È in arrivo un bastimento carico di miliardi. Si chiama Next Generation Ue, è interamente guidato da Crescita – Concorrenza – Competizione. L’esatto contrario di ciò che la pandemia ci ha insegnato: nessuno si salva da solo, siamo persone interdipendenti fra noi e con l’ambiente che ci circonda. Per questo il prossimo 10 aprile il movimento Società della Cura scenderà in piazza con azioni simboliche e rispettose delle misure di emergenza dettate dalla pandemia per presentare il suo Recovery PlanET, un documento elaborato per tre mesi da centinaia di mani che si riconoscono nella “Società della cura”: una convergenza nata durante il lockdown, coinvolgendo gruppi, associazioni, reti sociali e del mutualismo, movimenti

Ogni giorno che passa divengono sempre più netti i connotati, europei e nazionali, che assumerà il Next Generation Ue, l’insieme di fondi -prestiti e trasferimenti, con relative condizionalità- che la Commissione Europea metterà a disposizione per fronteggiare la profonda crisi economica, sociale e sanitaria, evidenziatasi con la pandemia.
Parliamo al futuro, perché, analogamente al rimorchiatore Evergreen nel canale di Suez, anche il Next Generation Ue si è nel frattempo incagliato nel ricorso presentato alla Corte Costituzionale tedesca, che, seppure sarà probabilmente respinto, comporterà un ritardo di oltre tre mesi nell’arrivo del bastimento carico di miliardi.
Transizione ecologica è l’ideologia che lo guida, riverniciatura green è la realtà che lo sostanzia.
Nel 2018, la Commissione Europea aveva lanciato l’”Action plan on sustainable finance” un corpo di regole per definire cosa significhi investimento finanziario sostenibile dal punto di vista ecologico, predisponendo una classificazione delle attività economiche, che diventerà operativa dal 1 gennaio 2022.
In base a questo primo elenco, risulterebbero sostenibili gli investimenti relativi al gas come fonte energetica nonostante gli effetti climalteranti, alla bioenergia prodotta dalla combustione degli alberi, alle centrali idroelettriche nonostante i danni alla biodiversità, e persino alla plastica, se prodotta con processi di riciclaggio chimico con standard minimi di emissioni.
Dulcis in fundo, ed è notizia di questi giorni, il Centro comune di ricerca, braccio scientifico della Commissione Europea, si appresta a sdoganare come investimento verde anche i finanziamenti all’energia nucleare, rispetto alla quale “le analisi non hanno rivelato alcuna prova scientifica che arrechi più danni alla salute umana o all’ambiente rispetto ad altre tecnologie di produzione di elettricità”, mentre “lo stoccaggio dei rifiuti nucleari in formazioni geologiche profonde è appropriato e sicuro”.
Se a questa cornice europea aggiungiamo la declinazione italiana, fatta di pieno sostegno a tutte le grandi opere, di contrarietà ad eliminare i sussidi ambientalmente dannosi relativi alle fonti fossili, di utilizzo dei fondi anche per nuovi sistemi d’arma green (!!), il quadro è chiaro: non siamo in presenza di alcuna conversione ecologica e sociale, ma ad una riverniciata green di un modello governato dalla triade crescita-concorrenza-competitività e finalizzato ad approfondire la predazione delle risorse naturali e la diseguaglianza sociale.
Ma c’è chi dice no: da diversi mesi, oltre 360 realtà associative e di movimento e oltre 1500 persone attive individualmente hanno avviato un percorso di convergenza per uscire dall’economia del profitto e costruire la società della cura e, dopo un intenso lavoro di incontri tematici hanno messo a punto un “Recovery PlanET” (qui i documenti completi), un piano alternativo di proposte per contrapporre il ‘prendersi cura’ alla predazione, la cooperazione solidale alla solitudine competitiva, il ‘noi’ dell’eguaglianza e delle differenze all”io’ del dominio e dell’omologazione.

Dopo le diverse lotte e vertenze che hanno attraversato il mese di marzo segnalando un’importante presa di parola della parte attiva della società, questo insieme di realtà chiama tutte e tutti, sabato 10 aprile, a una giornata di mobilitazione nazionale condivisa e da costruire in tutti i territori con presidi, flash mob, iniziative, che, nel rigoroso rispetto di tutte le misure di emergenza sanitaria, sappia comunicare con forza che non vogliamo alcun Recovery Plan per riprodurre l’esistente, ma rivendichiamo un Recovery PlanET per costruire un’alternativa di società.
Amici, la tarda età e una storia di decenni lungo la quale provare a progettare modi diversi di concepire la tecnologia ovvero le arti, mestieri e saperi utili solo se migliorano le condizioni di vita e di lavoro per tutte le età ed etnie, tra successi ed insuccessi, mi fa sentire dentro la Società della Cura.
Avendo conosciuto Ina Praetorius e letto il suo libro “L’economia è cura” e che è economia vuol dire ” regole della casa/comunità, mi pare ineludibile che il salto organizzativo dei tanti incontri tra quanti oggi convergono per creare Case/Comunità, è diventare comunità in cui ci si mette assieme ricreando regole in cui ognuno mette in gioco sé stesso, le sue risorse ed il saper fare e sfidarsi a auto generare più case/comunità.
Ci stiamo provando ma da soli in questo contesto culturale non passa il nostro sogno, una volta era ” creare 2, 3, molti Vietnam, oggi potrebbe essere ” creare 2,3 molti Riace e riuscirci.
Per ora siamo solo quello che abbiamo pubblicato nel sito “polyteknoseaccoglienza.eu” un micro “Recovery PlaNet” ma con molti convergenti potremmo diventare assieme i costruttori di 2,3 molte Case Comunità.
Un sogno possibile anche con differenti tecnologie, ma solo se partiamo da noi, inserendo molta più energia di quella che fin qui è stata immessa.
Un abbraccio