Un giornalino nato dalla corrispondenza tra alunni di Soave, provincia di Verona, e di Pontal d’Araguaia, nel Mato Grosso del Brasile. Un ponte di carta, all’apparenza fragile e provvisorio, fatto di scrittura e disegno, in grado di allargare l’idea di mondo “là dove i sogni dei bambini non hanno confini”, scrive la maestra Luciana Bertinato. Un po’ come accade ogni giorno con i bambini di origine migrante, la cui accoglienza ha favorito un cambiamento rapido quanto profondo e arricchente. “Sparse qua e là nella penisola crescono buone pratiche di una scuola multiculturale che c’è già e di quella che verrà”
di Luciana Bertinato
“Aquele abraço” per gli amici che vivono di là del mare. È il titolo di un giornalino nato dalla corrispondenza tra alunni della mia scuola e i piccoli di Pontal d’Araguaia, nel Mato Grosso del Brasile. Un ponte di carta, all’apparenza fragile e provvisorio, per unire le idee dei bambini e intrecciare la nostra vita con la loro: la cultura di un ricco borgo medioevale dell’antica Europa a quella di un paese di capanne immerse nella bellezza della natura latinoamericana, il nostro cibo abbondante e i consumi superflui alla sobrietà di un pugno di riso e fagioli quando va bene, una scuola arredata e connessa al mondo alla vita di strada che diventa spesso cattiva maestra.
Contrasti stridenti dai quali sono scaturiti fertili pensieri che hanno nutrito la curiosità e favorito un clima d’interdipendenza positiva nel lavoro di classe. A poco a poco, attraverso la scrittura e il disegno, il nostro mondo si è allargato oltre l’orizzonte vicino, là dove i sogni dei bambini non hanno confini, fino a scoprire quante possibilità abbiamo, nell’accogliere altre culture, di guadagnare apprendimenti significativi per la vita.
Quando la scuola include, questo scambio arricchente accade ogni giorno in aula tra bambini di differenti nazionalità. Ne sono consapevoli soprattutto le maestre dell’Infanzia e della primaria, poiché per prime hanno vissuto e affrontato, tra mille difficoltà e spesso in solitudine, il fenomeno dell’immigrazione: la sua complessità, la velocità con la quale è avvenuto, il policentrismo diffuso di etnie presenti nei piccoli paesi come nelle grandi città. Lo racconta Vinicio Ongini nel libro Noi domani (Laterza editore): un lungo viaggio dalle montagne del cuneese ai quartieri periferici di Torino, Milano, Roma, dalle scuole dei piccoli indiani sikh della pianura Padana agli esercizi di Costituzione nel Salento, sino alle maestre poliglotte del quartiere Ballarò di Palermo.
A partire dagli anni ’90 il cambiamento è stato rapidissimo. Arlecchino è entrato in classe con il suo vestito multicolore, sia attraverso i bambini nati in Italia di seconda generazione, sia con scolari di recente immigrazione, cambiando profondamente il volto della scuola italiana. Se nel 2011-12 gli alunni con cittadinanza non italiana erano 750.000 (l’8,5 per cento dell’intera popolazione), nel 2016-17 è previsto circa un milione di bambini provenienti da vari paesi del mondo.
Sparse qua e là nella penisola crescono buone pratiche di una scuola multiculturale che c’è già e di quella che verrà. Ogni maestra ha almeno una storia da raccontare: qualcuna d’integrazione serena, altre vissute tra ostacoli e sofferenze perché la diversità pone problemi e ci mette in crisi. Ci costringe a scegliere metodi didattici diversificati, dotarci di mezzi adatti, affrontare le preoccupazioni di molti genitori italiani che vanno superate attraverso una conoscenza interculturale: la sola utile a vincere le paure, scoprire e coltivare i vantaggi umani e cognitivi dell’incontro. In questa prospettiva chiediamo classi meno numerose e maggiori risorse, non solo per costruire saperi ma per trasformare lentamente ciò che la scuola ha intorno.
“L’integrazione c’è – ha affermato un noto sociologo – ma non abbiamo le parole per dirla”. Per questo l’apprendimento serio e rigoroso della lingua diventa, oggi più di ieri, uno strumento indispensabile di apertura al mondo e di cittadinanza attiva. La lingua italiana, e il confronto con altri idiomi, come fondamento su cui costruire una nuova cultura per noi e per chi arriva da lontano. Curioso osservare come i bimbi immigrati di quattro, cinque anni collochino nel disegno della figura umana le lingue parlate. L’italiano imparato abita perlopiù nella testa, mentre è il cuore a racchiudere la lingua materna d’origine.
Tra successi e sconfitte la scuola della buona integrazione continua a essere un laboratorio importante per l’Italia di domani, piccolo per dimensioni ma grande come il mondo, dove nessuno si sente straniero.
Luciana Bertinato ogni giorno in bicicletta raggiunge ventidue bambini e bambine, in una classe seconda a tempo pieno, alla Primaria “I. Nievo” di Soave (Verona). Dal 1995 fa parte della “Casa delle Arti e del Gioco”, fondata da Mario Lodi a Drizzona (Cremona), che promuove corsi di formazione per insegnanti e laboratori creativi per bambini. Questo articolo è stato pubblicato anche su La Vita Scolastica. Altri articoli di Luciana Bertinato sono QUI.
Foto in alto: “still da video lingua mamma di sara basta e mariana ferratto”
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