Dieci anni fa è partito un movimento spontaneo che, dal basso, ha cominciato a cambiare regole e a favorire l’adozione di strumenti che, coinvolgendo cittadini e realtà sociali, dal livello comunale si sono allargati a unioni di comuni, ambiti territoriali, città metropolitane. L’amministrazione condivisa, di cui sono parte le esperienze delle scuole aperte partecipate, riconsegna prima di tutto senso al concetto di democrazia non solo perché riguarda la vita di ogni giorno nei territori, ma perché nega il dominio della competizione quale misura delle relazioni sociali. Oggi non si tratta tanto di creare uffici dei beni comuni quanto di promuovere una formazione finalizzata alla conoscenza delle procedure ma prima di tutto attenta al processo culturale avviato, perché parole come ad esempio cura e relazione, con le loro ricadute concrete, aprono orizzonti nuovi, mentre manutenzione e decoro tolgono respiro all’azione dei cittadini attivi. Un’interessante fotografia dagli Stati generali dell’Amministrazione condivisa
Trecento persone giunte da tutta Italia per confrontarsi, riflettere insieme, abbracciarsi, valutare il percorso fatto in dieci anni entusiasmanti ma anche carichi di fatica, immaginare e costruire il futuro. Questa la foto di gruppo che riportiamo a casa dagli Stati Generali dell’Amministrazione condivisa del 15 e 16 marzo a Bologna.
Una comunità che si incontra
Il successo di partecipazione degli Stati generali segnala innanzitutto una comunità che in questi dieci anni è cresciuta intorno al modello di Amministrazione condivisa. Una comunità che sente il bisogno di incontrarsi, guardarsi negli occhi, condividere le storie, il cammino fatto e la strada ancora da percorrere, che coinvolge soggetti e attori molto diversi tra loro. Per territorio, formazione, appartenenza. Erano presenti amministratrici e amministratori pubblici di paesi e città che da tempo hanno intrapreso percorsi e processi collaborativi così come realtà territoriali che iniziano a lavorare solo adesso sul tema dell’Amministrazione condivisa; organizzazioni e reti del Terzo settore insieme a piccole e grandi associazioni locali; cittadine e cittadini attivi così come ricercatrici e ricercatori impegnati da anni nella cura dei beni comuni e nel supporto scientifico ai progetti territoriali.
Una comunità, appunto, dove la differenza di ruolo, saperi e competenze non costituisce una barriera ma una ricchezza. Un esercizio di intelligenza collettiva che va oltre la somma della conoscenza e cultura individuale. Non poteva che essere Bologna il palcoscenico di questo incontro, lo sfondo ideale per chi è impegnato da tempo su questi temi nella città “che sa quel che conta e che vale” percorrere i sentieri dell’Amministrazione condivisa.
Dieci anni di lavoro nei territori
Sono emersi alcuni elementi essenziali che hanno caratterizzato questi dieci anni. Il primo “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani” presentato a Bologna il 22 febbraio del 2014 ha scritto i principi e le regole su cui si è consolidato il modello di Amministrazione condivisa. Le prime comunità di pratica che, a partire da Bologna, si sono rapidamente diffuse su tutto il territorio nazionale hanno permesso il raggiungimento di due risultati fondamentali. Innanzitutto la corretta interpretazione del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, non una modalità di privatizzazione degli spazi e dei servizi pubblici ma la costruzione di un nuovo modello di società caratterizzato dalla presenza di cittadini attivi autonomi, solidali e responsabili capaci di uscire dal ruolo passivo di utenti della pubblica amministrazione ed essere soggetti capaci di prendersi cura di beni comuni come l’aria, l’acqua, i beni culturali, i servizi pubblici locali, la scuola, la salute e tanti altri ancora. Il secondo, la definizione di un modello, l’Amministrazione condivisa, che oggi ha piena legittimità al pari di quello dell’amministrazione tradizionale. Un modello codificato in particolare nel codice del Terzo settore, in cui i soggetti della società civile non si considerano concorrenti ma alleati per realizzare insieme alla pubblica amministrazione attività di interesse generale. Se oggi abbiamo una pluralità di strumenti collaborativi diversi tra loro per caratteristiche e tipo di utilizzo lo dobbiamo a quei cittadini, amministratori, associazioni, organizzazioni, che ne hanno favorito la diffusione, hanno sperimentato ambiti di applicazione e possibilità, superato criticità e legittimato lo strumento attraverso la pratica quotidiana. Senza il Regolamento e i Patti di collaborazione, senza le diverse esperienze di cura dei beni comuni, non ci sarebbe stato tutto il resto. Attraverso l’impegno e la fatica di tanti precursori è partito un movimento spontaneo che, dal basso, ha cambiato le regole e favorito l’adozione di regole e strumenti che dal livello comunale si sono allargati a unioni di comuni, ambiti territoriali, città metropolitane. Ci sono state, quindi, le leggi regionali e il codice del terzo settore per giungere alla Sentenza della Corte costituzionale 131 del 26 giugno 2020 che legittima l’Amministrazione condivisa come attività “ordinaria” della pubblica amministrazione, non legata all’eccezionalità o sperimentalità degli interventi ma al reciproco riconoscimento fra istituzioni e Terzo settore per il perseguimento di attività di interesse generale. Non va dimenticato il percorso fatto, soprattutto oggi, perché si corre il rischio di rinchiudere l’Amministrazione condivisa nel recinto degli strumenti accessibili solo al Terzo settore dimenticando quanto sia ricco il panorama di esperienze legate ai Patti di collaborazione attivati da semplici cittadini e gruppi spontanei.
