Esiste una nutrita filmografia sul G8 di Genova, a partire dalle 290 ore di ripresa che decine di registi, coordinati da Citto Maselli, realizzarono in quei giorni. Altri ottimi documentari si sono aggiunti nel tempo. Di vita non si muore, di Claudia Cipriani, intreccia immagini documentarie e sequenze di ricostruzione narrativa (con Ernesto Spazzali che interpreta Carlo Giuliani): un viaggio nel tempo che ha diverse dimensioni e che a suo modo spiega tante delle ragioni di come sia diventato il mondo oggi. Per coloro che da oltre dieci anni si prendono cura ogni giorno delle pagine di questo spazio di comunicazione indipendente che chiamiamo Comune e che nel 2001 hanno contribuito a preparare e raccontare quelle giornate, il movimento di Genova e l’amore per la vita di Carlo sono qualcosa che illuminano ancora adesso uno straordinario punto di vista critico, assai plurale, sul mondo, sul concetto di potere, sul bisogno di ribellarsi ogni giorno in tanti modi differenti. Per questo e perché Claudia Cipriani è un’amica di Comune, sosteniamo con vigore l’invito di questa recensione di Carlo Ridolfi: “Di vita non si muore dovrebbe esser proiettato nelle scuole superiori, nelle università, nelle sedi di quartiere e nelle parrocchie, per ricordare a chi c’era ciò che non va mai taciuto e per far conoscere e comprendere a chi non poteva esserci quali sono le radici del nostro duro e aspro stare…”
In Di vita non si muore, ultima opera in ordine di tempo della già nutrita filmografia di Claudia Cipriani, c’è un momento – di altissima poesia – in cui dei puntini che si uniscono come nei giochi di un giornale di enigmistica si trasformano in un aquilone che vola alto nel cielo. Chissà quanto alto avrebbe potuto volare Carlo Giuliani, se la sua vita non fosse stata troncata dalla pallottola di un carabiniere, in Piazza Alimonda a Genova, il 20 luglio 2001. Aveva 23 anni.
A ricordare in che modo ha avuto inizio il terzo millennio, prima col G8 di Genova e, neanche due mesi dopo, con l’attacco alle Twins Towers di New York e la successiva reazione bellica degli Usa, forse si spiegano molte delle ragioni di come sia diventato il mondo ai giorni nostri.
Il bellissimo film di Claudia Cipriani ha il merito di unire, con accuratezza della ricostruzione storica e con efficacia del linguaggio cinematografico, la microstoria di un ragazzo dei nostri tempi (e della sua famiglia) e la storia generale del pianeta e dei movimenti di progresso e di reazione che si sono succeduti in questi decenni.
Unendo immagini documentarie – un ricchissimo apparato di fotografie, inserti di riprese di tv locali e nazionali, immagini girate durante i giorni di Genova – e sequenze di ricostruzione narrativa (Ernesto Spazzali interpreta Carlo Giuliani), la regista coinvolge chi assista al suo film in un viaggio nel tempo che ha diverse dimensioni. Come accade nel (magnifico) Dunkirk (2017) di Christopher Nolan la rivisitazione dei fatti storici si interseca con le vicende personali, la biografia individuale con quella collettiva, le voci delle testimonianze con la cronaca di quei giorni non dimenticati e non dimenticabili.
Ecco quindi che dalle speranze insorte nel 1989 con la caduta del muro di Berlino, che avrebbero potuto preludere a una realtà di apertura e di diffusione della democrazia, si passa nel giro di poco più di un decennio all’ingordigia senza freni dello sviluppo capitalistico e neoliberista, spalleggiato e favorito dalle decisioni dei governanti.
Se, infatti, fu sciagurata la scelta (operata dal secondo governo presieduto da Giuliano Amato) di Genova come città che avrebbe ospitato il G8 – cioè il forum politico che riuniva i governi di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti d’America e alcuni rappresentanti dell’Unione Europea -, ancor peggiore fu la gestione logistico-organizzativa da parte del governo presieduto da Silvio Berlusconi (che aveva come vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini, direttamente impegnato in quei giorni a dirigere la sala operativa che avrebbe dovuto governare la situazione).
Esiste una nutrita filmografia su quei giorni, a partire dalle 290 ore di ripresa che decine di registi con 33 troupes, coordinati da Citto Maselli, realizzarono in quei giorni (c’erano praticamente tutti: Francesca Archibugi, Marco Bellocchio, Guido Chiesa, Cristina e Francesca Comencini, Damiano Damiani, Giuliana Gamba, Roberto Giannarelli, Franco Giraldi, Emidio Greco, Ugo Gregoretti, Wilma Labate, Carlo Lizzani, Luigi Magni, Mario Martone, Mario Monicelli, Michele Placido, Gillo Pontecorvo, Nino Russo, Ettore Scola, Daniele Segre, Paolo e Vittorio Taviani), dalle quali furono ricavati tre film: Un mondo diverso è possibile e Genova per noi, a firma collettiva, e Carlo Giuliani, ragazzo (2002) di Francesca Comencini. A questi seguirono altri titoli come Faces-Facce (2002) di Fulvio Wetzl, Le strade di Genova (2002) di Davide Ferrario, Black Block (2011) di Carlo Augusto Bachscmidt, Diaz – Don’t Clean Up This Blood (2012) di Daniele Vicari, The Sumitt (2012) di Franco Fracassi e Massimo Lauria, La sottile linea rossa (2021) di G. Squarcia, Se fate i bravi – Genova 2001, il sogno e la violenza (2022)di Stefano Collizzolli e Daniele Gaglianone.
