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Una colata di cemento ci seppellirà

Paolo Berdini
07 Febbraio 2013

Otto metri quadrati di terreni vergini vengono ricoperti di cemento e asfalto ogni secondo. Ogni cinque mesi viene cementificata un’area pari a quella di Napoli; ogni anno una superficie uguale all’estensione di Milano e Firenze. Sono questi i dati impressionanti che l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha presentato ieri in un affollato e qualificatissimo convegno.

L’Ispra ha avuto lo straordinario merito di aver sistematizzato tutti gli studi e le ricerche che negli ultimi anni avevano riguardato il fenomeno e di aver ricostruito per la prima volta l’andamento del consumo di suolo in Italia dal 1956 al 2010. Cinquantatré anni fa era urbanizzato il 2,8% del territorio, contro la media europea del 2,3%. Al 2010 il consumo di suolo italiano è pari al 6,9% e manteniamo il triste record europeo. Nel 1956 la graduatoria delle regioni più cementificate vedeva la Liguria superare di poco la Lombardia con quasi il 5% di territorio “sigillato”, distaccando, Puglia a parte (4%), tutte le altre. Dopo mezzo secolo la situazione cambia:la Lombardia supera la soglia del 10%, ponendosi in testa alla classifica, seguita da Puglia, Veneto, Campania, Liguria, Lazio e Emilia Romagna, ma quasi tutte le altre (14 su 20) oltrepassano abbondantemente il 5% di consumo di suolo.

Il dato è ancor più impressionante se si pensa che il territorio italiano è morfologicamente tormentato, presenta vaste zone collinari e montagne dove è pressoché impossibile costruire e cementificare. Il consumo di suolo ha dunque aggredito le parti pianeggianti ed è ancora l’Ispra ad aver documentato che lungo la costa adriatica, quella ligure, quella romana e della conurbazione napoletana i valori di occupazione del suolo raggiungono valori anche superiori al 40%. Per la pianura padana compresa tra Bergamo e Venezia era già stato l’Istat due anni fa ad aver denunciato la esistenza di un gigantesca conurbazione a bassa densità che ha divorato milioni di ettari di campagna e non ha rispettato neppure i fiumi.

Ed ecco la prima conseguenza della follia italiana: con cadenza regolare le aree pianeggianti vengono investite da gigantesche ondate di acqua che non riesce più a defluire negli alvei fluviali. Alessandria, Genova, le Cinque terre,la Lunigiana, Vicenza e tanti altri tragici esempi, forniscono la misura dell’insensata strada che l’Italia ha intrapreso. Piangiamo centinaia di morti innocenti, di devastazioni urbane e paesaggistiche, di miliardi di euro di danni. Uno sviluppo cieco imposto dalla rendita fondiaria speculativa sta riducendo il nostro paese in una gigantesca colata di cemento.

La seconda conseguenza sta nel disordine urbano e nelle disfunzioni che verifichiamo nella vita di ogni giorno. Ci si muove a fatica nelle nostre città: stiamo diventando un paese immobile perché prigioniero del cemento. E perdiamo così preziose occasioni di lavoro in questi tempi di crisi. La delocalizzazione che nei decenni precedenti prediligeva i paesi più poveri, oggi riguarda la Svizzera o la Carinzia, dove chi investe trova aree funzionali, trasporti che funzionano, servizi tecnologici di avanguardia.

E mentre i paesi europei, Germania per prima, approvano regole che limitano l’espansione urbanistica, nel Veneto dove i capannoni industriali abbandonati rappresentano il 50% della “capannonia” costruita negli anni della crescita economica si sta ad esempio dando il via alla costruzione di 5 nuove “città del divertimento” che divoreranno altri 200 ettari di campagna. Tutte le città, piccole e grandi, continuano ad espandersi senza fine mentre aumentano le case vuote. Si costruisce per favorire gli investimenti della grande finanza internazionale, anche con le grandi opere inutili: dal Ponte sullo stretto, all’Alta velocità della Val di Susa, dal raddoppio dell’aeroporto di Fiumicino, alla folle corsa a costruire porti turistici che, come ad Imperia, nascondono il malaffare. L’Ispra ha compiuto dunque un atto di grande rilevanza: ha reso noti i dati nazionali e ha dato l’allarme su quanto potrebbe accadere se non blocchiamo per sempre l’espansione urbana.

Ma di questo, come noto, i tre maggiori contendenti (Pd, Monti e Pdl) non parlano in campagna elettorale. Il sistema Sesto San Giovanni, e cioè l’assoluta discrezionalità con cui si aumentano a piacere le volumetrie da realizzare è un comodo giocattolo che permette guadagni illeciti e consenso sociale.

Stop al consumo di suolo e Salviamo il paesaggio sono invece le due grandi spine nel fianco di questo sistema di potere cieco e insensibile al bene comune. E sarà la voce delle popolazioni che non ne possono più di vedere devastato il paesaggio italiano a invertire il corso degli eventi. Anche grazie al prezioso lavoro dell’Ispra.

Fonte: blog pubblicato su ilfattoquotidiano.it

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