Attraverso l’educazione alla parola, il maestro Mario Lodi ha visto la possibilità di scardinare il modello della scuola nozionistica e autoritaria, di trasformare in profondità anche l’organizzazione del tempo e dello spazio della classe. Tuttavia il suo impegno non si è limitato solo alla scuola: Lodi per tutta la vita ha lottato contro ciò che, dentro e fuori dalla scuola, è pensato per neutralizzare i bambini e le bambine. Il suo modo non comune di guardare all’infanzia e di ascoltarla e la sua infinita capacità di dar vita a opere collettive, con grandi e piccoli, possono oggi orientare tanti sforzi di insegnanti ed educatori ma anche di associazioni genitori e amministratori locali. Mario Lodi. Pratiche di libertà nel paese sbagliato (BeccoGiallo) è un meraviglioso fumetto – di cui pubblichiamo ampi stralci di un paragrafo posto in coda alle tavole – di Alessio Surian e Diego Di Masi con i disegni di Silvio Boselli, già illustratore di tre libri di Lodi (nel libro anche un testo di Luciana Bertinato e Carlo Ridolfi)


Il cuore di queste pagine sono i disegni. Queste note intendono esplicitare le scelte narrative, la necessaria selezione di pensieri, episodi, racconti attraverso la lunga vita del maestro Mario Lodi, per provare a restituire almeno in parte i suoi gesti e la sua voce. Non sono probabilmente fondamentali: è possibile concentrarsi sulle tavole illustrate da Silvio Boselli. Anzi, se ne avete la possibilità, ascoltate prima la voce di Mario Lodi: le teche Rai mettono a disposizione in rete “Mario Lodi: un metodo di insegnamento”, mezz’ora tratta da un film girato nel 1978 di Vittorio De Seta. Oppure ascoltatelo in epoca più recente parlare dei linguaggi dei bambini intervistato nella Casa delle Arti e del Gioco da Andrea Canevaro.
Incontrare Mario Lodi è incontrare un’idea densa, cento pratiche vive di scuola democratica e un modo di guardare all’infanzia e di ascoltarla oggi non comune. A chi lo interrogava a questo proposito Mario Lodi ricordava:
“I bambini arrivano in classe con un sapere: esplorando il mondo hanno imparato a osservare, a parlare e sviluppato spontaneamente un’enorme mole di conoscenze. Da lì bisogna partire, cominciando a non ignorare le cose che sanno e replicando il metodo con cui le hanno apprese. Un bambino che nasce ha nel pianto il primo strumento per esercitare la libertà di espressione, sa usarlo anche se non sa che esiste l’articolo 21”.
Il processo educativo riguarda tanto l’ascolto di ciò che sanno e desiderano sapere i bambini, quanto le opportunità di far dialogare e costruire collettivamente conoscenze:
“All’inizio, parlando in classe, i bambini fanno confusione, si scavalcano, parlano tutti insieme. Far sperimentare un momento di caos è un modo per far intendere loro l’esigenza di rispettare i tempi e le parole altrui. I primi minuti di discussione ordinata sono il primo successo. Poi viene la cooperazione: immagino una scuola dove si discutono le esigenze e di conseguenza le regole. Tra le prime cose che chiedevo ai miei bambini e che i maestri oggi chiedono ai loro è di darsi da fare assieme per rendere la loro aula più accogliente: la si fa bella con i contributi di tutti, perché così diventa casa e la si rispetta. È il nostro antidoto contro il vandalismo”.
Scrivendo sulle cooperative in classe, Mario Lodi richiama i valori della Costituzione che invitano i maestri a mettere i bambini in condizioni di poter
“sperimentare progressivamente forme di lavoro di gruppo e di vicendevole aiuto e sostegno, anche per prendere chiara coscienza della differenza fra solidarietà attiva con il gruppo e cedimento passivo alle pressioni del gruppo. (…) Il modello di scuola proposto non è più quindi quello individualistico competitivo che tende a eliminare gli svantaggiati, ma una piccola società di uguali nei diritti e nei doveri che imparano a conoscersi, a diventare amici e a collaborare per fini comuni progettati e realizzati insieme (…) la cooperazione, come la libertà e altri diritti e doveri costituzionali, non sono intesi come nozioni da apprendere con lo studio, ma come valori da realizzare con i bambini sin dal primo giorno di scuola”.
Attraverso l’educazione alla parola, il maestro Lodi vede la possibilità di scardinare il modello della scuola nozionistica e autoritaria che concede la parola ai bambini solo quando devono essere interrogati. Educare “l’uomo sociale” alla libertà significa, quindi, offrire l’opportunità per apprendere la
“tecnica della conversazione […] necessaria per comprendere gli altri, capire i problemi in profondità, progettare insieme. È una tecnica che s’impara lentamente […] non è facile stare all’argomento, ascoltare sino alla fine chi parla, ricordare o annotare i punti essenziali del discorso altrui, attendere per intervenire, parlare evitando le ripetizioni dei concetti già espressi e portare avanti il discorso collettivo come una costruzione razionale che sale poco a poco. Conversando viene alla luce una miniera inesauribile di fatti e di situazioni emozionali: è la ricchezza della vita che i bambino colgono dalla loro angolazione. Dove si parla si impara a parlare. Se a scuola tacciono come possono divenire capaci di comunicare le proprie idee?”.
