Ragazzi e ragazze non concludono gli studi o lo fanno con grandi fatiche per diverse cause che riguardano fattori economico-sociali, culturali, motivazionali e valoriali. Per questo la lotta contro la dispersione scolastica è difficile. È una lotta che va condotta attraverso alleanze necessarie sul territorio, perché da sola la scuola non ce la fa. Associazioni ed enti locali sono chiamati a giocare un ruolo nuovo decisivo
La lotta alla dispersione scolastica è uno dei compiti più nobili che si possa svolgere nelle singole scuole, perché dà respiro sociale ed educativo a tutta l’attività formativa. Nella società della conoscenza, dell’apprendimento durante tutta la vita, chi fuoriesce anticipatamente dal sistema formativo senza il possesso di adeguate e solide competenze per svolgere il ruolo di cittadino e di lavoratore è destinato all’emarginazione sociale. E in linea di principio nessuno dovrebbe accettare un fatto del genere.
Alla scuola è stato indicato l’obiettivo di ridurre drasticamente la dispersione scolastica e nel frattempo anche quello di aumentare in modo cospicuo la percentuale dei diplomati di quanti frequentano le superiori per allinearsi alle relative medie europee. I risultati sono in via di miglioramento, anche se non sono completamente soddisfacenti, perché il fenomeno della dispersione è ancora consistente, per vecchi e inestirpati fattori, ma anche per nuovi, come la scolarizzazione dei figli dei migranti, per la quale non si è sempre e dappertutto preparati.
A partire dagli anni Sessanta le porte delle scuole sono state aperte a tutti, soprattutto alle superiori. I risultati di questa necessaria scolarizzazione di massa, però, sono ancora contraddittori. A parità di “qualità umane”, infatti, non si ha tra i giovani parità di risultati, di successo formativo e di possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. Si è intervenuto su alcuni ostacoli di natura economica, ma negli ultimi tempi con risorse sempre decrescenti (riduzione delle tasse di iscrizione, borse di studio, gratuità dei servizi di trasporto, buoni-libro, ma rare volte con le mense scolastiche). Questi provvedimenti hanno favorito l’accesso di tantissimi giovani alle scuole, ma non sono riusciti a tenervi dentro tutti quelli che vi entravano e a farli uscire a tempo dovuto con il bagaglio necessario di preparazione per affrontare la vita.
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Questo significa che gli ostacoli alla piena scolarizzazione delle nuove generazioni non erano e non sono esclusivamente di natura economica. È un problema di prima grandezza il contrasto di fondo che si sviluppa tra scuola, cultura scolastica, codice interno del sistema scolastico da una parte, mondo giovanile, cultura giovanile e soprattutto nuova utenza dall’altra. Il peso delle discipline logico-linguistiche, il primato della scrittura, l’astrazione inevitabile di alcuni saperi scolastici, la subalternità e la debolezza delle attività laboratoriali nei curricoli scolastici, l’organizzazione del tempo scolastico sono congeniali a un certo tipo di alunni: quelli predisposti e in qualche modo allenati in ambienti familiari che ne comprendono e ne accettano le ragioni. Per altro genere di giovani, cioè di altre estrazioni sociali, queste caratteristiche del mondo scolastico costituiscono difficoltà da superare.
Il problema più rilevante nell’insuccesso scolastico è quello costituito dalla povertà dell’eredità culturale di cui dispongono tanti giovani che entrano nel sistema di istruzione. A scuola non sempre si riesce a contenere i disagi che ne derivano. Si registra ancora una preoccupante correlazione tra successo scolastico e patrimonio culturale in possesso degli alunni, tra status culturale della scuola e quello delle famiglie di ceto medio. Nelle scuole, anche in quelle a indirizzo tecnico e nelle stesse medie, vengono esaltate e premiate le forme di intelligenza che si esprimono nel rapido e più ampio possesso delle conoscenze. Poco spazio si dà al sapere fare e al sapere agire, anche se in queste finalità si devono individuare le condizioni di una vera democratizzazione del curriculum e della valutazione.
Accanto a questo primo grande problema, altri ne sono sorti, che rendono difficile per molti il successo formativo.
