Non serviva questa campagna elettorale per scoprire il desiderio di una nuova cultura politica. In realtà si tratta di imparare a guardare fuori da ciò che politica istituzionale e grandi media illuminano. Quello che cerchiamo è già qui. È nella piazza centrale di Trieste, ad esempio, nella quale da diversi mesi intorno a una donna con un carrettino verde pieno di garze ogni giorno si incontrano migranti della “rotta balcanica”, donne e uomini, ragazzi e ragazze (in queste settimane tantissimi scout). Le relazioni che nascono, anche con altri territori di diverse città europee, dimostrano che è possibile creare luoghi imprevisti non tanto per ridare significato a parole come accoglienza o cura, ma prima di tutto per ricucire i legami di fiducia che rendono possibile la vita

In questo breve testo, cerco di indicare sinteticamente il modo in cui è sorta un’esperienza politica del tutto particolare, molto diversa dai modi consueti in quell’ambito sociale e culturale che possiamo chiamare sinistra sociale o radicale di tradizione anni Settanta, cui chi scrive ha fatto, nel corso della sua vita, riferimento: un modo che può forse indicare qualcosa sul far politica di base oggi, in una fase storica che si presenta talmente nuova da essere inconcepibile.
Nella piazza del mondo di Trieste
Una donna con un carrettino verde pieno di garze, disinfettanti e pomate che cura i piedi gonfi di un migrante: ecco il gesto fondante della piazza della stazione di Trieste come luogo politico. Si può chiamare la sintesi corporea di una situazione resa politicamente invisibile: il passaggio clandestino di migranti della Rotta balcanica.
Prima di questo imprevisto salto di qualità, avevamo fatto qualche tentativo, anche con un piccolo gruppo di compagni, senza risultato. Il salto di qualità fu quindi opera di un gesto spontaneo, frutto ovviamente di una storia personale. Questo è significativo: il gesto di un corpo che fa precipitare – per una sorta di chimica esistenziale, sociale, politica – un luogo che prima non esisteva e che da allora, da quasi tre anni, continua quotidianamente a manifestarsi.


È stato necessario, però, far scattare subito un altro passaggio che è l’opposto del primo e caratteristico dei nostri tempi: il salto verso l’incorporeo – la rete. Fu la pubblicazione di alcune foto in Facebook, infatti, a saldare un gesto concreto di solidarietà con l’universo astratto ed astraente della comunicazione in rete da cui è nata la piazza del mondo, nelle sue articolazioni locali ma soprattutto d’altrove, che, in una sorta di rapporto dialettico, la mantengono in vita.
Il “sistema piazza del mondo” è riuscito ad articolare una attiva sintesi politica fra il locale e l’altrove. A sua volta, questo è stato possibile perché esisteva qualcosa che era stato reso politicamente invisibile: il passaggio di migranti che arrivavano dal Bangladesh, dal Nepal, dall’India, oltre che da tutto il cosiddetto Medioriente e dall’Africa del Nord.
In tal modo, se la rete è un sistema di controllo, ne abbiamo fatto in questo caso un uso alternativo, come, con i loro cellulari, i migranti.
Tre sono dunque i componenti della sintesi:
- il passaggio migrante, figlio di una situazione geopolitica mondiale che produce devastazioni politiche, sociali, ambientali in ampie parti del mondo – e sempre più ne produrrà; che mette a rischio la vita stessa sulla terra: qualcosa che la “cultura” non riesce ancora a concepire.
- il gesto della cura dei piedi, un contatto intenso di cura per l’altro, che sorge dentro una storia singolare;
- la rete, fondamentale strumento dei sistemi di potere che governano in modo conflittuale lo sfruttamento della terra, ormai giunta a una soglia catastrofica.
Locale e globale
La piazza del mondo si è, in seguito, sviluppata come un aggregato variabile composto da diversi elementi, in una sempre provvisoria sintesi fra il locale e il “globale”, facendo precipitare la nebulosa di quest’ultimo in forme di solidarietà concreta.
Gli elementi sono:
- il passaggio continuo di migranti dalla Rotta balcanica, che vi transitano perché è la piazza della stazione di una città di confine;
- il piccolo gruppo relativamente stabile chiamato Linea d’Ombra, dalla forma giuridica di un’Organizzazione di Volontariato, figlio del gesto iniziale e di una pregressa esperienza con i migranti, che garantisce lo svolgimento quotidiano delle attività: da quelle sanitarie, al cibo, alle scarpe e, insieme, a forme di socializzazione.