La “rivoluzione silenziosa” condotta dal maestro Lodi all’interno della scuola, non solo riconosce la cultura del bambino e lo rende protagonista valorizzando la sua esperienza, ma trasforma profondamente anche le attività scolastiche e l’organizzazione, nel tempo e nello spazio, della classe. Il lavoro di Lodi (e del Movimento di Cooperazione Educativa), riparte dai linguaggi, quello orale così come quello del corpo (del teatro “o gioco dell’essere altro da sé”) e quello dei segni grafici: il disegno. Viene introdotta la ricerca “come strumento da usare in ogni attività scolastica” e la documentazione, che trova il suo strumento nel foglio-giornale così come nelle pareti stesse della classe che diventano il luogo della “memoria storica” su cui esporre i materiali realizzati. Infine anche gli angoli della classe si trasformano e diventano “laboratori in alcuni giorni e punti di lavoro individuale o di gruppo in altri”, perché anche i luoghi che viviamo possono promuovere od inibire lo sviluppo di un pensiero libero.
“Eccomi dunque in mezzo all’aula. Vi dovrebbero stare, oltre all’armadio, alla predella su cui troneggia la cattedra, alla lavagna girevole e alla stufa a gas, i tavolini individuali con relativi seggiolini, un tavolo e un mobiletto guardaroba per i bambini. Ho provato e riprovato a disporre i tavoli in diversi modi: ci stavano, ma ci sarebbe voluto l’elicottero per spostare i bambini. A mali estremi , estremi rimedi: fuori la cattedra che non serve a nulla e fuori l’armadio che può stare nel corridoio. Mentre trabattavo è apparsa la collega di quarta, anch’essa venuta a sistemare l’aula: si lamentava perché la sua lavagna a muro non ha le righe. Le ho proposto il cambio e se ne è andata soddisfatta per l’affare. Sparita la lavagna girevole, un angolo è stato liberato. La situazione era migliorata: ora ci stavano due file di tavolini con un sufficiente passaggio al centro. E la pedana? Idea: spostata contro la parete, sotto la lavagna murale, diventerà il nostro… teatrino, o meglio la piazzetta dove si svolgeranno le manifestazioni pubbliche della nostra piccola comunità. Ogni tanto, passando, v’inciampavo, nascosta com’era tra i tavolini. Ma non vi ho rinunciato, perché quel metro quadrato scarso di spazio sociale su cui i bambini potranno cantare, giocare, narrare le loro esperienze ai compagni, dipingere, è il pezzo più importante dell’arredamento.”
Lodi sostiene che, dentro e fuori la scuola, tutto è pensato per neutralizzare il bambino come essere pensante e il maestro sin dal primo giorno deve scegliere tra asservire o liberare. Se vuole trasformare la scuola in una fabbrica o in un carcere, oppure
“distruggere la prigione, mettere la centro della scuola il bambino, liberarlo di ogni paura, dare motivazione e felicità al suo lavoro, creare intorno a lui una comunità di compagni che non gli siano antagonisti, dare importanza alla sua vita e ai sentimenti più alti che dentro gli si svilupperanno, questo è il dovere di un maestro, della scuola, di una buona società”.
[…] Per Mario Lodi è indispensabile nei processi che incoraggiano gli apprendimenti, la ricerca di quanto di positivo c’è in chi apprende:
“Molti hanno fatto confusione fra scuola attiva e scuola di promozione delle attività del fanciullo. Lasciar fare al bambino quello che vuole senza metterlo in situazioni continuamente stimolanti e senza tendere alla reazione di un collettivo che coinvolge, è venir meno al nostro compito formativo di personalità equilibrate e creatrici. Noi dobbiamo influire sul bambino in modo positivo perché la società influisce su di lui in modo negativo, lasciarlo in balia di se stesso significa rinunciare al fine educativo della scuola”.
È questo sguardo positivo a caratterizzare l’ascolto del maestro Mario Lodi nei confronti dei bambini, a lasciar spazio alle loro proposte: se durante una lezione qualcuno guarda fuori dalla finestra, si fa spazio a quel mondo che quella finestra rivela, alle domande che suscita, a Cipì e mongolfiere. […] Nella scuola di Lodi si propone anche un modello di relazione fra scuola e famiglia che trova le sue radici nell’impegno del maestro a favore dell’educazione popolare. Strumenti quali il foglio-giornale, oltre a promuovere e documentare le esperienze di apprendimento dei bambini, hanno avuto come esito ulteriore quello di favorire anche tra i genitori occasioni di apprendimento non meno preziose di quelle offerte ai loro figli.