Ma c’è anche un altro film – suggestione da cinefilo ossessivo-compulsivo, alla quale è probabile che Claudia Cipriani non abbia mai pensato, quindi ogni responsabilità in merito è di scrive – al quale ci ha fatto pensare l’opera della regista milanese: è il bellissimo e dolente Solo sotto le stelle (Lonely Are the Brave. Usa, 1962), diretto da David Miller, interpretato da Kirk Douglas, Gena Rowlands e Walter Matthau, sceneggiato da Dalton Trumbo a partire dal romanzo di Edward Abbey, che è forse il vero requiem del western epico e classico. La costruzione di quel film, infatti, mette in parallelo le vicende di un disincantato cowboy dei giorni nostri e dello sceriffo che, pur solidarizzando con lui, lo sta ricercando per arrestarlo, congiungendo i due destini nella desolata sequenza finale.
“Solo sotto le stelle” potrebbe esser un titolo alternativo – “Di vita non si muore”, verso di una poesia scritta dallo stesso Carlo Giuliani e dedicata alla mamma Haidi, è meraviglioso – per una storia che intreccia destini diversi fino a congiungerli in un momento drammatico e letale. In questo caso si tratta di destini collettivi – anche dal punto di vista storico il lavoro di Claudia Cipriani è esemplare e utilissimo per chiunque volesse veder ricostruiti eventi e movimenti che dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso fino ai giorni nostri (il film va visto fino all’ultimo dei titoli di coda) hanno segnato l’epoca che stiamo vivendo – e di un destino individuale, sempre e comunque intrecciati e connessi.
“Solo” non in quanto solitario o escluso dalla vita sociale. Anzi: le voci – la madre, la sorella, il miglior amico, la sua ragazza, il suo professore di liceo preferito – che raccontano di Carlo lo descrivono come un giovane che amava stare con gli altri, che fin da bambino era capace di socializzare con chiunque, che era curioso della vita fino a farne indigestione. In una stupenda sequenza che precede la conclusione del film tutto ciò si riassume nella discesa a piedi di Carlo per un carruggio che lo porta verso il mare e nel contemporaneo incontro con molte di queste voci che risalgono la stessa via in direzione della città. “Solo” perché l’isolamento e la frammentazione sociale sono sempre funzionali ai potenti di turno.
Genova, in questo senso, non è solo l’ambientazione storico-geografica degli avvenimenti che qui vengono ricordati, ma una vera e propria co-protagonista in tutta la narrazione. Mai luogo fu più sbagliato, per conformazione urbanistica e sociale, per ospitare un convegno dei potenti della Terra. Al punto da pensare che la scelta fosse stata fatta ad arte per cercare e provocare reazioni e giustificarne la repressione. Mille testimonianze dell’epoca e molti riscontri processuali negli anni a seguire – il film lo documenta con precisione – raccontano, ad esempio, come il primo giorno di manifestazioni fosse scorso con tranquillità e persino con allegria. È a partire dal secondo – 20 luglio – che, con il proditorio e certamente pianificato assalto delle “forze dell’ordine” al corteo del tutto nonviolento della Rete Lilliput (che metteva insieme molte associazioni pacifiste e molte di origine cattolica), si diede la stura a scontri e violenze. La stessa dinamica dei fatti di piazza Alimonda suggerisce che ci sia stata una regìa orientata a cercare il conflitto violento, la provocazione e la vittima: una sorta di “colpirne uno per educarne centomila”. Seguirono la devastazione programmata della scuola Diaz e la repressione fascistoide alla caserma di Bolzaneto, documentati e certificati, con l’effetto pratico forse non del plauso, almeno ufficiale, ma certamente della promozione e della progressione di carriera di tutti i responsabili di tanto scempio.
Carlo Giuliani – ragazzo bello, intelligente, inquieto, tormentato, con fragilità e cedimenti e coerenze radicali – è diventato, suo malgrado, l’epitome vivente e poi ammazzata di una generazione intera, che si affacciava al mondo per cercare di cambiarlo e che fu malmenata e uccisa e dispersa in mille rivoli di ritirata, disperazione, disincanto o fuga. A più di vent’anni da quel terribile inizio di secolo e di millennio quei fatti e la sua figura e la sua morte non smettono – non smetteranno mai – di interrogarci e di costringerci a riflettere su ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, per incertezze dei movimenti e per deliberata e scientifica violenza dei poteri e degli interessi che allora si manifestarono nella loro piena e tragica dismisura e disumanità.
Ed è anche per questo che Di vita non si muore dovrebbe esser proiettato nelle scuole superiori, nelle università, nelle sedi di quartiere e nelle parrocchie, per ricordare a chi c’era ciò che non va mai taciuto e per far conoscere e comprendere a chi non poteva esserci quali sono le radici del nostro duro e aspro stare, in attesa di riprendere il cammino, odierno.
Per la visione del film Di vita non si muore il riferimento è
Claudia Cipriani ha prodotto anche questi film: OTTONI A SCOPPIO (2004), LA GUERRA DELLE ONDE (2009), LASCIANDO LA BAIA DEL RE (2011), L’ESTATE CHE VERRÀ (2015), L’ORA D’ACQUA (2018), PINO – VITA ACCIDENTALE DI UN ANARCHICO (2019), L’ULTIMA RUOTA (2021).
DI VITA NON SI MUORE (Italia, 2023) durata: 93’ (pag. fb)
regia, fotografia e montaggio: Claudia Cipriani
sceneggiatura: Niccolò Volpati
con: Ernesto Spazzali, Chiara Maria Berzeri, Milo Volpati
scenografia: Sasha Nicotera
disegni: Sara Vivan
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