Una scuola senza insufficienze è possibile, «certo non è facile, è faticoso» dice Catia Castellani, insegnante di arte in un liceo. Quando comincia l’anno spiega ai ragazzi perché non darà 2 e 3 ma aggiunge che ci sarà molto da lavorare finché non faranno un buon lavoro. «Non immaginano nemmeno quanto mi faranno felice – e succede sempre – quando mi diranno di avere riaperto i libri a casa per andare a studiare meglio ciò che sanno meno… In un momento come questo pericoloso e difficile, dove “restare umani” sembra un’idiozia, un segno di debolezza… noi insegnanti dobbiamo andare da un’altra parte… Non una scuola di eccellenze ma di teste pensanti e tutte diverse. Non una scuola azienda ma una scuola creativa e ricca di utopia, fatta “di segni e di scritture illeggibili per popoli immaginari” come direbbe Bruno Munari…»

Entro in classe. Primo giorno di scuola. Nuove classi, le terze di un liceo. Inizio a parlare. Silenzio. Non vola una mosca. Gli occhi sbarrati, lo sguardo attonito. Questo è quello che succede ai miei alunni del terzo anno, anno in cui si inizia a studiare storia dell’arte in un liceo, quando dico loro che non sono propensa a dare insufficienze, che insomma non le darò. Insomma non avranno mai nella scheda un 2 o un 3, un 4 e nemmeno un 5.
Rimangono naturalmente sconvolti, bocca aperta e occhi sgranati È naturale, lo so e allora mi spiego, spiego a loro la mia posizione. Ritengo che il mio sia un bel mestiere, che la scuola debba fornire conoscenze, curiosità, strumenti, orizzonti, sogni, saperi, sguardi. Ritengo che la scuola debba offrire a tutti opportunità per capirsi, per misurarsi con il mondo. Ritengo che dare un 2 o un 3 a un ragazzo sia offensivo per noi insegnanti. Sia mortificante per i nostri studenti. Questo dico ai ragazzi e alle ragazze ma aggiungo che ci sarà molto da lavorare che starò loro con il fiato sul collo, finché non faranno un buon lavoro e intendo per buon lavoro quando questo è fatto con il cuore e il cervello, creativamente e significativamente. Sentito.
Parlo ai miei ragazzi e dico che loro non sono il voto che prendono ma molto di più e che bisogna imparare a sentire quello che si sa e quello che non si sa.
Dico ai miei ragazzi che se la verifica non riescono a finirla, si finirà la prossima volta così avranno il tempo a casa per poter riguardare ciò che non sanno.
I miei ragazzi continuano a guardarmi come un aliena venuta da Marte e non immaginano nemmeno quanto mi faranno felice – e succede sempre! – quando mi diranno di avere riaperto i libri a casa per andare a studiare meglio ciò che sanno meno. Questo è il grande risultato. Questo è il vero risultato. Tutto diventa più lieve, più partecipato. E anche durante la verifica di arte un po’ di musica male non sta, ci si rilassa e si sorride scrivendo.
Certo non è facile, certo è faticoso ma va così. Una scuola senza insufficienze è possibile, basta ribaltare lo sguardo, basta dotarsi di uno sguardo nuovo. Non è facile ma non è impossibile e questo io l’ho imparato dai miei alunni e da quelli più in difficoltà. In un momento come questo pericoloso e difficile che “restare umani” sembra un’idiozia, un segno di debolezza, un’anomalia noi insegnanti dobbiamo tenere duro, andare da un’altra parte, essere di parte. Non una scuola di eccellenze ma di teste pensanti e tutte diverse. Non una scuola bianca e ariana ma diversamente abile, diversamente colorata, diversamente pensante. Non una scuola azienda ma una scuola creativa e ricca di utopia, fatta “di segni e di scritture illeggibili per popoli immaginari” come direbbe Bruno Munari. Una scuola libera da dogmi inutili, da stupide competizioni.
Io ci credo ancora.
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*Insegnante d’arte in un liceo, allieva di Bruno Munari è consulente per la didattica dell’arte contemporanea presso istituzioni, teatri e musei. Conduce laboratori di non-didattica dell’arte contemporanea e di arte-attiva per bambini e bambine di scuole elementari e materne; si occupa di formazione per insegnanti
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LA MIA MAESTRA È UN PO’ SVAMPITA All’inizio si ipotizzò che la mia maestra fosse un po’ svampita. Metteva sempre Bravissima ai miei temi, eppure quando mia madre andava a leggerli, trovava un sacco di errori. La prima volta pensò che la maestra fosse distratta. La seconda pensò che magari non vedeva bene, visti gli occhiali che portava. La terza le telefonò per capire come mai non sottolineasse gli evidenti errori di grammatica che facevo nei miei temi. Ecco la sua meravigliosa risposta SEGUE QUI
Come ex collega, quasi otgtgantenne, mi complimento vivamente con il tuo modo di procedere. Con ogni nuova classe all’inizio dell’anno scolastico scrivevo sulla lavagna la frase “I ragazzi non sono sacchi da riempire, ma fuochi da accendere”. Mi fa piacere quindi quando mi capita di leggere esperienze che vanno in questa direzione. Grazie. Brava.
Domenico Dalba
anche io insegno, e mi fai sentire meno sola: grazie!