Gli orti urbani sono quei pezzetti di terra intorno ai quali tante persone superano la paura di non aver mai avuto niente a che fare con la terra per rigenerare se stessi generando ortaggi. A volte accade che quella rigenerazione si trasformi in una visione comunitaria. Due amiche hanno partecipato alla proiezione del documentario Semi di libertà su Vandana Shiva
Il compito della cultura è generare una trasformazione. Dentro fuori o in entrambi i luoghi. Se questo non accade, se l’incontro non dà origine a un cambiamento, la cultura ha fallito. La cultura che non genera è come la Sibilla che chiude le sue parole in un cassetto, invece di scriverle sulle foglie e abbandonarle al vento. Io la penso così.
Qualche giorno fa sono stata invitata alla proiezione del documentario Semi di libertà su Vandana Shiva, cui è seguita una conversazione con lei. Con la semplicità e l’energia vitale che la caratterizza, Vandana ha incoraggiato una giovanissima disegnatrice venuta ad ascoltarla dalle Marche a utilizzare la sua arte per raccontare le infinite storie di persone comuni che, nel più assoluto anonimato, si adoperano nel loro quotidiano per generare trasformazioni. Mi ha fatto pensare alle piccole, infinitesimali azioni di rivoluzione umana disseminate ogni giorno da chiunque decida che “se si può fare qualcosa, si deve”.
Da qualche tempo aiuto un’amica a tenere in ordine l’orto urbano che ha in affidamento: lei semina e pianta, io zappo, tolgo le erbacce, annaffio, parlo con le piante che lei ha piantato. Il suo fazzolettino di terra appartiene agli “orti di sopra” della casa del parco romano nella riserva dell’Aniene, una vasta area verde che si estende dalla Tiburtina al Parco delle Valli. La Casa del Parco è gestita da giovani uomini e donne che svolgono attività di monitoraggio del fiume, tutela dell’ambiente, formazione nelle scuole. E poi gestiscono gli orti, di sopra e di sotto, assegnandoli a chi ne fa richiesta. I tempi di attesa sono molto lunghi, talvolta lunghissimi, ma se si coltiva la pazienza prima o poi ci si vede affidato un pezzetto di terra su cui rigenerare se stessi generando ortaggi e insalate.
Alla mia amica è successo proprio questo. Dopo quindici anni di vita insieme, il compagno ha improvvisamente deciso di chiudere la loro relazione. Per lei è stato un dolore enorme, che fortunatamente ha coinciso con l’assegnazione dell’orto. E da quel dolore ha preso inizio una vera rinascita. In quel frangente così duro per lei, io, come altre e altri, le siamo stati accanto partecipando alla sua sofferenza e vivendo insieme a lei la sua trasformazione. Non c’è cura migliore che dedicarsi a dar vita a qualcosa quando si soffre e, se lo si fa insieme, rigenerarsi diventa un’azione che io chiamo politica perché crea legami, relazioni, comunità. E trasforma.
Né io né la mia amica avevamo mai avuto a che fare con la terra, ma agli orti di sopra abbiamo incontrato Aldo, che è diventato il nostro maestro. Anche lui come noi non è “nato contadino”, ha lavorato per tutta la vita come camionista. Contadino lo è diventato quando, ormai in pensione, a passeggio per la riserva con Rocco, il suo piccolo cane, si è imbattuto nella Casa del Parco e nelle persone che la animano. Oggi è un punto di riferimento e fa parte del direttivo della Casa, lo si trova agli orti tutti i giorni. Lui e Rocco.
Quando siamo arrivate, Aldo ci ha accolte e con la pazienza di chi è abituato al silenzio e all’attesa ci ha accompagnato nel nostro apprendistato. Col passare dei mesi, dai primi germogli ai primi raccolti, ho visto la mia amica rigenerarsi come quel pezzetto di terra di cui ha cominciato a prendersi cura. È passato qualche tempo da allora: ormai vado quando lei me lo chiede. Non abituata a fare le cose in solitudine, a un certo punto la mia amica si è accorta che con l’orto doveva “proseguire da sola”. È stato un momento bellissimo, perché significava che aveva finalmente trasformato il dolore in qualcosa di sano e non aveva più bisogno di me. Infatti lo ha detto sorridendo e porgendomi una zucca appena raccolta.
Così, quando l’amico Manlio Masucci di Navdanya International, mi ha invitato alla proiezione di Semi di libertà, andarci con la mia amica mi è sembrata la cosa più naturale che potessi fare. Il documentario racconta non solo la decisione di una donna di dare inizio a qualcosa che prima non c’era (www.navdanya.org), ma soprattutto la capacità di generare un desiderio e di trasformarlo in visione comune, progetto e realtà attraverso l’impegno congiunto di tante e tanti. Fare insieme non è la somma delle azioni di singole persone ma moltiplicazione di energie che generano valore non solo in agricoltura, ma soprattutto in termini di felicità. Questo è in estrema sintesi ciò che si è sedimentato dentro di noi attraverso l’esperienza raccontata dalle donne che in 150 comunità indiane conservano, proteggono, condividono e tramandano insieme ai semi una
cultura antica.
Così, tornando a casa dopo la proiezione, è nata l’idea. “Perché non creare una banca dei semi anche qui, a Roma, tra chi coltiva gli orti nella Riserva dell’Aniene?”. Da sempre il sogno di Aldo è che gli orti generino socialità, siano un antidoto al soffocante senso di solitudine che spesso la città genera. Sarebbe un bel modo per ripagare un debito di gratitudine, un’iniziativa sociale e un’azione efficace per far coincidere coltura con cultura.
[Valentina Paravano, SPINOFF ETS]
Giovanna dice
Bellissima esperienza e bellissima ispirazione. Grazie
Aldo Giannacco dice
Grazie Valentina per il commento molto bello sulla realtà della nostra associazione , noi volontari con l’aiuto di tutti gli ortolani cercheremo di renderla sempre più positiva !p.s. il mio cagnolino si chiama vasco c’è anche rocco ma è di un’altro ortolano
Teodoro Margarita dice
Tessere una rete di orti condivisi, adottare sementi antiche, scambiarsi buone pratiche, innamorarsi della terra, è quello che faccio da vent’anni. Volentieri, scambio semi, idee, con voi. Un abbraccio, Teodoro