La nota lettera della preside milanese ai bocciati, scritta alcuni giorni fa, sembra già vecchia nella velocità del tempo che viviamo. Vale la pena tornarci sopra con questa risposta scritta da un educatore che da anni, insieme a tanti e tante, lavora nella periferia romana sulla relazione scuola-territorio. Un modo per ragionare del rischio di utilizzare linguaggi significativi solo per gli adulti, dell’importanza di non favorire un’idea distorta del concetto di “fallimento”, ma anche del bisogno di creare contesti educativi nei quali è profonda le condivisione delle responsabilità tra adulti e ragazzi

Cara preside, sono Loris Antonelli, vivo a Roma, e mi occupo di educazione da più di vent’anni, a scuola e non solo, soprattutto con preadolescenti e adolescenti. Ho letto e riletto la sua lettera ai bocciati, ormai già vecchia nella velocità del nostro tempo, che sono certo nasca da buonissime intenzioni, ma voglio raccontarle l’effetto che mi fa, perché se lo fa a me c’è una ragionevole possibilità che risuoni in maniera simile anche ai ragazzi a cui lei la rivolge.
Ho la quasi certezza che il me quindicenne avrebbe reagito come il me cinquantenne, ma non ho modo di esserne certo. La sensazione è che sia una lettera scritta per gli adulti, con il loro linguaggio, e che li assolva proprio in quelle situazioni in cui non vanno fino in fondo nelle scelte che fanno. Ho avuto modo di ascoltarla anche in alcune interviste, e vedendola si rafforza in me l’idea che lei al suo lavoro e ai suoi alunni ci tenga tantissimo, ed è per questo che le scrivo.
Sia ben inteso, non le scrivo perché sono in assoluto contrario alle bocciature, è un tema delicato di cui dovremmo parlare a lungo, e una lettera non basta, le scrivo perché percepisco una distorsione del concetto di “fallimento”, me ne arriva un uso suggestivo, retorico e poco reale. Penso che gli insegnanti che credono molto nel lavoro che fanno, se si interrogano sul come farlo, che sono disposti a leggere la complessità dei ragazzi che hanno di fronte, non falliscano se alla fine decidono consapevolmente di bocciare un loro alunno. Lo dico perché confrontandomi con insegnanti che stimo molto, a un certo punto mi hanno chiesto “…e quindi come li puniresti questi insegnanti che falliscono, quali conseguenze pensi ci dovrebbero essere per loro?”. Ecco, mi è stato subito chiaro il corto circuito della sua lettera, io non penso che quegli insegnanti falliscano, e penso che se decidono di bocciare un alunno devono sapergli spiegare il perché e fargli vedere un futuro possibile. Ma veniamo alla sua lettera…
La sua lettera non mi piace, perché comunque io la giri e comunque la legga mi sembra che alla fine la condivisione di responsabilità fra scuola e alunno bocciato abbia come risultato evidente la sola bocciatura del ragazzo. Mi sembra che manchi il presupposto su cui dovrebbe reggersi la condivisione delle responsabilità, e cioè la condivisione delle conseguenze, laddove effettivamente l’adulto senta di essere corresponsabile, di aver fallito, fuori dalla retorica per cui l’adulto doveva e poteva certamente riuscire nel suo compito.
Lei scrive:
“Bocciare un ragazzo significa aver fallito. Ammettere di non essere riusciti a motivarti, a farti venir voglia di dare il meglio di te, o ad appassionarti”.
Ecco, quando leggo questa frase mi chiedo quale sia la conseguenza che l’adulto debba affrontare per aver fallito, cosa succede all’adulto che non è stato in grado di motivare e appassionare, cosa succede all’adulto che ha scelto “un regalo” sbagliato per il suo alunno, perché alla resa dei conti l’alunno viene bocciato, l’adulto volta pagina e si prepara a un nuovo anno scolastico, e chissà, forse a nuovi fallimenti.
“Certo, però, che un po’ anche tu… sì insomma, potevi dare di più! Ma non è mai solo questo”.
Ecco, se “non è mai solo questo”, se lo sappiamo, se pensiamo che le ragioni che hanno visto il nostro alunno meritare la bocciatura non risiedano solo nell’impegno, allora perché lo bocciamo? È una questione di ciò che possiamo misurare e valutare con parametri oggettivi, ha a che fare con le cose minime che deve sapere per accedere alla classe successiva? E se non le sa di chi è la responsabilità, se ha fallito l’insegnante perché viene bocciato l’alunno?
