Mezzo mondo si stupisce del fatto che oltre centomila persone vadano in piazza in Israele per protestare contro un governo di destra-senza-più-limiti e una riforma giudiziaria che metterebbe a rischio quella che i media occidentali che contano hanno sempre descritto come la sola democrazia del Medioriente. Non dovrebbe più stupire nessuno, invece, che, malgrado gli indecenti voltafaccia di Mondadori e dell’azienda dei traporti torinesi, Invictapalestina abbia trovato il modo di bypassare la censura e le onnipotenti pressioni degli amici dello Stato ebraico per denunciare un sistema di apartheid (difficilmente compatibile con ogni idea pur surreale di democrazia) che oggi esprime forse il governo più impresentabile di sempre, travolto com’è da trame oscure, ricatti espliciti e scandali d’ogni risma impossibili da mettere a tacere. Non dovrebbe stupire, dicevamo, perché la bella idea del velabus che qui racconta Patrizia Cecconi, è solo l’ultima manifestazione di solidarietà creativa quanto tenace che da molti decenni non indietreggia e non si riesce a ridurre al silenzio, forse perché, al di là di ogni retorica o perversione comunicativa, dice semplicemente la verità
In questi ultimi giorni l’abituale silenzio dei nostri grandi media sui crimini quotidiani dello Stato ebraico è stato tepidamente e brevemente interrotto. Non che i nostri eroici media si siano spinti fino a raccontare o magari mostrare i quasi quotidiani omicidi (230 in 12 mesi, per non parlare delle centinaia di feriti e delle migliaia di arresti arbitrari) che hanno reso martiri uomini, donne e bambini palestinesi per mano, ovviamente armata, del glorioso esercito israeliano. Sarebbe chiedere troppo! Però giornali e tv hanno accennato a qualche crimine recente ed espresso qualche preoccupazione per la formazione del sesto governo Netanyahu composto di ministri dichiaratamente razzisti come Itamar Ben Gvir o orgogliosamente fascisti, come Besalel Smotrich, solo per citare i due più noti.
Giornali e tv nostrani, in questi giorni, hanno riportato notizia delle imponenti manifestazioni antigovernative contro il tentativo della banda Netanyahu di demolire il ruolo della Corte Suprema, l’organo legislativo dello Stato ebraico, riducendo o annullando le garanzie costituzionali per i cittadini israeliani doc. Per i palestinesi – questo non viene detto – non cambia nulla, ma per gli israeliani sì.
Bene, si potrebbe pensare che quegli oltre centomila manifestanti di Tel Aviv scesi in piazza per chiedere il rispetto per la democrazia fossero indignati, anche, per i crimini costanti commissionati dai loro governi contro il popolo palestinese e invece, purtroppo, questo non è in agenda. Per convincersene basti pensare che tra i manifestanti spiccano nomi di politici di ambo i sessi che hanno legato la loro fama a stermini come l’orrenda operazione “piombo fuso” del 2009 o “margine protettivo” del 2014 ed altri che si sono vantati di aver ucciso un gran numero di arabi dichiarando di esser pronti a ripetere tali eroiche gesta e via dicendo. Uniche, nobili eccezioni, quei pochi israeliani consapevoli e contrari ai crimini dei loro governi.
Queste manifestazioni hanno comunque avuto il merito di accendere i riflettori sulla cosiddetta democrazia israeliana, gravemente malata, ammesso che di democrazia si tratti e non di un suo simulacro visto che uno Stato che pratica l’apartheid tutto può essere fuorché democratico. E Israele è uno Stato (e non solo un governo o questo pessimo governo) che pratica l’apartheid.
È proprio per sensibilizzare quella parte di mondo che crede nei valori democratici che, da circa 18 anni, va avanti la campagna BDS, vale a dire una lotta con pratiche non violente che chiede la fine dell’apartheid attraverso il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (da cui BDS) verso Israele affinché i diritti del popolo palestinese, e le risoluzioni ONU che li riaffermano, vengano finalmente rispettati.
