Chi suona uno strumento per sua volontà o chi impara uno sport, ma anche chi vuole creare qualcosa, una poesia, un dipinto, un’opera, non ha bisogno che qualcuno lo obblighi a dei compiti. È lui stesso, spiega Paolo Mottana, che vuole migliorare attraverso “quella cosa impegnativa ma appassionante che è l’esercizio…”. Insomma togliere i compiti ha senso se è l’inizio di un ripensamento completo dell’apprendimento

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Al netto del dato incontrovertibile che, nel contesto attuale, togliere i compiti a casa ai ragazzi è un atto di liberazione, occorre a mio giudizio porre la questione in termini un po’ più ampi. Anzitutto: si tratta di una liberazione solo e in quanto si tratta di una vessazione che prolunga la vessazione scolastica in quanto tale al di fuori delle sue mura. Se la scuola non fosse vessatoria probabilmente non lo sarebbero neanche quelle cose che chiamiamo compiti a casa.
Essi sono nel nostro immaginario un aggravio di fatica ma, se le cose stessero in altro modo, sarebbero molto meno scandalosi. Quando per esempio si dice che ciò che si fa a scuola dovrebbe rimanere circoscritto nel perimetro scolastico si dice, a mio giudizio, una cosa molto grave sotto il profilo educativo. E non si fa altro che sancire uno (tra i tanti) dei motivi che rendono la scuola tutt’altro che un’esperienza educativa. E cioè la scissione tra istruzione e vita, cosa orrenda quant’altro mai.
Ma veniamo al punto: se, e dico se, l’educazione/istruzione fosse qualcosa capace di suscitare l’unico elemento che la può rendere sensata (oltre che efficace), e cioè la passione, neppure ci sarebbe bisogno di assegnare i compiti, perché l’appassionato continuerebbe di sua spontanea volontà a esercitarsi o ad approfondire ciò che lo appassiona. È quello che vediamo in ogni attività capace di catturare davvero il piacere di imparare o comunque il desiderio di migliorare che è insito in ogni apprendimento autentico. Chi suona uno strumento per sua volontà, chi impara uno sport, chi vuole creare qualcosa, una poesia, un dipinto, un’opera, non ha certo bisogno che qualcuno lo obblighi a dei compiti. È lui stesso che vuole migliorare attraverso quella cosa impegnativa ma appassionante che è l’esercizio.
Ora è chiaro che il cosiddetto compito a casa diventa vessatorio nel momento in cui riguarda cose, come quasi tutte quelle che si fanno a scuola, indesiderate, lontane dalla vita dei bambini e dei ragazzi e non appassionanti.
Non voglio tornare a dire perché la scuola non può, per sua struttura, indurre che molto raramente un apprendimento per passione. In breve non può perché è un dispositivo oppressivo, scisso dalla vita dei suo destinatari, concentrazionario, omologante e sanzionatorio… Quindi noi ci troviamo nella situazione di dover allentare il carico vessatorio per pura emergenza, come una sorta di atto caritatevole. Ma deve essere chiaro che non è l’esercizio, l’approfondimento, la sperimentazione libera che è in questione. Questi sarebbero segnali che il desiderio di conoscere e di imparare è stato suscitato, come dovrebbe essere in una istruzione appropriata all’età dei suoi destinatari, un’istruzione esperienziale nella quale ciò che si sperimenta sia all’altezza delle curiosità, degli interessi e delle effettive risorse dei bambini e dei ragazzi.
Ora noi siamo lontani anni luce da ciò e a poco valgono le battaglie di chi come me e altri cerca faticosamente di battersi per far cadere le mura scolastiche, di far cadere la scissione terrificante e insostenibile tra educazione e vita. Avendo peraltro ben chiaro che a questa caduta deve poi corrispondere un impegno sociale molto più diffuso e articolato nel far sì che opportunità di esperienza vengano create e disseminate nel concreto della vita dei bambini e dei ragazzi perché possano imparare nutriti dal desiderio di fare cose o di conoscere cose o di vivere cose che siano all’altezza delle loro capacità ma anche capaci di trascinarli appassionatamente come ogni bambino e ogni ragazzo non massacrato dalla plumbea didattica scolastica dovrebbe poter conoscere, fare e vivere (qui il Manifesto dell’educazione diffusa da firmare e far circolare, ndr).
Ma, come detto, anche grazie a un mondo che ha introiettato massicciamente la forma scuola come l’unica in grado di garantire apprendimento (con che risultati è sotto gli occhi di tutti), siamo molto molto lontani da ciò e continuiamo a annichilire la sana voglia di conoscere, di partecipare e di fare che ogni piccolo uomo ha in dotazione almeno fino a che non venga sabotato da un mondo adulto distratto, a sua volta profondamente accecato dallo stesso trattamento e che continua a credere in una società dove vita e lavoro, vita e istruzione, piacere e fatica siano poli scissi impossibili da integrare.
In questa luce, torbida luce ahinoi, togliere i compiti ha un senso. Ma è solo un inizio di un’opera che deve rendersi consapevole che ciò che va posto in discussione è la struttura profonda, disfunzionale, carceraria ma soprattutto separata da ciò che è vitale che ogni edificio scolastico in quanto tale rappresenta. E che ancora oggi mi pare resista nell’immaginario educativo della larghissima maggioranza degli scolarizzati, e che resisterà fintanto che non avremo reimparato a vedere bambini e ragazzi e a vedere il mondo inospitale, per loro e per noi, che abbiamo creato.
E deciso di mutarlo radicalmente.
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* Docente di Filosofia dell’educazione presso l’Università di Milano-Bicocca, Paolo Mottana si occupa dei rapporti tra immaginario, filosofia e educazione. Tra i suoi ultimi libri La città educante (Asterios). È tra i promotori del Manifesto dell’educazione diffusa. Altri articoli di Mottana sono leggibili qui.
Questa la sua adesione alla campagna Ricominciamo da 3:
Pensiero critico [Paolo Mottana]
Con la fiducia che il movimento innescato da Comune-info continui a promuovere il meglio del pensiero critico contemporaneo e idee che contribuiscano a rimettere in piedi una prospettiva di mutamento radicale in un paese che sembra inamovibile e purtroppo dominato da una classe politico-imprenditoriale ignorante, corrotta e del tutto priva di un’idea sensata di futuro.
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per le vacanze di natale ho assegnato ai miei studenti un po’ di esercizi di matematica e fisica invitandoli a studiare una trentina di minuti al giorno una delle 2 materie, escluse le giornate tipiche di festa, diciamo 5 ore in totale in 17 giorni; in più ho assegnato loro delle attività aggiuntive facoltative del tipo: visita il parco x, ascolta il pezzo x di Bach, vai al museo x, visita la garbatella e/o il coppedè, vai alla chiesa x e fatti un selfie, eccetera; non hanno fatto quasi nulla delle attività aggiuntive ma quasi tutti i compiti
A casa si dovrebbe esercitare ciò che a scuola non è stato possibile per ragioni di spazio e/o di tempo imposto .
Le attività fisiche e quelle creative, comprendendo le musicali , dovrebbero avere priorità su tutte le altre, in modo da ridurre
drasticamente l’invadenza di quelle materie “cosi dette primarie”
che hanno da decenni prevalso su quelle “secondarie” ma non meno essenziali !
Eguagliare il tempo reale da dedicare a
” tutto lo scibile ed in modo indiscriminato ”
per consentire una equilibrata formazione di base, ed una pari dignità ad ogni disciplina impartita .