Lo scrivo di nuovo, non sto in nessun modo dicendo che non si debba bocciare, ma che una eventuale bocciatura non mi piace raccontata in questo modo, in cui gli adulti sembrano avere delle enormi responsabilità, sembra che vogliano condividerle con l’alunno, ma l’unico bocciato è sempre lui, che non ha potere di bocciare i suoi insegnanti o la sua preside.
“Abbiamo giocato male e abbiamo perso una partita, non il campionato”.
Se fossi un alunno bocciato, pur consapevole di essermelo meritato per il poco impegno, la poca applicazione o qualsivoglia altro motivo, mi sentirei preso in giro da una lettera così, verrei a bussare alla sua porta per chiederle “mi scusi preside, che fine hanno fatto gli insegnanti che con me hanno fallito? stanno forse studiando per riparare a settembre?”.
“Adesso pensi di essere un perdente e di perdere tempo, ma non è così: tra dieci anni nessuno si ricorderà più di questa bocciatura. Tutti guarderanno la persona che sarai diventato, non certo quanti anni ci hai messo a finire la scuola. E la persona che diventerai comincia da domani mattina, quando ti sveglierai con la voglia di dimostrare che puoi dare di più”.
Preside, le direi se fossi l’alunno di cui sopra, ma cosa vuole che mi importi del futuro… Fra dieci anni è un tempo che non posso capire, che non mi so immaginare, le vorrei dire che la mia difficoltà di studiare risiede proprio nel bisogno estremo di vivere il presente, un presente in cui non riesco a dar valore alla scuola, ed è proprio per mancanza di futuro che mi sono lasciato andare, che non ce l’ho fatta e voi mi avete bocciato. Ma non lo sa che all’età mia si vive di solo presente? Ma lo sa quanti problemi ho più importanti della scuola? e soprattutto, su questi problemi – di mancanza di futuro, di crisi di contesto sociale, affettivo, familiare… – chi ci mette le mani? Chi se ne fa carico?
“Non avere paura del giudizio degli altri, è dagli insuccessi che quasi sempre nascono le più grandi vittorie. Credi in te stesso con forza come facciamo noi, vedrai che ce la farai a realizzare i tuoi sogni!”.
Ecco preside, qui una cosa gliela voglio dire io da adulto: non avere paura del giudizio degli altri somiglia un po’ al paradosso del “sii spontaneo”. Ma le pare che non avere paura del giudizio degli altri si risolva con una frase? Lei è la preside dell’alunno che ha bocciato, deve essere consapevole che non basta un incoraggiamento per non avere paura, gli incoraggiamenti consolatori li lasciamo alle affettuose nonnine che hanno a cuore i loro nipoti. Anche queste frasi avrebbero suscitato nel me quindicenne delle reazioni molto forti, sicuramente scomposte.
Potrei scrivere tante altre cose, ma su questi temi sono divorato dalle incertezze quotidiane, e non invidio per niente chi nel periodo degli scrutini deve decidere una cosa “gigantesca” per la vita di un adolescente, promuoverlo o bocciarlo. Ma una certezza ce l’ho: posso capire chi, suo malgrado, non trova altra soluzione che bocciare un alunno, e argomenta e rivendica questa dolorosa decisione, perché ha una sua idea di scuola in cui la bocciatura è uno degli strumenti possibili di fronte a situazioni non risolte, ma non posso capire chi si auto assolve dal dichiarato fallimento senza che questo abbia delle conseguenze visibili anche all’alunno che ha bocciato. Credo che ai nostri adolescenti dobbiamo coerenza e responsabilità, credo che se veramente crediamo di aver fallito non basta dirlo, così, per far sentire un ragazzo meno solo. In tutti gli ambiti che conosco chi fallisce abbassa la saracinesca, paga i debiti, si inventa una nuova strada e una nuova storia, non continua come se niente fosse… Conosco moltissimi insegnanti a cui vorrei dire “non è così, non hai fallito, hai fatto tutto quello che era nelle tue possibilità, e questo non sempre ci basta per ottenere quello che vogliamo, al massimo è questo sistema che è fallibile, tu non puoi tutto”, e ne conosco altri a cui direi “hai fallito perché di questo lavoro hai capito molto poco, e non è un bene che tu continui a farlo…”. Abbiamo bisogno di abbracciare i primi e mettere i secondi di fronte alle loro scelte sbagliate, di questo ha bisogno la scuola e di questo penso che abbiano bisogno i nostri adolescenti, che di retorica ne respirano già troppa in ogni cosa che li circonda.
Loris Antonelli, educatore
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