Anche molti colleghi, amici, compagni di viaggio e di tante battaglie avevano desistito: “Ci abbiamo provato, non c’è nulla da fare, occupiamoci di altro”. 2017-2018, non secoli fa.
E poi d’improvviso nel 2019 i due Blockbuster del cinema di Natale sono sull’immigrazione e abbastanza chiaramente contro Salvini. Cosa è successo? Due ipotesi. La prima: il tema grazie a Salvini è diventato appetibile anche per il mercato. La seconda: si è toccato il fondo e persone di intelligenza e capacità comunicativa indubbia hanno sentito il bisogno di reagire. Entrambe sono rilevanti a mio avviso, ma io credo di più alla seconda ipotesi, perché che i direttori marketing di Medusa spontaneamente scommettano sull’immigrazione per stupire il mercato la vedo davvero complessa, invece che figure di potere commerciale reale come Ficarra-Picone e Zalone possano decidere di imporre una propria scelta “morale” su un tema importante a questo ci credo.
Supposto quindi che sia così, che l’improvvisa scoperta del tema sia nata da una reazione di indignazione al punto basso, al fondo a cui si è arrivati, restano due domande spontanee: perché abbiamo dovuto aspettare di toccare questo punto basso? E anche, o forse soprattutto: siamo consapevoli che questo punto basso è conseguenza di scelte che vanno ben oltre e vengono ben prima di Salvini?
Possiamo anche essere felce che il cinema commerciale senta un rinnovato bisogno di impegno sociale, ma credo che questa storia racconti soprattutto quanta schizofrenia esista oggi tra sistema mediatico e realtà: nel sistema mediatico le cose cambiano a una velocità sempre più rapida e incontrollabile, i temi inaccettabili diventano trendy in meno di un anno, i leader vengono affossati e sostituiti in tempi sempre più brevi, le percezioni sono labili e in continua evoluzione, ci si dimentica troppo rapidamente di ciò che è successo ieri o l’altro ieri, invece la realtà materiale delle persone, soprattutto di quelle più in basso nella scala sociale, diventa sempre più lenta e inesorabile. In altre parole da oltre vent’anni, ripeto oltre vent’anni, migliaia di esseri umani innocenti muoiono soffocati dal deserto, annegati nel mare e torturati nelle carceri disumane finanziate dai Paesi europei, Italia in testa, mentre nel mondo mediatico si discute se e quando ha senso farci un film sopra, ma nulla intanto cambia di una virgola, se non peggiora, nei destini, nelle vite, nei corpi di quelle persone e di conseguenze nella vita e nel copro civile della nostra società, che ormai abituata a produrre tanta violenza e morte, si ritrova a essere massivamente e banalmente sostenitrice di posizioni disumane.
In altre parole se davvero vogliamo provare a reagire al punto basso, al fondo in cui Salvini ci ha trascinati, dobbiamo avere il coraggio di avviare cambiamenti reali e profondi: cancellare i decreti sicurezza, annullare i trattati con la Libia e con altri paesi terzi dittatoriali e violenti, aprire flussi di migrazione regolare e controllata, garantire corridoi umanitari, strutturare un welfare reale di integrazione, riformare il trattato di Dubilino. Solo per citare alcune cose: tutte cose molto più concrete di un film (anche di un mio film sia ben chiaro).
Finché non ci sarà il coraggio di avviare questi cambiamenti non ci sarà nessun film capace di risollevarci dal fondo in cui ci ha trascinati Salvini, perché non è lui l’unico colpevole, anzi.
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Appuntamenti
Cambiare le cose dal basso Verso il III° incontro del Forum per Cambiare l’ordine delle cose
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Andrea Segre, regista
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Attenzione però all’ironia che tradisce a ben leggere tanti lapsus freudiani che tanto libertari e accoglienti in fondo in fondo non sono. Lasciano spesso un retrogusto di latente intolleranza anche intellettuale. Preferisco racconti di storie vere, a volte tragicomiche, narrate dietro una lente non solo drammatica o comica. Conoscere e riflettere per educarsi. Non credo nella buona fede di un certo mondo “artistico”.
Invece di sorridere contento che noti attori-autori comico -umoristi abbiano successo commerciale facendo riflettere su temi che il regista- poeta Segre( mi riferisco al bello e struggente “Io sono Lì) ha molto a cuore, il sociologizzante tribuno Segre sembra rosicare chiedendosi stupito come questo sia possibile. E quindi smentisce il proprio ruolo di artista riproponendosi come intellettuale frustrato che non trova ascolto neppure dai politici che dovrebbero essergli più vicini. Al primo interrogativo la risposta è più semplice di quanto Segre immagini proprio perché lontana dalle sue corde. Sdrammatizzare sorridendo serve meglio una causa che una insistita drammatizzazione patetica. A differenza di Segre, se ne devono essere accorti anche i manager commerciali. Il piccolo e significativo successo di “ Bangla” ne è una lampante conferma. ( o il sociologo politicante e rosicone non ha visto neanche quello?)
Andrea, Io Zalone l’ho visto e non credo serva alla causa di un’Italia accogliente. Lo sguardo ironico funziona quando sbeffeggia la burocrazia oppressiva, quando prende per il culo Di Maio, ma non quando si occupa del dramma della guerra, del terrorismo, di chi muore nel tentativo di arrivare fin qui.
Invece credo che questo film abbia il merito di far conoscere a quella maggioranza di ignoranti tra coloro che affollano le sale (in questi giorni i cinema che proiettavano questo film erano strapieni) qual è il drammatico iter che i migranti affrontano e soprattutto il perchè. Forse qualcuno, anche grazie alla simpatia del protagonista, avrà la forza di aprire gli occhi.