Rallentare, comprare solo l’indispensabile, non produrre, non inseguire il successo personale… Occorre alimentare tanti modi diversi con cui sottrarci alla mega macchina che ci strangola giorno dopo giorno. Scrive Paolo Mottana: “Se davvero vogliamo cambiare qualcosa, per esempio la nostra vita, è sulla vita che dobbiamo lavorare…”. Abbiamo bisogno di prendere in mano il nostro tempo, “prendere il tempo dei nostri figli, delle nostre passioni, del nostro amore…”

Combattiamo i Salvini, e prima Berlusconi, poi i fascisti postmoderni, poi gli antisemiti del 2000, poi i machi, poi le scuole che non insegnano abbastanza storia. Intanto cazzeggiamo sui vari buffoni di corte, facciamo il tifo per Zingaretti, buttiamo Di Maio, prendiamo Conte, onoriamo Mattarella, sfiliamo per la Segre, sbraitiamo contro i citofonatori e via e via. Mostriamo il nostro sdegno o il nostro supporto, un paio di minuti al giorno per questo e quell’altro. Facendo il gioco di chi davvero ci manovra, ci amministra e ci succhia via la vita. A noi e a qualche altro miliardo di persone trattate come schiavi.
Ci brutalizzano il tempo, poi siamo noi da soli a farlo, quando abbiamo imparato bene. Sgobbiamo, corriamo, facciamo le file in auto, ci soffochiamo nei locali notturni, davanti alla tv, polemizziamo con i conduttori, ci affolliamo nell’aria irrespirabile rendendola sempre più irrespirabile, prendiamo posizione contro l’ultimo rap politicamente scorretto. E intanto? Nulla cambia. E intanto? Chi gode della nostra ignoranza, della nostra cecità, del nostro autoabbrutimento?
Chi davvero amministra le nostre vita sfruttando ogni mezzo a sua disposizione, facendoci mettere in coda per l’ultimo I-phone, per l’ultimo schermo ultrapiatto in 4d o per l’ultima automobile che frena, sterza e si fa benzina da sola?
Vogliamo davvero provare, ancora una volta, a dirigere la nostra protesta contro chi davvero ci ruba la vita e che da sempre ce la ruba? Quelli che guadagnano fortune immense sopra la nostra disperazione e quella di tanti altri? Sul nostro lavoro per il quale tanto ci affanniamo? Quel pugno di carogne che dirige le multinazionali e le grandi agenzie finanziarie e che manovra economie intere, manipola l’informazione, stermina intere popolazioni, distrugge la natura, plasma le coscienze e i desideri e ci lascia giocare al giochino della democrazia ben sapendo che questo non intaccherà mai il loro vero potere, e che se qualcuno proverà a farlo, finirà all’inferno (tipo Julian Assange e diversi altri?).
Se davvero vogliamo cambiare qualcosa, per esempio la nostra vita, è sulla vita che dobbiamo lavorare. Se vogliamo mettere in difficoltà chi da secoli ci manovra dalle grandi ville nascoste nelle foreste o dai centri di potere che si riuniscono ben raramente per spostare enormi ricchezze e per abbattere popoli ed economie, occorre cominciare a rinnegare il loro modello di sviluppo (che arricchisce loro e uccide noi): interrompere il lavoro, questo gli fa male. Non comprare, questo gli fa male. Additare i loro nomi, con determinazione, sistematicamente. Metterli alla berlina. Questo può fargli male. È lo sciopero, quello del lavoro e quello del consumo che può fargli male. È smettere di acquistare le loro merci e cominciare seriamente a riappropriarsene, come avevano visto bene alcuni reietti degli anni Settanta. Questo può fargli paura. Specie se massivo, se diffuso. Rivendicare i propri diritti di base sul serio: dormire, perdere tempo, non essere internati, uomini e bambini, in fabbriche e scuole per essere lobotomizzati. Non seguire il modello del successo personale. Predicare l’insuccesso, la scomparsa, il rendersi invisibili.
Dove vogliamo andare se ogni giorno facciamo andare sempre più veloce la macchina che produce denaro che finisce nelle tasche di un migliaio di carogne asserragliate nei loro bunker dorati? Occorre rallentarla, restare a letto la mattina, boicottare i trasporti della merce, distruggere le “ultime novità”.
Se davvero si vuole provare a mettere in discussione l’ingranaggio nel quale tutti, bene o male – me compreso mentre scrivo questo pezzo – siamo arruolati, occorre rovesciare il paradigma. Non fare, non produrre, non acquistare, solo il minimo indispensabile.
Prendere il proprio tempo e non permettere a nessuno di rubarcelo. Prendere il tempo dei nostri figli, delle nostre passioni, del nostro amore, del nostro piacere e non lasciare che ce lo stritolino con la promessa di ancora più lavoro e guadagni che sappiamo sempre meno come impiegare se non nel fare viaggiare ancora più veloce la macchina che ci strangola giorno dopo giorno.
I nemici sono invisibili ma esistono, hanno nomi e cognomi, il loro cinismo non conosce confini, hanno fortune gigantesche e guadagnano dalla nostra ignoranza, dal nostro sparare a vuoto, dal nostro essere sudditi anche quando crediamo di ribellarci.
_____________
* Docente di Filosofia dell’educazione presso l’Università di Milano-Bicocca, Paolo Mottana si occupa dei rapporti tra immaginario, filosofia e educazione. Tra i suoi ultimi libri La città educante (Asterios). È tra i promotori del Manifesto dell’educazione diffusa. Altri articoli di Mottana sono leggibili qui. Questa la sua adesione alla campagna Ricominciamo da 3:
Pensiero critico [Paolo Mottana] “Con la fiducia che il movimento innescato da Comune-info continui a promuovere il meglio del pensiero critico contemporaneo e idee che contribuiscano a rimettere in piedi una prospettiva di mutamento radicale in un paese che sembra inamovibile e purtroppo dominato da una classe politico-imprenditoriale ignorante, corrotta e del tutto priva di un’idea sensata di futuro”.
______________
Condivido in toto e sento fondamentale partire dai nostri gesti e scelte quotidiane…
Grazie Paolo Mottana! Pratico da un po’ alcune tue indicazioni. Ne parlerei con gran gusto con te dal vivo. Le tue idee non sempre le condivido, ma proprio per questo le trovo molto stimolanti.. Ecco, aggiungerei questo:”va a trovare chi stimola il tuo pensare”. Un abbraccio Renato
siamo cellule di un grande organismo malato, curando noi stessi cureremo la società