Si fa un gran parlare in documenti ministeriali e in testi di pedagogia del bisogno di favorire un apprendimento transdisciplinare e dell’importanza di non separare mente e corpo. In realtà continuano nei fatti a esistere le suddivisioni disciplinari, come se il mondo non fosse un tutt’uno. “Al curricolo tradizionale si deve sostituire un percorso fatto di grandi aree di esperienza che incrocino la vita nella maggior quota possibile delle sue forme”, scrive Paolo Mottana in un capitolo de I tabù dell’educazione. Su ciò che la pedagogia non vuol vedere (mimesis): servizio sociale, lavoro come esperienza reale, immersione nella natura, ma anche teatro, danza, cinema, fotografia, letteratura, musica, pittura e ancora arti marziali e attività sportive… Sono le esperienze, dunque le relazioni con le persone e con il territorio, che possono stimolare la curiosità e alimentare le motivazioni. Da queste esperienze nasce poi l’esigenza di ricorrere a informazioni, a cornici di sapere e a specifiche competenze disciplinari. “Al curricolo fallimentare della maggioranza delle pedagogie scolastiche va sostituito il mondo…”

“We don’t need no education. We don’t need no thought control
No dark sarcasm in the classroom. Teachers leave them kids alone
Hey! Teachers! Leave them kids alone!
All in all it’s just another brick in the wall
All in all you’re just another brick in the wall“
[Pink Floyd]
Il vecchio Kropotkin ammoniva che le scuole e le altre istituzioni statali che hanno assunto e monopolizzato l’istruzione dei giovani cominciavano a fletterti il cervello con lo studio della lingua e della legge romana per rendere “docili e sottomessi” ma in effetti su che base sono scelte le famose discipline scolastiche e il peso che ciascuna di essere deve avere nei cosiddetti programmi di indottrinamento sistematico cui le giovani mente devono essere sottoposte?
Nel 1860 nelle scuole sabaude il latino (soprattutto nello studio delle sue forme grammaticali) prevaleva di gran lunga anche sull’italiano con una proporzione di 3/3 a 2/3 negli istituti classici, dacché, come ebbe a dire il ministro Coppino più tardi essa era la “lingua dei padri e la veste linguistica del sapere”. Del resto “con la ratio studiorum gesuitica si era rafforzata ulteriormente la valenza precettistica e normativa del latino ed il ‘concetto’ di regola si definiva in senso dogmatico, speculum dell’osservanza religiosa e paradigma della severa disciplina interiore” (Morelli, in Bianchini, 2010, 57)
Così all’inizio delle nostre sorti magnifiche e progressive sta il primato del latino su tutto, con l’italiano che guadagna lentamente posizioni e un po’ di storia e geografia ma forse sarebbe meglio parlare di agiostoria e agiogeografia, poiché in esse si privilegiavano lo studio dei re e dei loro regni (Bianchini, 2010).
Leggere, scrivere e fare di conto da lì in poi sono stati e tuttora restano i fondamenti dell’istruzione di base della nostra scuola statale. Con scappatelle nei mondi della storia, della geografia e delle scienze naturali.
Ad oggi continuano nei fatti a esistere le assai discutibili suddivisioni disciplinari. Attorno alle pietre miliari della lingua nazionale, della matematica, della storia e della geografia si alternano, a seconda degli indirizzi di studio, particole di filosofia, di scienze, di ragioneria, di storia dell’arte, di educazione motoria, di educazione civica (?!), di fisica, di chimica, di statistica, di prolegomeni alle professioni più varie ecc ecc.
Il sapere fatto a pezzi negli anni dell’avanzata del pensiero scientifico è diventato un caleidoscopio di frammenti non più uniti intorno al fenomeno centrale della vita, dell’esistere, dell’agire e del capire.
Invece di pescare nel giacimento quello sì inesauribile dell’esperienza, delle forme di vita, dei grandi temi che attanagliano le sorti di noi tutti, indagandoli con i saperi riunificati intorno ai diversi focus ma soprattutto attraverso esperienze e azioni concrete (e mi riferisco alle tematiche dell’amore, della malattia, della morte, dei sentimenti, del divenire sé stessi, dell’ambiente naturale e della società), si continua a perpetuare, anche per conservare evidentemente i posti di insegnamento specialistici degli insegnanti, un calendario di cognizioni scomposte e alla deriva.
Occorre smantellare questo edificio vetusto e da sempre fallimentare, fallimentare nel rendere i soggetti capaci di leggere la realtà nella sua fondamentale unitarietà, di comprendere il mondo come un tutto in cui le diverse parti concorrono ma soprattutto di leggere i grandi fondamenti visibili e invisibili che lo governano e che lasciano il loro segno nella lingua, nella storia, nell’uso delle geometrie e dei calcoli, nel potere che plasma la terra e i suoi confini ma soprattutto anche nelle dimensioni così essenziali dell’esistenza personale, delle sue paure e delle sue speranze.

