
“Sorridi sempre”, cazzata. Se stai male dillo, chiedi aiuto, delimita i tuoi confini, abitua l’altro alla tua fragilità che è anche la sua. Fregatene di non essere compiacente, se ti fanno incazzare esprimilo. Il dissenso fa crescere, il rancore fa ammalare.
Spezza gli stereotipi e la loro rappresentazione. Pretendi uguaglianza nel lavoro, a casa, nei rapporti.
Sputa ai paternalismi. Nei libri, agli scrittori, agli uomini che hanno sempre da insegnare qualcosa anche come essere madre e donna.
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Non arrivare dappertutto. Se lasci quello spazio vuoto qualcuno sarà obbligato a riempirlo e lo considererà un fatto naturale non un aiutino.
Caccia nel cesso l’Ap del registro elettronico. Il controllo deresponsabilizza i figli e ci incatena a un ruolo che fa comodo al potere.
Educare i figli non è solo compito tuo. Preghiera della mattina da ripetere ad alta voce. Cucinare, occuparti della spesa – pure attenta a non spendere troppo – della casa, dell’organizzazione della famiglia, non è solo compito tuo. Preghiera della sera.
Prenditi uno spazio, non rubarlo tra le pieghe del giorno, difendilo con le unghie e con i denti. Che sia un dato di fatto non un permesso.
Fai rete con altre donne. Non pensarti sola e non viverti sola. Condividi, racconta, non vergognarti dei dolori indicibili, delle preoccupazioni. Da sole è tutto più incomprensibile.
Non negare il disamore. Se una storia finisce hai diritto di dirlo, l’abitudine a incarnare il desiderio del mondo è dura a morire.
Incarna il tuo di desiderio.
La maternità è una condizione, appunto, uno stato e ha a che fare soprattutto con la capacità di prenderci cura di noi stesse. Di proteggere la nostra esistenza di donne, di persone. È così che proteggiamo un futuro più giusto.
Cinzia Pennati (Penny) è insegnante e scrittrice. Questo il suo blog sosdonne.com. Nelle librerie il suo La scuola è di tutti. Le avventure di una classe straordinariamente normale.
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Penny, grazie: condivido tutti gli sproni e quasi tutte le parole utilizzate. Dico “quasi” perché, nonostante capisca che si tratti di un’invettiva, mi sembra che si possa “mutuare” la parola “sputa” e l’immagine, “butta nel cesso”. In questi tempi così violenti, responsabilità di chi scrive, forse è quella di sforzarsi di trovare parole “pacifiche” che creino immagini di lotta non violenta. Sono sicura tu sia d’accordo…🤭
da insegnante, condivido l’energia di quell’invettiva (la violenza mi sembra un po’ un’altra cosa, no? Ci mancherebbe di doversi censurare per essere femminilmente gentili….). Il registro elettronico è una iattura infinita, voti e assenze in tempo reale, un controllo asfissiante sui ragazzi (addio assenze ingiustificate, “tagliare” – ai miei tempi si ficeva così- per godersi una libertà colpevilissima e bellisdima..) e anche su noi prof.
Grazie 🙂