Il carcere è al collasso da tempo. Lo testimoniano i suicidi e le morti che anche quest’anno raggiungono numeri agghiaccianti. Ma resta un mondo di cui si parla sempre poco e male. Tuttavia, mentre la destra restringe perfino le alternative al carcere per donne incinte e con bambini piccolissimi, c’è chi organizza due intere giornate dedicate al tema del carcere, delle alternative alla detenzione, della prevenzione. Due giorni di laboratori nelle scuole, di musica e di parole in uno splendido spazio autogestito che ha visto centinaia di persone comuni, tra cui molti ragazzi, ascoltare e confrontarsi sul tema politicamente più scomodo e impopolare del mondo

Due giorni dedicati al tema del carcere, delle alternative alla detenzione, della prevenzione. Due giorni di laboratori nelle scuole, di musica e parole in uno splendido spazio autogestito di Ivrea (si chiama ZAC! Zone Attive di Cittadinanza e la sua esistenza futura è minacciata dalla giunta di centrodestra), una mattinata di lavoro e confronto tra operatori, giuristi, educatori, psicologi, rappresentanti del personale di sorveglianza, comunità e associazioni impegnate sui diritti dei detenuti; un pomeriggio di interventi online e di restituzione pubblica. Questo è avvenuto a Ivrea il 9 e 10 marzo.
In un’ottica di prevenzione, in un istituto superiore eporediese, è intervenuta Daniela Garcea, mixologist professionista e formatrice. Ha spiegato cosa significa “bere molto consapevolmente”, per ridurre i rischi legati all’assunzione di alcol, pratica sempre più diffusa tra gli adolescenti. Il rapper e scrittore Kento ha condiviso con i ragazzi e i docenti il racconto dei suoi interventi nelle carceri minorili, a raccogliere parole e sogni dei ragazzi reclusi. Gli studenti si sono sentiti molto coinvolti, hanno colto l’importanza di essere inclusi nel dibattito sul tema, tanto da chiedere nuovi incontri.
Nel centro ZAC! Ilaria Cucchi, Fabio Anselmo, Nello Trocchia e lo stesso Kento hanno affrontato, di fronte a una platea che ha riempito la sala, il tema del rispetto dei diritti umani dentro le mura carcerarie e nel sistema delle misure alternative.
“Ti riguarda” è stato il titolo del convegno, pensato in realtà come l’inizio di un percorso di dialogo e progettazione condivisa tra tutti gli attori che ruotano intorno all’universo carcerario, per arrivare a un’idea di pena che rispetti quanto previsto dall’articolo 27 della nostra Costituzione:
“la responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Al carcere, appunto, la Costituzione assegna il compito di riabilitare e reinserire l’individuo nella società. Affinché si realizzi il principio costituzionale, è necessario far attraversare gli spazi detentivi dalla società, dalle occasioni formative, lavorative e culturali in senso ampio.

Quando il carcere è inevitabile, dentro le sue mura occorre alimentare il dialogo con il territorio, stabilire reti di connessione permanenti con i servizi sociali e sanitari e con la dimensione della comunità esterna. Il titolo del convegno porta un’evidente provocazione semantica, perché nella narrazione pubblica e nella dimensione simbolica che ne scaturisce il carcere è vissuto come elemento estraneo alla società, come un luogo da essa separato, seppure ne contiene evidentemente tutte le contraddizioni e ne replica perfettamente l’immagine delle ingiustizie e degli squilibri sociali dominanti. Chi è più forte fuori è più forte anche dentro. Chi ha più risorse economiche, relazionali, di rete, ha più possibilità di accedere alle misure alternative esterne e di usufruire delle possibilità di reinserimento. L’accesso all’articolo 27 è una questione di classe. Rispecchia il sistema delle disuguaglianze presente nel nostro Paese.
Il sistema carcerario italiano, come dicono gli operatori e le operatrici del settore, “sta esplodendo”. Lo testimoniano i suicidi e le morti che anche quest’anno raggiungono numeri agghiaccianti, lo testimoniano il sovraffollamento, la mancanza di acqua calda in molti istituti, la carenza di operatori del settore socio-sanitario e di sorveglianza; lo testimonia l’impalcatura complessiva di un sistema che diventa giorno dopo giorno afflittivo e punitivo e che per le disfunzioni interne, per la mancanza di un progetto, diventa fonte di aumento della recidiva oltre che di supplizio e privazione dei diritti fondamentali della persona.
Ti riguarda, ci riguarda, perché la società non può rimanere muta di fronte a quello che accade tra le mura degli istituti di pena, non può rimanere muta di fronte alla mancata possibilità di accesso a opportunità formative, lavorative, di accoglienza esterne, solo perché la politica e l’economia hanno stabilito una soglia sociale all’accesso ai diritti.
Certo, un convegno come quello che si è svolto a Ivrea rema contro il corso della storia e della politica di questi anni. Rema contro un’idea securitaria del diritto per cui dove c’è esclusione e sofferenza non si interviene con inclusione e welfare, ma con l’inasprimento della pena, con il carcere, con la repressione. Quello attualmente in carica è un governo che di fronte ai fenomeni del disagio sociale, alle conseguenze della crisi economica, alle eterodossie culturali risponde aumentando i reati e abbassando la soglia di accesso all’orizzonte della detenzione.
A Ivrea, nella provincia del Nord Italia, è successo qualcosa di bello ed è sempre difficile parlare di bellezza quando si parla di pena. Bello è stato vedere centinaia di persone ascoltare e confrontarsi sul tema politicamente più scomodo e impopolare del mondo, bello è stato veder parlare di progetti di lungo periodo e di diritti universali, bello è stato assistere al confronto tra mondi e visioni distanti e apparentemente inconciliabili, come quelli dei rappresentanti del personale di sorveglianza e delle realtà che si occupano di difesa dei diritti umani, ad abbattere pregiudizi e muri. Bella è stata la contaminazione tra i linguaggi del seminario, della musica, della testimonianza, della formazione. Bello è stato pensarci come una comunità che non si arrende di fronte alla sordità delle istituzioni e di troppa parte della politica.
Un convegno, tra tavoli di lavoro condotti e coordinati da Antigone e da Officine Terzo Settore di Ivrea (fb) e da attivisti e attiviste per i diritti umani tra cui militanti dell’APS Casetta Rossa di Roma. Uomini e donne che intraprendono un percorso che non vuole fermarsi all’ottima esperienza realizzata nella città piemontese, ma vuole continuare a parlare di sé, con una visione lucida del presente, con la capacità di coinvolgere persone competenti, di lavorare e mettere in atto le idee, di progettare azioni che incidano concretamente sul futuro. Per una società più giusta e più sicura.
Leggi e scarica gli atti completi del convegno:
Leggi e scarica la scheda con i dati sull’universo del carcere:
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