Non è al centro delle discussioni politiche eppure la povertà assoluta in Italia riguarda più di 1,3 milioni di bambini, bambine e adolescenti. Una ricerca di Save the children spiega come la povertà materiale incide sulle opportunità educative: per rompere quel legame resta fondamentale aprire le scuola al territorio e proporre ogni pomeriggio attività culturali, sociali e sportive
In Italia più di 1,3 milioni di bambini, bambine e adolescenti vivono in povertà assoluta e più di uno su quattro (28,5%) è a rischio povertà o esclusione sociale. Una ricerca di Save the Children, “Domani (im)possibili”, ha esplorato le diverse dimensioni della povertà minorile dal punto di vista dei ragazzi e delle ragazze, esaminando l’impatto che questa condizione determina sul vissuto presente e sulle prospettive future di vita. Oltre a numerosi ricercatori, l’indagine ha coinvolto un Comitato scientifico di alto profilo, 1.496 ragazzi e ragazze di 15-16 anni, 40 scuole, docenti ed educatori, 31 associazioni, diversi servizi sociali e servizi della giustizia minorile.
In Italia quasi un 15-16enne su dieci (9,4%) vive in condizioni di grave deprivazione materiale. Per il 17,9% dei rispondenti, i genitori hanno difficoltà nel sostenere le spese per l’acquisto dei beni alimentari, dei vestiti o per il pagamento delle bollette. C’è chi vive in case senza riscaldamento (7,6%) o con il frigo vuoto (6,4%), chi rinuncia ad uscire (15,1%), chi non fa sport perché troppo costoso (16,2%), chi non va in vacanza per motivi economici (30,8%). La povertà materiale, spiega Save the children, incide anche sulle opportunità educative: il 23,9% dei 15-16enni ha iniziato l’anno scolastico senza aver potuto acquistare tutti i libri o il materiale necessario. Il 24% dice che i genitori hanno difficoltà economiche per farli partecipare alle gite scolastiche e il 17,4% non si iscrive a corsi di lingua perché troppo costosi. Diversi adolescenti cercano di aiutare i genitori risparmiando e svolgendo qualche attività lavorativa.
Di grande interesse è il paragrafo dedicato alla cosiddette “buone pratiche” che cercano di spezzare il legame tra povertà economica ed educativa. I docenti intervistati hanno raccontato del continuo e fondamentale sforzo nel costruire relazioni positive con gli alunni, ma anche del sostegno materiale offerto ad esempio proponendo il comodato d’uso gratuito dei libri di testo oppure, in alcuni casi, fornendo vestiti o la merenda; o, ancora, assicurando trasporti scolastici a titolo gratuito e garantendo la possibilità di partecipare alle gite scolastiche. Molto utili sono anche gli sportelli per il supporto psicologico e le attività per l’orientamento agli studenti che frequentano l’ultimo anno della scuola secondaria di I° grado.
Tuttavia l’elemento più approfondito in questo scenario è la cosiddetta scuola aperta. Nella ricerca, tra l’altro, si legge:
“Per combattere la povertà economica ed educativa, un altro elemento essenziale è rappresentato dal tempo pieno, dall’apertura della scuola nel pomeriggio, affinché studenti e studentesse, soprattutto se in maggiore difficoltà, abbiano opportunità di svolgere attività extracurricolari. Facendo leva sulle risorse messe a disposizione dal PNRR, i PON e altri
fondi, queste attività vengono garantite gratuitamente e includono, ad esempio, corsi di recupero delle competenze base, corsi di italiano L2, corsi digitali, laboratori STEM, teatro, attività sportive e supporto allo studio, volte a trattenere il più possibile gli studenti a scuola e promuoverne il coinvolgimento, prevenendo l’insuccesso e la dispersione scolastica. Si tratta di momenti che gli studenti apprezzano, a cui partecipano con piacere. Di fatto, queste attività non solo favoriscono lo sviluppo delle competenze, delle abilità trasversali, della motivazione degli studenti, ma diventano anche occasioni di socializzazione che stimolano il senso di appartenenza alla comunità scolastica…”.
Inevitabilmente emerge il tema della comunità educante, cioè della scuola che si apre al territorio per trovare un valido supporto:
“Queste esperienze mettono in luce quanto il lavoro di rete, di tutta la comunità educante, sia un pilastro portante per interventi efficaci a supporto di studenti e studentesse, in particolare di quelli in condizioni di vulnerabilità. L’apertura della scuola al territorio, alla collaborazione con professionisti esterni, con i servizi sociali e con il Terzo Settore arricchisce enormemente l’offerta formativa ed esperienziale rivolta a bambini, bambine e adolescenti, grazie ad interventi che estendono il percorso di accompagnamento anche nel doposcuola e nel periodo estivo, e oltre la sola dimensione educativa, per una presa in carico integrata e multidimensionale. Questo richiama all’importanza del coinvolgimento attivo delle famiglie per un allineamento sul progetto educativo dei figli, che tuttavia presenta delle evidenti sfide…”.
Come coinvolgere le famiglie resta dunque un tema centrale per far fronte alla impressionante crescita delle povertà economiche ed educative. Le esperienze delle scuole aperte partecipate avviate ormai in diverse città e raccontate su Territori Educativi dimostrano che è possibile creare comunità nelle quali insegnanti, dirigenti scolastici, genitori, studenti, ex-studenti, associazioni del territorio agiscono tra pari e sono protagonisti di cambiamenti che resistono nel tempo.