“Il lavoro educativo è complesso, perché il nostro obiettivo non è controllare i nostri educandi o far sì che possano inserirsi in un determinato ordine sociale. Noi ci occupiamo della loro libertà, ovvero della possibilità di esistere come soggetti della propria vita e non come oggetti di altre forze… Il nostro lavoro è quello di equipaggiarli e di aiutarli a orientarsi nel mondo… Non possiamo sapere se stiamo facendo la cosa giusta; tuttavia, come educatori, non possiamo mai rinunciare a questa sfida…”. Introduzione all’edizione italiana di Oltre l’apprendimento. Educazione democratica per umanità future (FrancoAngeli) un testo di Gert J.J. Biesta che – in dialogo con Hannah Arendt, Michel Foucault, Jeques Deridda e Zygnunt Bauman – solleva riflessioni essenziali sulla pedagogia, sull’idea di comunità e sulla responsabilità educativa
Oltre l’apprendimento è stato pubblicato per la prima volta nel 2006, proponendosi come una raccolta di questioni e temi su cui stavo riflettendo da tempo. Si potrebbe forse pensare che, dati i rapidi cambiamenti a cui assistiamo quotidianamente, un libro giunto ormai al diciassettesimo anno di età abbia ben poco da dire sull’educazione di oggi. Eppure, penso che, da un lato, sia superficiale affermare che tutto nel mondo di oggi sia soggetto a rapidi cambiamenti: pensiamo alla povertà, alle disuguaglianze, ai conflitti e alla crisi ambientale. Dall’altro lato, penso che sia pericoloso dare credito solo alle più recenti tendenze, definendo obsoleto tutto ciò che arriva dal passato. Inoltre, credo che l’educazione ponga delle questioni che perdurano nel tempo, che non sono di facile risoluzione e che quindi richiedono un’attenzione costante. A tal proposito, una chiave di lettura di Oltre l’apprendimento potrebbe essere proprio quella di ritenerlo un testo che si interroga sulle “grandi” e perduranti questioni educative.
Probabilmente la questione più complessa di cui mi occupo riguarda il nostro esistere. Infatti, mi interrogo su che cosa significhi essere umani e condurre un’esistenza umana. Questo tema ci interpella da moltissimo tempo e ritengo sia fondamentale continuare a porsi queste domande, senza però presumere di potervi dare una risposta definitiva. A un livello prettamente filosofico, il nostro esistere come umani rimane un mistero da preservare, evitando di ridurlo a una mera descrizione: siamo infatti sempre qualcosa di più della nostra razionalità, del nostro corpo, della genetica e così via. Siamo esseri con un futuro aperto, che non significa solo che godiamo di una certa libertà – pur condizionata in diversi modi – ma che viviamo la continua sfida del dover fare qualcosa di questa nostra libertà, o più precisamente viviamo la sfida di dover usarla bene.
Noi educatori ci troviamo proprio al centro di questa sfida, ci posizioniamo tra le nuove generazioni che stanno entrando nel mondo e il mondo così com’è, ci troviamo, come dice Hannah Arendt, “tra passato e futuro”. In questo senso, il nostro compito è quello di equipaggiare le nuove generazioni affinché possano vivere nel mondo, farlo proprio, fornendo loro le conoscenze e competenze di cui potrebbero avere bisogno. Ci troviamo a dover orientare le nuove generazioni al senso di vivere nel mondo di oggi, aiutandole anche a comprendere com’è diventato così come lo conosciamo. Noi educatori, come rappresentanti della nostra generazione, tendiamo a voler condividere i nostri ideali, compresi quelli che riguardano il significato di essere umani e condurre un’esistenza umana. Dobbiamo prestare però attenzione a evitare che questi nostri ideali, che dovrebbero ispirare i giovani, diventino un impedimento all’esercizio della loro libertà, imponendo loro di seguire le nostre orme. In tal caso, l’educazione fallirebbe nel suo intento, rinunciando a prendere parte alla sfida continua sui significati della libertà, che fa sì che le nuove generazioni possano vivere la propria di vita.
Questo prezioso, complesso e in un certo qual modo fragile spazio educativo non ha solo a che fare con il mero apprendimento, Il cui linguaggio dominante è qui oggetto dei miei interrogativi. Questo è anche il motivo per il quale ho deciso di intitolare questo libro Oltre l’apprendimento, suggerendo l’idea che l’educazione non abbia a che fare ‘solo’ con l’apprendimento, appunto, visione che invece la impoverisce e la priva delle sue complessità.
La questione inerente alla libertà umana – il dono della libertà e la sfida di utilizzarla con saggezza – ci invita anche a esaminare con cautela l’idea di identità. L’identità, intesa come la domanda sul chi sono io, rischia di chiudere delle porte, di spingerci a ricercare delle certezze su noi stessi, dimenticandoci che la sfida dell’essere umani è proprio quella di non divenire mai certi di se stessi, rimanendo, al contrario, aperti a ciò che il mondo – naturale e sociale – ci sta domandando, istanza che spesso interferisce con chi vorremmo essere. Se questo libro propone idee che possono aiutarci a tenere aperta la questione dell’identità, ci invita a fare lo stesso anche con il concetto di comunità. Troppo spesso, infatti, le comunità sono considerate come gruppi di persone che hanno qualcosa in comune – valori, interessi, idee, competenze, conoscenze – e così è, ma la vera sfida della nostra esistenza è quella di comprendere come vivere con coloro che non hanno nulla in comune con noi. Di fatto, siamo chiamati a vivere con chi è radicalmente altro da noi – e non con dei cloni o con l’incarnazione di un’idea di essere umano. Al contempo, questa è anche la sfida della democrazia, ovvero il tentativo di vivere democraticamente in un mondo plurale e diversificato, altro tema centrale del mio libro.
In questo quadro, sostengo che il lavoro educativo è complesso, perché il nostro obiettivo non è controllare i nostri educandi o far sì che possano inserirsi in un determinato ordine sociale. Noi ci occupiamo della loro libertà, ovvero della possibilità di esistere come soggetti della propria vita e non come oggetti di altre forze. L’attenzione alla libertà dei nostri educandi – e più in generale delle nuove generazioni – non ci permette di attestarci nelle retrovie. Il nostro lavoro è quello di equipaggiarli e di aiutarli a orientarsi nel mondo. L’educazione non è bianca o nera, non ha a che fare con il controllo totale, ha invece il compito delicato di trovare un equilibrio tra vincoli e aperture, tra il guidare e lasciare spazio e così via. Questo è un lavoro rischioso perché non possiamo sapere se stiamo facendo la cosa giusta; tuttavia, come educatori, non possiamo mai rinunciare a questa sfida.
In veste di autore di Oltre l’apprendimento non posso dire se questo libro sia significativo o meno, questo compito spetta ai lettori. Posso solo dire, basandomi sul numero di volte in cui è stato citato, che le questioni che pongo e le riflessioni che presento sono state di interesse per altri, spero facendo da base per lo sviluppo delle proprie. La mia speranza è che Oltre l’apprendimento possa tenere aperto il dialogo su alcune di quelle questioni riguardanti l’educazione che si pongono ancor oggi e sono a mio avviso fondamentali, soprattutto in un contesto culturale che sembra essere più interessato a trovare risposte semplici e sbrigative a domande complesse. Per questo motivo, sono molto onorato dalla traduzione italiana del testo e spero che possa contribuire a far sì che gli educatori continuino a interrogarsi sulle questioni che contano davvero.