Il lavoro degli educatori alle periferie del sapere e delle città è fatto di percorsi spezzati: percorsi cominciati e interrotti dalla violenza, dal degrado, dall’insipienza del potere. Piuttosto che una linea di pensiero ci restano tra le mani frammenti di fibra… Il sogno è per noi la macchina per intrecciare il canapo, produrre senso nel deserto dei significati, trasformare la fatica in una impresa meravigliosa, ritrovare l’umano che la città nasconde

“C’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo,
aperto a ogni sviluppo ma cercando d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato“
(Danilo Dolci)
Alla periferia della mente c’è il sogno che confonde i contorni, i colori, i significati e fa balzare alla coscienza ciò che essa stessa voleva tenere nascosto; alla stessa maniera l’unico modo di scoprire le periferie è confondersi in esse per ritrovare l’umano che la città nasconde a se stessa. Come un segugio – stalker – segue le tracce dell’animale braccato in mezzo ai mille odori della foresta, così l’educatore, segue le tracce dell’umano che, nella desolazione delle periferie, tuttavia vive un’esistenza autentica.
A noi maestri di strada ci capita in classe di prendere parte a un vero e proprio teatro: lo spazio accogliente e protettivo della scuola può aiutare a sperimentare che la piena delle emozioni può essere trattenuta e dominata quando le si dia una rappresentazione simbolica invece che tradurla in azioni. La scuola diventa lo spazio di una dissociazione possibile dal modello violento del contesto. Un luogo in cui si impara ad allentare le maglie della paura e dell’odio.
Sfastirio
Contemplando “in maniera sgomenta la pochezza del mondo degli adulti” molti adolescenti adottano un disinvestimento massiccio da qualsiasi impresa evolutiva, che prende la forma della noia (Pietropolli Charmet, 2008). A Napoli la noia è ’o sfastirio. È amaro lo sfastidio. È un rifiuto inappellabile, è la forza della rinuncia, lo sprezzo del disinteresse. Funziona come uno specchio: se ci si sente inadeguati, se si ha paura dell’impegno del nuovo e dell’ignoto, se riemerge l’antica diffidenza verso la cultura alta o gli adulti, se la nuova esperienza è seducente e affascinante lasciando intuire un’altra immagine di sé… allora bisogna schernirla e svalutarla (…) . Raramente lo sfastidio è solo capriccio o dispetto. Nella scuola lo sfastidio sembra invincibile. Poggia su bastioni possenti come la muraglia cinese, sul divorzio tra il sapere e la vita, tra la cultura e il progetto di sé, soprattutto qua in periferia.
Il cuore ha le sue prigioni che l’intelligenza non apre, dice Blaise Pascal. “Sognare ciascuno come oggi non è” il gruppo di pensiero dei maestri di strada, serve a tenere in vita e a rinnovare il sogno, a ricostituire continuamente quel filo poetico e sognante che è in grado di tirare fuori dalla passività i nostri giovani.
Cattedrali di senso nel caos delle periferie
La scuola non riesce a creare, per dirla con Jerome Bruner, una “versione del mondo” in cui i nostri adolescenti possano immaginare “un posto per sé”. Il lavoro degli educatori alle periferie del sapere e delle città è fatto di percorsi spezzati: percorsi cominciati e interrotti dalla violenza, dal degrado, dall’insipienza del potere. Piuttosto che una linea di pensiero ci restano tra le mani frammenti di fibra ma con questi possiamo intrecciare un robusto canapo a cui aggrappare noi stessi e l’umanità dolorante delle periferie per venire fuori dal caos, per educarci. Il sogno è per noi la macchina per intrecciare il canapo, produrre senso nel deserto dei significati, trasformare la fatica in una impresa meravigliosa. Il sogno è per tenerci in vita, raccogliere la sfida orientando il pensiero e le attività, conservare l’integrità e la libertà contro l’inerzia di chi si fa sopraffare dalle circostanze.
Le radici umane ed emozionali della cura dell’educazione non sono eroiche ma stanno nella resistenza e nei legami necessari a proteggere l’umano di cui è intessuta, nonostante tutto, la vita delle nostre città.
Maestri di Strada: chi siamo
Lungo gli anni, nell’associazione “Maestri di strada” di Napoli, si è consolidato un gruppo di lavoro costituito da venti “maestri di strada”, nuovi professionisti che sono insieme educatori, ricercatori, progettisti, mediatori e che agiscono sistematicamente come gruppo e che crescono attraverso un gruppo di lavoro chiamato “gruppo multivisione” che applica una tecnica di apprendimento dall’esperienza già sperimentata in ambito sanitario. Fanno parte del gruppo uno psicopedagogista con trent’anni di esperienza nell’insegnamento e nella progettazione educativa in ambienti sociali complessi, una ricercatrice e docente universitaria nel campo della psicologia dello sviluppo e dell’educazione altri operatori con titoli accademici in campo psico-educativo (con minimo cinque anni di esperienza specifica nei progetti educativi di inclusione sociale). A questo nucleo stabile si affiancano altri venti operatori con altri incarichi: tirocinanti (provenienti da studi psico-socio-educativi), giovani laureati e volontari impiegati nel lavoro di osservazione delle esperienze sul campo e reporter delle osservazioni nel gruppo di lavoro multivisione.
Fonte: Maestridistrada.it.