La riforma per la valorizzazione dei Beni culturali del governo presentata da Dario Franceschini mette a rischio la tutela del paesaggio e sfiducia gli organi decentrati dello Stato, quelli che presidiano il territorio.
di Paolo Berdini
Il ministro Franceschini è vissuto a Ferrara e conosce ciò che quella meravigliosa città ha saputo costruire: un mirabile equilibrio tra la bellezza urbana e il paesaggio. Lo affermo perché rimasi colpito di una sua dichiarazione nel novembre 2012 in occasione della morte del grande Paolo Ravenna. Sosteneva Franceschini che a lui si doveva molto del rispetto della cultura dei luoghi, dalle mura al parco agricolo che le cinge. A leggere le parti salienti del progetto di riforma del Mibac viene da pensare che siano state quelle parole vane, come sempre più spesso ci abitua una politica che vive di slogan.
Ma forse, nessuno poteva aspettarsi – e dunque neppure il ministro – che il Presidente del consiglio avrebbe iniziato a costruire il suo profilo istituzionale proprio riempiendo di contumelie i «professoroni» e attaccando burocrati e Soprintendenze di Stato. Solo dei grigi burocrati come i soprintendenti, appunto, non capiscono che il futuro dell’Italia è nella messa a reddito del nostro petrolio, e cioè lo straordinario patrimonio culturale che ci fa un caso unico nella storia della cultura mondiale. Un atteggiamento culturale che è l’esatto contrario dell’impegno di una vita di uomini come Paolo Ravenna o, sempre per restare a Ferrara, di Giorgio Bassani.
salvare l’Italia un dovere per tutti. Lio grippi