Tutto, però, nella piazza è socializzazione: la cura del corpo ferito e umiliato, il dar da mangiare, le scarpe, gli zaini e quant’altro. Quest’insieme relazionale che parte dai bisogni del corpo si può chiamare “cura”: prefigurando umilmente una forma di vita basata sulla cura reciproca. È qui che s’installa la qualità politica di questo tipo d’intervento, che lo differenzia dall’assistenza ma anche da collettivi politici della sinistra radicale degli anni Settanta, e che implica l’affermazione del diritto metagiuridico del migrante di andare dove vuole.
- I solidali in rete che, con le loro costanti donazioni in denaro, anche in forme autorganizzate, consentono l’acquisto di tutto ciò che serve.
- Coloro che vengono a darci una mano in piazza, soprattutto d’estate, a vari livelli, gruppi e singoli, fra cui numerosi i gruppi di scout. Il loro apporto è importante, perché costituiscono una sorta di rete di corpi.
- Inoltre, coloro che direttamente o indirettamente collaborano con noi da altri luoghi e altri confini lungo il percorso dei migranti.
- Va aggiunta infine un’altra modalità relazionale più recente nella piazza, ripresa da un incontro di attivisti internazionali in val di Susa e davanti al CPR di Torino, che rimanda alle migrazioni dal Sud al Nord America: un lenzuolo su cui scrivere il nome di migranti morti o dispersi, intorno a cui si forma un peculiare momento aggregativo, che tocca il suo culmine quando anche migranti scrivono il nome di loro compagni scomparsi.
Si può raccogliere anche il fatto che la piazza è molto visitata da gabbiani, i quali anche violentemente cercano di fruire di avanzi del cibo offerto – segno che la loro fonte naturale è ora assai scarsa – e prendere questo come un ulteriore locale concreto messaggio significativo di tempi non solo storici, ma biologici e geologici, di cui anche i migranti sono manifestazione?

Quella polizia ai bordi della piazza
A tutto questo è necessario aggiungere un’altra componente fondamentale: la controparte, i poteri locali e centrali, la cui presenza si è manifestata e si manifesta in vari modi. Principalmente, è una sorveglianza mascherata d’assenza, che ogni tanto dà un segnale, come è accaduto con la denuncia, poi archiviata, a due di noi. Dal 10 di luglio, il potere locale è riapparso con una rozza presa di posizione del sindaco di Trieste contro il disordine della piazza e per il ristabilimento della maschera del decoro; per manifestarsi, in seguito, nella presenza per ora silenziosa ma costante della polizia ai bordi della piazza.
Per reazione e anche in concomitanza, si è sviluppata, poi, una diversa ma parallela iniziativa da parte delle associazioni assistenziali triestine, anche con un taglio favorevole, almeno in parte, per i nostri interlocutori in cammino. Si tratta dell’apertura ai cosiddetti transitanti di due centri di accoglienza temporanea, diurni e notturni, detti di “bassa soglia”, per periodi cioè di uno due giorni.Non possiamo non accettare ciò che migliora le condizioni di passaggio di alcuni migranti, anche se non di tutti: diciamo dei casi più fragili. Questa iniziativa, concordata dalle associazioni con Prefettura e Comune, cui siamo stati invitati anche noi di Linea d’Ombra, contiene, però, una palese insidia: mira, infatti, allo sgombero della piazza, a ristabilire il decoro, a rendere invisibile la solidarietà autentica, con la sua capacità d’aggregazione e la sua funzione socializzante.
Manterremo fede a noi stessi, nelle nuove circostanze, in cui il clima politico non è migliore di quello ambientale, su cui incide sempre più negativamente, mentre entrambi vanno peggiorando, ovviamente con tempi diversi. Quello politico, nel nostro paese, inoltre, sembra precipitare scompostamente verso una tragicommedia all’italiana.
In tale contesto, la piazza del mondo è come un barcone su cui le persone si arrampicano per incontrarsi: migranti e cittadini. I cittadini aiutano i migranti ad andare dove vogliono. I migranti fanno qualcosa di più: danno senso alle loro esistenze.
Gian Andrea Franchi, già professore di filosofia nei licei, è tra i promotori dell’associazione Linea d’Ombra di Trieste. Tra i suoi libri Una disperata speranza. Profilo biografico di Carlo Michelstaedter (Mimesis). Nell’archivio di Comune i suoi articoli sono leggibili qui.
Con Lorena Fornasir ha aderito alla campagna Dieci anni e più:
Cari amici e compagni di Comune vi invio, insieme a Lorena, un ringraziamento per la vostra esistenza, di una testata cioè che unisce informazione e riflessione. Di quest’ultima in particolare c’è tanto bisogno. Grazie!
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