Le strade da percorrere ancora
Le criticità non mancano perché, riflettendo sul futuro, resta l’esigenza di una formazione continua per dare sempre maggiore solidità ai processi collaborativi. Una formazione finalizzata non solo alla conoscenza delle procedure ma attenta al processo culturale, il solo che può bilanciare sul versante amministrativo, duecento anni di storia in cui la relazione con i privati era vista sostanzialmente come rapporto tra interessi contrapposti e, dal punto di vista dei cittadini attivi, la necessità di coltivare quella dimensione relazionale basata sulla fiducia e condivisione delle responsabilità.
Il punto su cui lavorare è quello che fa dell’Amministrazione condivisa un ecosistema basato su una molteplicità di strumenti che non si elidono a vicenda ma possono, invece, essere utilizzati insieme per moltiplicarne l’efficacia: patti di collaborazione, co-programmazione e co-progettazione, utilizzo e valorizzazione dei beni immobili e dei beni culturali, patti educativi di comunità ecc..; Una molteplicità di soggetti che va dai singoli cittadini, come indicato dalla Costituzione – è bene non dimenticarlo -, sino alle associazioni, gruppi informali, enti di Terzo settore, mondo dell’impresa sociale e dell’impresa profit.
L’Amministrazione condivisa come un ecosistema
Ma quanto è oggi riconosciuta questa visione organica dell’Amministrazione condivisa? Che valore diamo a quelle esperienze che si moltiplicano nel nostro Paese? Sembra sia difficile sollevare lo sguardo e superare l’idea del Patto di collaborazione come azione meritoria di uno sparuto e volenteroso gruppo di cittadini attivi. Va bene sottrarre al degrado uno spazio, promuovere un bene comune immateriale, molto meno considerare quella azione un pezzo rilevante delle politiche di governo di un territorio. In questo senso anche i termini utilizzati sono importanti e contribuiscono a definire una cornice. Parole come cura e relazione aprono orizzonti nuovi, mentre manutenzione e decoro tolgono respiro all’azione dei cittadini attivi. È necessario considerare i processi collaborativi essenziali nella definizione delle politiche pubbliche attraverso efficaci strategie di misurazione dell’impatto delle azioni di cura dei cittadini ma anche del patrimonio relazione e del capitale sociale prodotto.
La piena legittimità dei processi e delle forme collaborative deve essere inquadrata in una vera e propria funzione amministrativa, qualcosa di più dell’ufficio per i beni comuni, applicabile a tutti i soggetti civici attivi su un territorio e, potenzialmente, a tutti gli ambiti di intervento delle politiche pubbliche. Il Comune di Bologna anche qui ha segnato la strada con il nuovo Regolamento, il patto con il Terzo settore e le reti civiche cittadine, e la previsione statutaria, nell’articolo 4 bis, che rende strutturale l’Amministrazione condivisa attraverso la regolamentazione di soggetti, processi e forme di sostegno.
La cura della democrazia
Le riflessioni scaturite dall’appuntamento di Bologna aprono una finestra su un tema fondamentale che, forse, è alla base di tutto. L’Amministrazione condivisa è cura della democrazia, è capacità di riconoscere identità nuove, mobilitare risorse per la tutela di interessi generali, riconoscersi in principi condivisi e, quindi, negazione della competizione quale misura dei rapporti economici e delle relazioni sociali.
Lavorare, come si è fatto agli Stati generali, sul valore dei principi e delle regole nelle varie declinazioni dell’Amministrazione condivisa, su cosa significa costruire uno spazio di comunità e sulle nuove sfide che le città stanno affrontando ha fatto emergere la necessità di condividere sempre più idee, percorsi e progetti. Unire le forze per ridefinire l’idea stessa di cittadinanza attraverso comunità inclusive e accoglienti.
Pasquale Bonasora, presidenti di Labsus.
Fonte: Labsus.org