Proprio per far conoscere la situazione di cui i media non parlano, in alcuni paesi europei sono stati esposti grandi manifesti esplicativi alle fermate degli autobus e, in Italia, l’associazione Invictapalestina ha organizzato un’analoga iniziativa che avrebbe dovuto svolgersi in varie città d’Italia. Firmati i contratti, pagate le spese dovute, i manifesti hanno fatto la loro prima comparsa a Torino nelle dodici fermate contrattualmente stabilite finché, improvvisamente, l’azienda di trasporto pubblico torinese non ha fatto rimuovere i manifesti dichiarando che la campagna di Invictapalestina non rispettava il contratto! Ma allora cos’hanno firmato i funzionari dell’azienda? Anche un bambino capirebbe che dev’essere arrivato un ordine, non certo un invito, a censurare la verità, quel pezzettino di verità sulle nefandezze di Israele chiamata apartheid. La città a seguire, dopo Torino, sarebbe stata Milano ma, prima ancora che si procedesse all’installazione del primo manifesto, l’azienda di trasporti milanese ha rescisso il contratto! E’ lecito pensare che Israele, che tutto può, abbia mandato a dire che i panni sporchi si lavano in famiglia e l’apartheid, che di sporcizia ne ha proprio tanta, non può essere così sfacciatamente sbandierata rischiando di far prendere coscienza su uno dei tanti crimini di guerra e contro l’umanità di cui lo Stato ebraico è macchiato e seguita a macchiarsi da ben 75 anni.
Ma il responsabile di Invictapalestina ha cercato una via per bypassare la censura e la via è stata trovata: un “velabus” con enormi manifesti in cui si denuncia l’apartheid ha fatto il giro di Torino per alcuni giorni e dal 23 gennaio è arrivato a Milano, dove seguiterà a girare per tutta la settimana prima di cambiare città.
Come spiega il comunicato degli organizzatori, sul velabus è possibile leggere la definizione di apartheid data dall’ONU e alcuni passaggi del rapporto di Amnesty International in cui si dice che “l’apartheid è il crudele sistema di dominazione e oppressione messo in atto dallo Stato di Israele nei confronti della popolazione palestinese”.
Il comunicato degli organizzatori dell’iniziativa ricorda che l’apartheid in Sudafrica (contro il quale il mondo democratico praticò il boicottaggio) è “cessato nel 1991, mentre quello praticato da Israele si protrae dal 1948 ad oggi.” Inoltre ricorda che “La guerra in corso in Europa e le altre guerre in corso nel mondo non devono farci dimenticare la più lunga resistenza della storia, quella del popolo palestinese che dal 1948 lotta contro quello che B’Tselem (un Centro di informazione israeliano) ha definito un regime di supremazia ebraica dal fiume Giordano al mare Mediterraneo”.
I media main stream non ne parleranno, per questo è bene ripetere che Israele, con o senza Netanyahu e i suoi accoliti razzisti e fascisti, è comunque uno dei grossi punti neri nella realtà del Medio Oriente e lo è perché può sputare sulla legalità internazionale senza essere sottoposto ad alcuna sanzione; può distruggere case, spezzare vite umane, abbattere scuole, confiscare terre, rubare acqua e, nonostante tutto questo e molto altro, ha una schiera di vassalli mediatici che seguitano a coprire col silenzio i suoi crimini e che ora, a comando e sicuramente a tempo determinato, fanno gli scandalizzati perché il nuovo governo è di estrema destra. Ma Israele sa che, con qualunque maggioranza politica, può seguitare ad avanzare verso il suo originario obiettivo criminale camminando impunemente sul sangue delle sue vittime perché, comunque, ha importanti padrini che lo proteggono.
Eppure, nonostante padrini e vassalli che lo rendono intoccabile e insanzionabile, Israele ha paura di qualche manifesto con su scritto no all’apartheid! E il velabus che porta questa denuncia sta girando per le strade di Milano per ricordarlo.
L’articolo che ci invia Patrizia Cecconi è uscito anche su Pressenza
Peppe dice
E’ questa la frase che bisogna abituarsi a citare
“…uno Stato che pratica l’apartheid tutto può essere fuorché democratico. E Israele è uno Stato che pratica l’apartheid”.
Anna dice
Riproviamoci , dai ancora et sempre , RESISTENZA !