Occorre al contrario ricostruire un intreccio di esperienze concrete, di incontri reali, di opere di cooperazione, di investigazione nella carne dei fenomeni che consenta a chi le attraversa di sperimentarsi, di vivere il mondo, di abitarlo, di sentirlo, di conoscerlo. Un insieme di esperienze da nutrire certo di saperi ma al momento in cui vengono chiamati in causa e non come una sorta di cassetta degli attrezzi preliminare (secondo la ben nota logica deduttiva che continua a imperare nella didattica scolastica) che mai viene realmente messa in azione e che inesorabilmente si consuma e sparisce proprio in quanto inutilizzata, inservibile, scissa dai fenomeni reali.
Al curricolo tradizionale si deve sostituire un percorso fatto di grandi aree di esperienza che incrocino la vita nella maggior quota possibile delle sue forme (cfr. Mottana, Campagnoli, 2020): dal servizio sociale, dall’aiuto e dall’intervento laddove la realtà chiede di essere vista e accudita secondo le capacità di tutti ma soprattutto di coloro che hanno ancora un briciolo di sensibilità non ottusa dal disciplinamento scolastico e famigliare, al lavoro come esperienza reale, interlocuzione nei posti di lavoro, agire costruttivo, cooperazione, immersione in un fare che sia socialmente e personalmente gratificante, un modo di cimentarsi con la materia del mondo, con le sue negoziazioni, con le sue opere.
Dalla transazione con la natura, da non intendersi come passeggiatina ristoratrice o teatro di didattica en plein air ma come dimensione specifica, interna e esterna di tutti noi, con le sue bellezze e armonie e le sue terribili catastrofi, le sue guerre invisibili e visibili, le sue leggi e i suoi limiti, a tutti i versanti dell’espressività simbolica, dal teatro alla danza, dal cinema alla fotografia, dalla letteratura alla musica alla pittura, sia come recettori che come produttori, in quelle che sono le forme di linguaggio simboliche più vicine alla sensibilità dei bambini e dei ragazzi, nutrendoli delle grandiose e infinite forme della creazione simbolica giunte fino a noi e tuttora in atto ma anche della loro possibilità di riviverle, ricrearle, immergersi in esse per ripensarle, meditarle, farne un arredo della propria visione del mondo.


E ancora l’esperienza del corpo a tutto campo, come soggettività in carne ed ossa, che richiede di essere conosciuta e perlustrata al fine di rendersi più consapevoli di esso, di capirne i segni, di potersi anche guarire laddove se ne riconoscano i sintomi, di affinare i sensi attraverso la meditazione o la bioenergetica, di collaudarne la forza e la resistenza attraverso le arti marziali, vere e proprie arti di vita, lanciandosi nello sport ma anche andando a fondo nella natura sessuale e sessuata dei corpi, dei loro desideri e della loro giusta domanda di soddisfazione.
Infine andando a stimolare la curiosità e la voglia di capire con l’area della ricerca, dell’indagine scientifica, dell’esplorazione di ogni campo vitale che interessi, da una semplice strada fino al groviglio degli atti politici e economici di uno stato o di un’organizzazione internazionale.
È attraverso lo spettro inesauribile delle esperienze esercitate nel corpo reale delle cose che viene stimolata la curiosità, che viene alimentata la motivazione, che viene restituito senso del proprio esistere e protagonismo a chi le vive. Da queste esperienze nasce poi l’esigenza di ricorrere ad informazioni, a cornici di sapere e a specifiche competenze disciplinari. È nel vivo dell’essere coinvolti in qualcosa integralmente che scaturisce il desiderio di sapere, non certo da una organizzazione deduttiva e separata dal corpo della realtà.
Al curricolo fallimentare della maggioranza delle pedagogie scolastiche va sostituito il mondo, in tutte le sfaccettature possibili, attraverso percorsi di esperienza, di intervento, di partecipazione, di rielaborazione e riflessione.
Alla scuola va sostituita l’educazione diffusa.

Testo (titolo originale “Le discipline”) tratto dal libro I tabù dell’educazione. Su ciò che la pedagogia non vuol vedere (mimesis). Un libro che costringe a pensare indagando alcuni temi che ancora troppi educatori e pedagogisti preferiscono evitare o non approfondire: fallimento, ozio, sessualità dei bambini, morte, piacere…