Il primo. La fine della mobilità sociale che nel titolo di studio trovava alimento e giustificazione; causa fondamentale della motivazione a studiare, non sostituibile col piacere della cultura, con il diritto a una piena cittadinanza, con la necessità di una vita continua come apprendimento. Neppure la cognizione della marginalità sociale conseguente alla povertà di cultura e alla carenza di professionalità riesce ad avere capacità di motivazione. Lo scambio sacrifici oggi per eventuali vantaggi domani non funziona e non viene praticato da molti giovani.
Il secondo. L’incapacità di dominare le nuove tecnologie per ricavarne risorse per il lavoro e per la cittadinanza.
Sono due sfide al sistema scolastico, ma solo la seconda è davvero nelle sue possibilità con i dovuti finanziamenti e con la necessaria predisposizione dell’infrastruttura materiale e professionale. La soluzione della questione fondamentale della mobilità sociale è nelle mani di chi ha la responsabilità della politica industriale e degli investimenti economici. La scuola deve soltanto non perdere battute nel preparare i giovani a inserirsi nel modo migliore e con il dovuto bagaglio professionale e culturale nel mondo del lavoro se e quando per loro si aprono le porte.
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Oltre a questi problemi in meridione se ne devono affrontare altri molto seri e che non vengono adeguatamente considerati nel nuovo e appassionante sport nazionale delle graduatorie degli istituti scolastici… Problemi riassumibili nella povertà del capitale culturale del territorio (insufficienza di sedi scolastiche, grave deterioramento degli edifici scolastici, rarità di biblioteche, povertà di centri e di associazionismo culturali, disattenzione degli enti locali, casualità dei servizi alle persone, scarsa partecipazione civica alle scelte locali, vuoto e dissipazione dei mesi estivi, deprivazione culturale di molte famiglie etc) e nella disgregazione sociale del territorio di riferimento (lacerazione dei rapporti familiari, redditi familiari incerti, precarietà nel lavoro e disoccupazione di massa, illegalità e criminalità diffuse, quartieri senza servizi, degrado urbanistico, servizi dei trasporti insufficienti e sgangherati etc). Problemi che aggravano le condizioni del disagio giovanile e ostacolano il percorso di formazione di quanti provengono da questi ambienti.
Nella dispersione scolastica lavorano, quindi, a pieno regime fattori economico-sociali, fattori culturali, motivazionali e valoriali. Per questo è una lotta difficile e dai risultati incerti. È una lotta che va condotta su diversi terreni, che richiede una strategia plurale e la capacità di tessere le alleanze necessarie sul territorio, perché da sola la scuola non risolverà mai questo problema. Chiamare, allora, gli enti locali alle proprie responsabilità, le associazioni per il loro contributo, le aziende per la collaborazione, le famiglie per la partecipazione alla vita scolastica, gli insegnanti all’innovazione e alla creatività metodologica.
A scuola non dovrebbero mancare iniziative per cercare, laddove il problema si pone, di recuperare il rapporto tra generazioni; di superare ogni forma di comunicazione non dialogante all’interno della comunità scolastica; di spingere le famiglie alla riassunzione della loro responsabilità educativa, qualora come spesso succede vi avessero rinunciato; di valorizzare nello studio e nella riflessione la storia, le tradizioni, la cultura del proprio territorio per riportare criticamente i giovani alle proprie radici.
Il lavoro più importante resta sempre quello che viene quotidianamente fatto in classe; ma non al modo di sempre, perché è quello che in parte produce la dispersione. Un lavoro che deve essere fondato sulla fiducia che viene riposta negli alunni, sulla valorizzazione del loro impegno, sull’incoraggiamento e sulla loro responsabilizzazione. Vedi cosa sai fare? Puoi farcela e in alcuni casi devi farcela. Potrebbero essere i principi con cui regolarsi nell’attività didattica. Principi che richiamano la passione educativa dell’insegnante, la sua umanità professionale.
In situazioni in cui nell’immediato è impossibile il recupero educativo della famiglia e del territorio, con rischi incombenti di degrado e di marginalità sociale per tanti nostri giovani, le uniche risposte al problema della dispersione sono quelle che solo la scuola può dare, considerando il grande patrimonio umano, culturale e professionale dei suoi insegnanti.
E se non la scuola, chi?
Raimondo Giunta vive in Sicilia dove è stato insegnante e dirigente scolastico