A guardare gli avvenimenti del mondo con la sola prospettiva europea e occidentale, cioè quella di chi – almeno dal colonialismo in poi – ha provato a tenerlo sotto il proprio dominio, oggi non proviamo particolari esitazioni nel condannare ogni colpo di Stato. Nella sua espressione in lingua ispanica, poi, il golpe evoca le macellerie senza ritegno dei Pinochet, Videla e di altri criminali. Eppure, diciamoci la verità, facciamo un po’ di fatica a esprimere un giudizio categorico nei confronti dei recenti colpi di Stato anti-francesi del Mali, del Burkina Faso e del Niger. Un quadro ben più intricato presentano poi le situazioni “golpiste” latinoamericane ormai lontane dagli anni Settanta del secolo scorso. In molti di quei casi l’ipocrisia e la parzialità di giudizio della parte politica coinvolta, anche per molti dei nostri compagni di tante battaglie del passato, è lampante. Raúl Zibechi qui prova a fare un po’ di luce su un concetto ormai piuttosto logoro mettendo a fuoco il ruolo gerarchico dei militari, quello del colonialismo di ieri e di oggi ma, soprattutto, la natura del controllo su uno Stato-oggetto-del-desiderio che, nella sua forma tutt’altro che neutrale, resta comunque, nell’analisi di Raúl così come nella nostra, al servizio degli interessi dell’estrattivismo e dell’accumulazione di capitali

Negli ultimi anni il concetto di “colpo di Stato” è stato utilizzato con insistenza dalle sinistre (politiche latinoamericane) per giudicare avvenimenti “negativi”, quasi come un aggettivo dispregiativo.
In quella caratterizzazione sono stati fatti rientrare avvenimenti molto diversi tra loro: dalla destituzione di Dilma Rousseff da parte di un’ampia maggioranza parlamentare brasiliana, al juicio express di Fernando Lugo da parte di un altro parlamento a lui avverso, passando per la destituzione di Manuel Zelaya da parte della Corte Suprema di giustizia dell’Honduras o per le dimissioni di Evo Morales in Bolivia.
Trovo curioso che coloro che difendono la tesi del colpo di Stato per questi quattro casi non tengano conto che – almeno nel caso della Rousseff – la sua destituzione sia stata legittima, secondo le regole, sebbene la si debba considerare politicamente illegittima, perché la maggior parte delle rappresentanze dell’arco parlamentare ha cercato di cambiare l’orientamento del Paese verso destra, contro ciò per cui la popolazione aveva votato.
Difficile anche spiegare che si parli di un “colpo di Stato” contro Evo Morales quando il leader boliviano ha rinunciato volontariamente alla presidenza nel 2019 (dopo 13 anni alla guida del Paese, ndt), dopo aver concordato con le istituzioni di lasciare il governo e, soprattutto, dopo aver ignorato un chiaro pronunciamento della popolazione, nel referendum del 2016 che gli negava la possibilità di una nuova rielezione. Non bisogna dimenticare che fu lo stesso Morales a indire quel referendum e che le istituzioni elettorali a quel tempo avevano posizioni affini alle sue.
Tuttavia, la sinistra non ritiene che, confermando la sua candidatura elettorale, Evo abbia compiuto un “colpo di Stato” nel non rispettare la volontà popolare. Ricordiamo, inoltre, che la sinistra non ha mai qualificato Hugo Chávez come “golpista” dopo il tentativo del 1992, sebbene abbia poi considerato un colpo di Stato quello contro lo stesso Chávez del 2002.
Appare dunque evidente che non è il colpo di Stato ad essere condannato, bensì l’orientamento politico dei golpisti.

Per venire all’attualità, ci sono stati diversi colpi di Stato in Africa, quasi tutti di segno anticoloniale e, più concretamente, contro la Francia. Leggo la stampa di sinistra e sento che c’è più preoccupazione di comprendere che di giudicare, proprio il contrario di quanto accade quando si denuncia un “colpo di Stato” contro i governi progressisti in America Latina. Il colonialismo francese viene criticato come causa dei problemi, cosa assolutamente giusta, perché Parigi ha continuato a sfruttare e opprimere le sue ex colonie fino ad oggi.
Il problema che vorrei porre all’attenzione potrebbe essere formulato in questo modo. Se il colpo di Stato viene rifiutato come strumento politico, lo si dovrebbe fare in tutte le situazioni. Nel mio caso, non condanno né approvo i colpi di Stato in corso in Africa. Il motivo è semplice: non li approvo perché sono compiuti dalle forze armate, cioè sono come tutti i colpi di Stato, compiuti dall’alto per prendere lo Stato.
Però neanche li condanno, perché capisco che si apre una situazione nuova per i settori popolari che rifiutano l’ingerenza di Francia e Stati Uniti. Ci saranno delle ragioni se centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza, approfittando di una crepa che s’è aperta nell’oppressione. Ciò non significa che quelle persone sostengano con decisione i militari che finora le avevano represse.
Se il colpo di Stato rappresenta un’interruzione delle istituzioni vigenti, non ha il minimo senso tacciarlo di “golpe” quando non c’è un’evidente violazione della legalità. Condannare solo quando il colpo di Stato ha un segno opposto al proprio perde invece di ogni credibilità.

C’è, infine, una specifica questione dello Stato. A quelli di noi che lottano per l’autonomia non risulta indifferente chi ci sia a capo dell’apparato statale. Ma non subordiniamo la nostra politica alla difesa delle istituzioni che operano contro quelle e quelli che stanno in basso.
Credo che la denuncia di un colpo di Stato, con la frequenza che si nota nella sinistra politica, dimostri la sua ferma fiducia nelle istituzioni statali e nella democrazia realmente esistente. Con questo tipo di arsenale teorico è quasi impossibile superare il capitalismo. Stato e capitalismo sono sinonimi.
Riguardo al logoro concetto di colpo di Stato, infine, sarebbe utile non dimenticare l’affermazione di Foucault secondo cui “la polizia è il colpo di Stato permanente”. Un monito che dovrebbe aiutarci ad avere meno tabù e più riflessione sulla realtà che abbiamo di fronte.
Versione originale in Desinformémonos
Traduzione per Comune-info: marco calabria
Non credo che stato e capitalismo siano sinonimi. Ci sono molte sfumature nelle diverse organizzazioni statali
i militari sono sempre militari. e poi la lotta contro l’ingerenza americana non può comportare rallegrarsi per regimi filorussi o peggio ancora filocinesi, imperialismi ripugnanti allo stesso modo