“Sorridi sempre”, cazzata. Se stai male dillo, chiedi aiuto, delimita i tuoi confini, abitua l’altro alla tua fragilità che è anche la sua. Fregatene di non essere compiacente, se ti fanno incazzare esprimilo. Il dissenso fa crescere, il rancore fa ammalare.
Spezza gli stereotipi e la loro rappresentazione. Pretendi uguaglianza nel lavoro, a casa, nei rapporti.
Sputa ai paternalismi. Nei libri, agli scrittori, agli uomini che hanno sempre da insegnare qualcosa anche come essere madre e donna.
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Non arrivare dappertutto. Se lasci quello spazio vuoto qualcuno sarà obbligato a riempirlo e lo considererà un fatto naturale non un aiutino.
Caccia nel cesso l’Ap del registro elettronico. Il controllo deresponsabilizza i figli e ci incatena a un ruolo che fa comodo al potere.
Educare i figli non è solo compito tuo. Preghiera della mattina da ripetere ad alta voce. Cucinare, occuparti della spesa – pure attenta a non spendere troppo – della casa, dell’organizzazione della famiglia, non è solo compito tuo. Preghiera della sera.
Prenditi uno spazio, non rubarlo tra le pieghe del giorno, difendilo con le unghie e con i denti. Che sia un dato di fatto non un permesso.
Fai rete con altre donne. Non pensarti sola e non viverti sola. Condividi, racconta, non vergognarti dei dolori indicibili, delle preoccupazioni. Da sole è tutto più incomprensibile.
Non negare il disamore. Se una storia finisce hai diritto di dirlo, l’abitudine a incarnare il desiderio del mondo è dura a morire.
Incarna il tuo di desiderio.
La maternità è una condizione, appunto, uno stato e ha a che fare soprattutto con la capacità di prenderci cura di noi stesse. Di proteggere la nostra esistenza di donne, di persone. È così che proteggiamo un futuro più giusto.
Cinzia Pennati (Penny) è insegnante e scrittrice. Questo il suo blog sosdonne.com. Nelle librerie il suo La scuola è di tutti. Le avventure di una classe straordinariamente normale.
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Claudia dice
Penny, grazie: condivido tutti gli sproni e quasi tutte le parole utilizzate. Dico “quasi” perché, nonostante capisca che si tratti di un’invettiva, mi sembra che si possa “mutuare” la parola “sputa” e l’immagine, “butta nel cesso”. In questi tempi così violenti, responsabilità di chi scrive, forse è quella di sforzarsi di trovare parole “pacifiche” che creino immagini di lotta non violenta. Sono sicura tu sia d’accordo…?
Lorena Currarini dice
da insegnante, condivido l’energia di quell’invettiva (la violenza mi sembra un po’ un’altra cosa, no? Ci mancherebbe di doversi censurare per essere femminilmente gentili….). Il registro elettronico è una iattura infinita, voti e assenze in tempo reale, un controllo asfissiante sui ragazzi (addio assenze ingiustificate, “tagliare” – ai miei tempi si ficeva così- per godersi una libertà colpevilissima e bellisdima..) e anche su noi prof.
Grazie 🙂