In agosto, la nomina di Mikhtar Robow a ministro per gli affari religiosi della Somalia, ha sancito quell’oscuro e violento legame tra gli apparati governativi e il movimento islamista Al-Shabaab. La Biblioteca antirazzista Carminella di Roma ha incontrato Mohamed Abdilrahman, residente in Italia da alcuni anni, per ricostruire il difficile percorso e la drammatica situazione nella quale vive la società civile di un paese che non fa notizia

La Somalia, un paese con una storia tormentata di spartizioni, tra colonialismo, guerre, migrazioni e abbandono sino al declino post unificazione, aggravata da una carestia e una crisi umanitaria senza precedenti, sta vivendo oggi uno dei momenti più drammatici a causa dei nuovi assetti politici (mentre il tasso di analfabetismo supera il 70 per cento e cresce la povertà).
Nel febbraio del 2021 la Somalia, già martoriata dai continui attentati rivendicati al gruppo jihadista Al-Shabab vive una situazione di caos dopo la fine del mandato costituzionale di Mohamed Abdullahi Mohamed. Le elezioni presidenziali e parlamentari continuano a essere rinviate fino a quando, il 2 agosto di quest’anno, a seguito dell’annuncio da parte del primo ministro somalo Hamza Abdi Barre, per la nomina di Mikhtar Robow a ministro per gli affari religiosi, viene stato sancito quell’oscuro e violento legame tra gli apparati governativi e il movimento islamista Al-Shabaab. Politica e religione dunque: una formula velenosa per un Paese che stava con fatica tentando di rimettere al centro della questione politica ed economica gli interessi della società civile.
Una scheda sulla Somalia a cura del Centro Astalli
È insieme a Mohamed Abdilrahman, residente in Italia da alcuni anni, che abbiamo voluto ricostruire il difficile percorso e la drammatica situazione alla quale la società civile somala è chiamata a rispondere nell’imminente futuro.
Mohamed, è sempre più lontana una possibilità di riscatto per il suo Paese?
Sì, penso che dopo la nomina di Mikhtar Robow, tutto si andrà drammaticamente complicando. Lo abbiamo visto il 21 agosto con l’attentato all’Hotel Hayat, nel centro di Mogadiscio, da parte di un commando di miliziani islamisti di al-Shabaab. Ma per comprendere meglio e più in profondità è necessario ricostruire la storia e sapere che Mukhtar Robow è stato l’interlocutore – il portavoce principale di Harkat al Shabab al Mujahidin -, il gruppo di ribelli islamici con sede in Somalia e attivo in Africa orientale. Lo scopo di Al-Shaabab è stato sempre prendere di mira e destabilizzare il governo federale di transizione somalo (Tfg). Già nel 2007 Harkat al Shabab al Mujahidin attaccò le forze governative somale e i sostenitori della pace dell’Unione Africana. L’anno prima, nel 2006, fu responsabile dell’attacco suicida contro un posto di blocco del Tfg a Baidoa, una delle principali città della Somalia. Per non dimenticare poi i successivi attacchi suicidi: quello del 3 dicembre 2009 a Mogadiscio dove un’esplosione all’Hotel Shamoa uccise venticinque persone tra cui quattordici studenti di medicina riuniti lì per festeggiare il giorno della loro laurea, e quello dell’11 luglio 2010 a Kampala, in Uganda, nel quale rimasero vittime più di settante persone. A tutti gli effetti Harkat al Shabaab al Mujahidin è dunque una organizzazione terroristica! E che sia oggi nominato come ministro per gli affari religiosi proprio un suo componente non fa presagire nulla di buono. C’è invece da chiedersi perché l’attuale governo lo abbia voluto premiare.
Quali erano le speranze che anche lei andava nutrendo prima di questa scelta del governo?
Con il governo precedente noi giovani, tutto il popolo somalo, nutrivamo speranze altissime grazie alle azioni positive che lo stesso era riuscito a mettere in campo. Dalla paga puntuale degli stipendi alla collaborazione con il Fondo Monetario Internazionale per la cancellazione del debito. Pensavamo di essere sulla buona strada. Anche se lontano dal mio Paese, avevo la sensazione che si stesse lavorando tutti insieme per ricostruire la nostra grande Somalia. L’attuale governo ha distrutto questo sogno palesandosi quale governo terrorista con Robov Mikhtar premiato e nominato ministro. È una follia! Vorrei tanto ma, dove è che dovrei tornare? Nel mio Paese? In una Somalia dove la speranza è tramontata?
Come stanno reagendo i giovani?
Si sentono senza più sicurezza, hanno paura perché non sanno cosa verrà riservato loro domani e la maggioranza di loro è contrario alla nomina di Robov Mikhtar. Ai fanatici di Al-Shabaab è stato ordinato di uccidere cittadini somali innocenti. Perché uccidere tutti quei giovani? L’immagine del governo che abbiamo davanti è quella di “un animale selvatico che ha ucciso un cervo e che ha detto a un leone di distribuire bene la carne. Poi la volpe ha visto come ha agito il leone e ha detto: non era questa la promessa, ma Maud ha scelto la fame!”. Un vecchio proverbio somalo e riflette la realtà attuale.
Quanto, secondo lei, le democrazie occidentali sono complici di questa situazione?
Le democrazie occidentali sembrano benedire il terrorismo e volere che la Somalia non sia un paese stabile, come invece lasciano intendere. Siamo di fronte a un Occidente che approva attraverso il silenzio, portando il nostro Paese alla fame più di quanto già non lo sia, con l’aiuto di politici corrotti. Non è forse questo il neocolonialismo? Sarebbe ora di smetterla! In più, quando leggo su twitter che il Pontefice si accora per la povertà somala dovuta alla siccità e invita alla solidarietà internazionale inviando aiuti economici (@Pontifex_it del 14 agosto) mi si accappona la pelle perché so bene che questi sono aiuti che non arriveranno mai davvero al popolo ma si fermeranno nelle mani dei terroristi e dei mercenari. E allora io, come cittadino somalo, non voglio contribuire a questa vergogna e mi sembra giusto smascherare questa ipocrisia.
Intervista a cura di Clara Santini, docente di lingua italiana come L2, mediatrice culturale e membro della Biblioteca antirazzista Carminella di Roma
“Somalia italiana” Alla luce di quanto accade in Somalia, una riflessione della Biblioteca antirazzista Carminella: “Sebbene la Somalia possa apparire così distante dalla nostra realtà, sarebbe bene ripercorrere e riflettere anche sul ruolo che l’Italia, sin dal 1908, rivestì nei confronti di questo Paese: una triste storia di colonizzazione iniziata già sul finire del XIX secolo, che nel 1908 vide un Parlamento italiano “approvare una legge che riuniva tutti i possedimenti italiani nella Somalia meridionale in un’unica entità amministrativa” alla quale fu dato il nome di “Somalia italiana”. Sarebbe anche bene non dimenticare la storia di una Italia che nel 1969, nove anni dopo la proclamazione dell’indipendenza della Somalia, “accompagnerà” al potere l’ex carabiniere italiano e dittatore Siad Barre, rimasto in carica fino al 1991”.
Quando penso all’Africa che ho visitato e che trovo sorprendente per la sua bellezza e per le donne e gli uomini sempre sorridenti, ho una grande tristezza: l’Occidente l’ha depredata e continua.
Non parliamo poi del razzismo, si aiutano gli ucraini e gli africani?!! 🌸