Qualche anno fa Gustavo Esteva ha raccontato di un dialogo con una donna indigena del Chiapas. Lei gli narrava le inaudite violenze subite in anni passati, prima dell’insurrezione zapatista. Alla domanda di come fosse stato possibile resistere a tali situazioni, la donna concluse la sua risposta con queste parole: “Ma ora è diverso, abbiamo speranza…”. Un commento di Aldo Zanchetta all’articolo di Raúl Zibechi “Arare la pace in mezzo alla guerra“
“Amicizia, speranza e sorpresa: le chiavi per la nuova era”, aveva scritto Gustavo Esteva per il libro Speranza forza sociale. Nel curare i testi che compongono il libro avevo avuto una certa perplessità nel pensare che questi tre valori, in certo modo così eterei, fossero addirittura le chiavi su cui avrebbe potuto fondarsi una nuova era.
Ma se fosse proprio così? Sono venuto convincendomene poco a poco.
Sorpresa
Lunedì 7 ottobre mi è giunto improvviso uno scritto, pubblicato da Comune, di Raúl Zibechi, instancabile esploratore delle realtà indigene, afro-americane e contadine dell’Amerindia. Lo ha inviato da San Cristóbal de Las Casas, in Chiapas, accompagnato da poche stringate parole: “Estoy en San Cristóbal al encuentro de la diócesis y los pueblos”. Le notizie che da tempo giungono dal Chiapas sono terrificanti e il sogno zapatista di autonomia, libertà e giustizia che aveva suscitato tante speranze anche in ambienti a noi vicini sembrava eclissato. Perciò questo articolo di Zibechi è un sorprendente raggio di sole che fora all’improvviso il buio di quella che gli zapatisti definiscono la grande “tormenta”.
LEGGI L’ARTICOLO DI RAÚL ZIBECHI:
Da tempo i pueblos del Chiapas sono stretti in una morsa violenta le cui due ganasce sono costituite l’una dalle forze paramilitari aizzate dal governo contro le comunità “ribelli”, l’altra dai “cartelli” dei narcotrafficanti impegnati a conquistare in dura competizione il controllo del passaggio delle droghe dal Guatemala verso gli Stati Uniti con il silenzio complice dello stesso governo.
Lo scritto di Zibechi ha come titolo “Arare la pace”. É il lemma dell’incontro che si stava svolgendo a San Cristóbal dal 3 al 6 di ottobre1 con la presenza di oltre milleduecento partecipanti, quasi tutti indigeni chiapanechi. In poche parole: è un incontro organizzato dalla diocesi di San Cristóbal nella coincidenza di tre anniversari: i cento anni dalla nascita di jTatic, il vescovo Samuel Ruiz, così radicato nel ricordo dei pueblos (come nel mio personale); il cinquantesimo del primo incontro delle sette etnie indigene dello Stato che segnò l’inizio di quella presa di coscienza che anni dopo avrebbe dato vita in una parte di loro all’insurrezione zapatista del 1° gennaio 1994; infine il decimo del Congresso Indigeno della Madre Terra.
Molte le cose da dire sui temi discussi al Congresso e che Zibechi ha stringato in poche parole, sulle quali però converrà tornare.
Una considerazione: il lemma “arare la pace“ non avrebbe potuto essere pensato altro che da un popolo nel cui immaginario domina la Pachamama, la Madre Terra. Molto diverso, a pensar bene, dal “costruire” la pace.
Amicizia
Nel testo risalta una frase: “Il Congresso ha richiesto un anno di preparazione” da parte delle sette etnie partecipanti, alcune numericamente consistenti, altre ridotte a poche centinaia di persone, ciascuna dotata di una propria cultura e pari dignità.
La storia dei cinquecento anni di dominazione spagnola è una storia di lunga separazione e di una sequenza di insurrezioni etniche fra loro separate, facilmente represse. Quella che da cinquant’anni è nata è una relazione diversa fra esse: una unità di intenti nel mantenimento della diversità dei singoli “usi e costumi”. Ed è all’interno della collaborazione di queste etnie che è nato un altro lemma confacente alla nuova era della quale necessitiamo urgentemente: “Un mondo che contenga mondi diversi”.
Speranza forza sociale
In un suo scritto Gustavo Esteva racconta di un dialogo che ebbe con una donna indigena durante un suo viaggio in Chiapas. Lei gli narrava le inaudite violenze subite in anni passati, prima dell’insurrezione zapatista. Alla domanda di come fosse stato possibile resistere a tali situazioni questa aveva conclusa la risposta con queste parole: “Ma ora è diverso, abbiamo speranza”.
Qui noi siamo in un momento particolarmente teso di disorientamento e paura ma anche per molti di vero sonnambulismo (oltre il 60 per cento, secondo il rapporto Censis 2023 sulla situazione sociale del paese). Che fare? Esteva era solito citare Vaclav Havel, il presidente della transizione post sovietica della Cecoslovacchia, che esortava a fare cose che abbiano senso, indipendentemente da ciò che sta profilandosi. Come il contadino che fa la sua semina, anche senza la certezza di poter raccogliere il raccolto desiderato…
Note
1 Si riferisce al lemma dell’evento in corso, che per l’esattezza è più pregnante: “Arare la pace nel mezzo della guerra”. Una guerra di violenze che distruggono il loro territorio e i suoi abitanti, mentre altre guerre distruggono altri territori e popolazioni.
Aldo Zanchetta e Raúl Zibechi hanno aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paur
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