La maggior parte dei morti nel massacro del 16 agosto di Marikana sono stati uccisi da colpi sparati a distanza ravvicinata o sono stati schiacciati da veicoli della polizia. Non sono finiti in una raffica di armi da fuoco, come sostiene la versione ufficiale della polizia. (…) La maggior parte di coloro che sono morti, secondo superstiti scioperanti e ricercatori, sono stati uccisi tra le rocce, in luoghi isolati (…), senza vie di fuga. La polizia armata ha inseguito e ucciso i minatori a sangue freddo. (…)
Gli agenti erano tutti armati. Le armi usate dalla maggioranza degli oltre quattrocento poliziotti erano R5 o LM5, fucili d’assalto, progettati per la fanteria della polizia. Queste armi non possono sparare proiettili di gomma. La polizia era chiaramente schierata in maniera militare, non per deviare possibili comportamenti di rivolta. La morte di tre agenti (accusati di brutalità, tortura e omicidio) qualche giorno prima esigeva la loro vendetta. (…)
I minatori in sciopero non sono angeli. Possono essere violenti come chiunque altro nella nostra società. E in un ambiente infiammato come a Marikana, probabilmente di più. Sono arrabbiati, impotenti, si sentono ingannati e vogliono più di un salario di sussistenza.
Alla luce di tutto questo, potremmo guardare gli eventi del 16 agosto come l’omicidio di trentaquattro persone e il tentato omicidio di settantotto altri sopravvissuti (…) Alla Costituzione del Sud Africa potrebbe essere stata inferto un colpo mortale.
Stralci di un articolo pubblicato sul Daily Maverick il 30 agosto 2012: la versione completa in inglese è qui.
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