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Lavoriamo per la conoscenza. Immaginiamo il futuro comune

Marina Mastropierro
27 Aprile 2012

Il 14 giugno 2011 viene occupato il Teatro Valle a Roma. Gli intermittenti dello spettacolo e i lavoratori della conoscenza abbandonano il ruolo di cittadini-consumatori per assumere quello di protagonisti nella produzione e diffusione dei beni culturali e dell’immaginario postmoderno. Mettono in scena la loro auto-organizzazione e si rendono conto che funziona meglio di uno spettacolo diretto da un unico regista: gli individui non rispondono più alle attese della società quando essa non ha più nulla da chiedere. È intorno a questi temi che ragionano Roberto Ciccarelli e Giuseppe Allegri in «La furia dei cervelli» (manifestolibri).

Consumato il modello sociale basato sulla rappresentazione dei ruoli, i lavoratori della conoscenza propongono un mondo basato sull’esperienza e sulla dimensione etica delle passioni piuttosto che sullo status e sulla rappresentanza politica, un mondo nel quale le biografie hanno più valore delle competenze. In questo contesto si muove il Quinto Stato, un soggetto politico plurale e trasversale alle differenti classi e condizioni sociali, un attore collettivo accomunato dal desiderio di una vita autonoma e indipendente. Il Quinto Stato, raccontano Ciccarelli e Allegri, vanta dei progenitori antichi già dal 511 quando nel Concilio di Orlèans venne sancito il principio della partizione tra soggetti autonomi e indipendenti. Il lavoratore indipendente viene assimilato al senzatetto, all’indigente, all’ozioso, a una figura socialmente pericolosa che mette a repentaglio l’ordine e la stabilità del vivere comune. Lungo i secoli, e in particolar modo nell’Ottocento, questa divisione tra soggetti operosi e soggetti oziosi viene utilizzata dagli Stati europei per legittimare il proprio potere e agevolare quegli ordini professionali che si prestano all’assimilazione delle regole corporative in cambio di protezione da parte dell’autorità.

Negli anni Settanta del Novecento migliaia di lavoratori si mettono in fuga dalla fabbrica fordista per costituire un mercato professionale autonomo e diffondere la piccola impresa e l’impresa a rete. L’esplorazione di nuovi mercati e di nuovi campi del sapere, come il marketing, la moda, la pubblicità, lo spettacolo, l’informatica, determinano la nascita di un nuovo mercato, quello dei lavoratori dell’immateriale. Milioni di giovani cercano di riappropriarsi del proprio tempo mentre la società dello spettacolo si afferma come modello di sviluppo economico che trasforma il patrimonio di conoscenza personale in «capitale intellettuale», svenduto su un mercato di prestazioni a basso costo, facilmente intercambiabili e senza diritti.

Il primo movimento a comprendere le finalità di questa trasformazione in atto nell’economia della conoscenza è il movimento degli studenti «la Pantera». Quelli della Pantera intuirono che il lavoro della conoscenza si stava trasformando da status professionale a condizione generale della società, e che la retorica dei partiti di sinistra sui «ceti emergenti» e sulle «nuove professioni» era solo fumo negli occhi. Gli studenti chiedono il riconoscimento dell’autonomia, come dato costituente dell’indipendenza, e la possibilità di misurare il proprio tempo di vita e di lavoro attraverso il reddito e non più il salario. Da quel momento in poi il lavoro della conoscenza si è staccato dalla figura romantica dell’intellettuale critico per essere incorporato negli indotti delle imprese de localizzate e nelle reti di appalto e subappalto, oscillando tra la corvée e l’ inoccupazione. A fronte di questo cambiamento però esiste un potente elemento soggettivo proprio del lavoro della conoscenza: il desiderio di essere autonomo e di resistere alla riduzione dei costi e alla flessibilizzazione della produzione.

I lavoratori indipendenti rappresentano un terzo della forza-lavoro attiva in Italia, si tratta di lavoratori quasi mai iscritti a un ordine professionale che trattano personalmente con il committente e che si pagano tasse e contributi. Per superare questo isolamento sociale e riconoscersi in una condizione lavorativa comune il movimento dei lavoratori indipendenti deve oggi ridefinire i criteri sui quali si è costruita la cittadinanza: autonomia, indipendenza e cooperazione sono i requisiti alla base dei quali il Quinto Stato  rivendica oggi diritti sociali e autogoverno delle istituzioni culturali in nome di beni comuni quali la cultura, la produzione e la formazione artistica.

Mettere in comune saperi, competenze, reti professionali e sociali, è un modo per sperimentare nuovi linguaggi e nuovi modelli organizzativi basati sulla gestione dell’autonomia e sulle forme di vita indipendenti. Il patto sociale tra produttori proposto dal Teatro Valle fornisce un ottimo esempio di come sia possibile uscire dalla crisi del razionalismo occidentale, che accomuna tanto il neoliberismo quanto il social-statalismo, trovando soluzioni nuove e originali.

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