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Un’autonomia zoppa e iniqua

Laura Mentini
18 Gennaio 2023

Quando si parla di autonomia scolastica domina uno strabismo che non vede tutto ciò che ostacola alcuni possibili aspetti positivi della sua applicazione e, al tempo stesso, rimuove i tagli, i profondi squilibri tra scuole e territori, l’ossessiva competizione tra istituti scolastici trasformati in aziende

Tratta da unsplash.com

La legge 107/2015 del governo Renzi ha riformato l’autonomia delle strutture scolastiche (introdotta nel 1997). La legge dà capacità alle scuole di organizzarsi in maniera autonoma, circa la loro offerta curriculare e formativa oltre che aumentare i poteri e le responsabilità del dirigente scolastico. Le scuole sono chiamate a una maggior flessibilità, trasversalità curriculare e a implementare un curriculo per competenze che segua le famose indicazioni nazionali del 2012. Le scuole dovrebbero quindi diversificare la propria offerta per adeguarsi alle necessità del territorio dei propri alunni. A livello organizzativo, una complessità organizzativa di collaboratori e funzioni strumentali è chiamata a redigere report, applicare a progetti e a supportare il dirigente nelle sue funzioni amministrative e burocratiche. Eppure, nonostante sia positivo e apprezzato, il fatto di avere la libertà di organizzarsi a seconda delle proprie esigenze e bisogni, per come è stata istituita questa legge, e per una serie di meccanismi organizzativi e dinamiche che si attivano, è un’autonomia incompiuta e tutt’altro che equa.

Per quanto sia ampia a livello pedagogico e curriculare – ad esempio ampia libertà data al singolo docente e alla scuola nel definire la propria programmazione curriculare e approccio educativo (PTOF; POF etc. etc.), viene meno a livello scolastico, una autonomia reale, che consente di applicare e utilizzare questa autonomia in maniera efficace. Manca una reale autonomia dal punto di vista manageriale e finanziario. Il/ la dirigente non possono scegliere né assumere il loro personale specializzato, supplenze, o figure di cui hanno bisogno dal punto di vista amministrativo, hanno a che vedere con costanti tagli al budget per attivare corsi in più, dovendo rendicontare fino all’ultimo centesimo, o non possono gestire ed essere responsabili dei loro spazi e strutture scolastiche, che spesso e volentieri andrebbero riformati o resi adeguati alle trasformazioni in atto.

Il lavoro organizzativo dei comitati interni, di figure strumentali, e amministrative, è spesso e volentieri distante dai singoli docenti riguardo alle proposte o ai processi di rendicontazione, aumentando la distanza tra corpo il docente e quello dirigenziale. In più, la mancanza di figure ATA e DSGA in molte scuole, che dovrebbero supportare il/la preside in ambito amministrativo, rende la gestione dei fondi, della programmazione triennale e rendicontazione estremamente laboriosa e complessa, aggravo burocratico che spesso e volentieri ricade su docenti e sul loro lavoro, senza avere le adeguate competenze, retribuzione o tempo nel poterlo fare. Non dovrebbe poi stupire il livello di frustrazione, burn-out che si riscontra tra il personale scolastico, o i limitati spazi di confronto o discussione inerenti alla pedagogia o la didattica.

Ed è così che l’uso dell’autonomia, o meglio la de-responsabilizzazione di tutta una serie di questioni, ricade in mano alla scuola, spesso senza le dovute risorse professionali, strutturali o materiali per metterla in atto efficacemente. Si genera inoltre una situazione di profondo squilibrio tra quelle scuole che si attivano, in maniera autonoma, avendo una dirigenza stabile e lungimirante, ruoli ben definiti e un corpo docente stabile per lavorare e programmare a lungo termine – e che solitamente coincidono con scuole che si trovano in quartieri benestanti con utenza di livello socio-economico alta – e quelle scuole che invece per mancanza di continuità docente e dirigenziale, personale amministrativo, di risorse materiali ed economiche, o di spazi adeguati, fanno fatica ad attivare tutta una serie di progetti, contratti ed “offrire” una proposta curriculare e pedagogica che sia il più attraente possibile.

Altra dinamica che si genera è una competizione locale tra scuole per attrarre studenti e famiglie sulla base di progetti il più possibile all’avanguardia: sostenibilità, robotica, disabilità, cittadinanza globale, chi più ne ha più ne metta. Come fossero piccole aziende, le scuole che offrono i progetti più interessanti si accaparrano il maggior numero di iscritti, così aumentano il numero delle classi e quindi anche il personale docente. Ma la gestione di questi progetti richiede vision, leadership diffusa, fondi, strutture adeguate e partnership. E allora ecco che si attivano anche tutta una serie di collaborazione con enti esterni, spesso privati, che fanno entrare ulteriori competenze, personale, e materiale dentro la scuola.

La questione dell’autonomia scolastica è sicuramente complessa e ogni decisione andrebbe normata, ma è indubbio che senza l’adeguato supporto, potenziamento, competenze, strumenti o risorse in atto, rischia di gravare maggiormente quelle scuole che già annaspano, su docenti che si districano in ruoli e funzioni organizzative e burocratiche che non gli competono o andare ad alimentare dinamiche di libero mercato educativo e di privatizzazione, con profonde ricadute a livello di equità e segregazione educativa tra scuole.


Laura Mentini, ricercatrice presso l’Università autonoma di Barcellona e attivista/educatrice in progetti di educazione dal basso


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Telefono: 06 6538261
Indirizzo: Via Del Casaletto 400, ROMA

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Un progetto selezionato dall’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Il progetto è coordinato da Mo.V.I. - Movimento di Volontariato Italiano
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