Come testimoniano anche le scelte personali di Mario Lodi nella sfera sociale, culturale e politica della sua vita, il suo impegno non si è limitato solo alla scuola: “dobbiamo riconoscere che l’opera educativa sarebbe sterile se limitata all’interno della scuola”, dunque anche il foglio-giornale o giornalino, attraverso la collaborazione avviata con altri maestri, scrittori, docenti, politici e intellettuali ha rotto “il nostro isolamento nella scuola e ci ha immersi nella vita a diretto contatto con i problemi del nostro tempo” (per esempio le lettere dei bambini inviate al Presidente Nixon, al Presidente del Consiglio Andreotti e al Papa Paolo VI contro la guerra in Vietnam, lo scambio di lettere con Rodari sulla poesia, con i ragazzi di Barbiana o del maestro Bernardini, i racconti di Gesù Oggi, eccetera).
[…] Per dieci anni, dal 1970, Mario Lodi sarà il direttore del gruppo di ricerca della Biblioteca di Lavoro. In questo periodo prendono forma 127 libretti: letture, guide e documenti. La pensione, nel 1978, gli dà la possibilità di dirigere a Piadena, nei tre anni successivi, la Scuola della Creatività, un progetto regionale che coinvolge bambini dai 3 ai 14 anni e adulti invitati a sperimentare tecniche creative. Saranno 5.000 le fiabe inventate dai bambini che nel 1980 raccoglie su tutto il territorio italiano, a testimonianza della creatività infantile: anche questo sforzo di ricerca e documentazione contribuisce a dar vita nel 1983 a “A&B” rivista interamente scritta e illustrata dai bambini, dal 1988 edita con il titolo de “Il giornale dei bambini” (su questo straordinario giornale-progetto educativo leggi anche Dare parola ai bambini di Franco Lorenzoni, ndr). Nello stesso anno, il gruppo redazionale della rivista riscrive la Costituzione Italiana scegliendo un linguaggio accessibile ai bambini. Qualche anno dopo, sarà la Casa delle Arti e del Gioco, fondata da Mario Lodi nel 1989, a pubblicare 67 libretti di racconti, favole, poesie di bambini. Una serie dedicata ad atteggiamenti e sentimenti positivi: la collaborazione, il rispetto per la natura e verso gli altri, la felicità. Il seme l’avevano piantato Insieme nel 1974 e, prima ancora, Il paese sbagliato: un libro piccolo nelle dimensioni (nella collana Einaudi Nuovo Politecnico, quelli col quadrato rosso), il primo a mostrare come in un libro possano essere stampati i disegni dei bambini, un libro che riporta all’inizio del testo i nomi dei bambini, scritti a macchina. Un libro fatto di tanti episodi, di tanti modi di leggere il mondo e coltivare relazioni “umane”. Il testo di Lodi e dei bambini di Piadena è un invito ad esplorare la dimensione profonda e relazionale dell’essere “umani”, si tratti di dialogare e collaborare in classe, di esplorare un motore a scoppio o il lavoro nei campi, di domandarsi se una macchina (Olivetti) “fa errori?”, di coltivare il gusto del creare canzoni proprie o scimmiottare quel che passa la tv, di scrivere, collettivamente, ai ragazzi che a Barbiana si sono chiesti perché venire a scuola. Ancora oggi è inesauribile fonte di pratiche e riflessioni, diario dell’esperienza didattica che raccoglie foto, dipinti, musiche, testi: il lavoro di Mario Lodi e dei suoi allievi fra il 1964 e il 1969. Questa capacità di dar vita ad opere collettive sarà al centro del messaggio che Mario Lodi ci consegna il 23 gennaio 1989 in occasione della cerimonia di laurea honoris causa in pedagogia che l’Università di Bologna aveva riconosciuto a lui e Paulo Freire il 13 settembre 1988. Per Mario Lodi si tratta di
“un riconoscimento che va aldilà della mia persona, a tutti i maestri di scuola che dagli anni Cinquanta ad oggi hanno dedicato il loro impegno professionale e civile per adeguare la nostra scuola pubblica ai principi della Costituzione. Il MCE cui ho partecipato, per la prima volta nella scuola italiana, riunì spontaneamente in quei primi anni del dopoguerra docenti di ogni ordine e grado che sentivano come dovere civile di partecipare alla ricostruzione di un Paese sconvolto prima da venti anni di fascismo e poi da cinque anni di guerra dedicandosi alla riconversione della scuola pubblica da luogo di coercizione a luogo sociale di libertà, di ricerca, di produzione creativa (…)”
[…]
[Alessio Surian, Diego Di Masi e Silvio Boselli]
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