Secondo film di questo inizio d’autunno dedicato a una grande pedagogista (dopo Il maestro che promise il mare) esce nelle sale italiane Maria Montessori – La nouvelle femme, scritto e diretto da Léa Todorov.
Attrice e regista di documentari, fino a questo che è il suo primo lungometraggio, Léa Todorov è figlia del filosofo Cvetan Todorov e della scrittrice Nancy Huston (che compare nel film nella parte della munifica madame Betsy che finanzierà le imprese montessoriane) ed è madre di una bambina neuroatipica, di quelle che almeno fino all’inizio del secolo scorso venivano catalogate nella categoria dei “deficienti”. Anche per questo ha probabilmente scelto di dedicare un film a Maria Montessori (in precedenza trattata televisivamente nella discutibile miniserie Maria Montessori – Una vita per i bambini, del 2007, scritta da Gianmario Pagano e Monica Zapelli e diretta da Gianluca Maria Tavarelli, con Paola Cortellesi come protagonista e cinematograficamente con la rappresentazione di una scuola montessoriana, con un’insegnante che assomiglia molto fisicamente alla madre fondatrice, che compare ne Il padre di famiglia, 1967, di Nanni Loy, con Nino Manfredi e Leslie Caron).
La scelta operata da Léa Todorov e dalla co-sceneggiatrice Catherine Paillé è stata quella di prendere in esame la prima parte della vita professionale e di quella privata della psichiatra e pedagogista marchigiana. Nel 1900 Maria Montessori lavora a fianco di Giuseppe Montesano nella ricerca di nuovi metodi scientifici per la cura dei bambini cosiddetti ritardati.
In quest’epoca e in questa situazione la regista ha deciso di inserire un personaggio di fantasia, la cocotte Lili d’Alengy, madre di Tina, bambina con gravi problemi di linguaggio e di apprendimento, che decide di recarsi a Roma per affidarla all’istituto di cui ha sentito tanto ben parlare. L’espediente narrativo è finalizzato alla costruzione di un racconto che ha come temi portanti la maternità, l’indipendenza economica e professionale della donna, la costruzione di una educazione nuova che non avesse l’esclusione e l’allontanamento degli “anormali” come base portante.
Maria (personaggio storico, straordinariamente interpretato da Jasmine Trinca) e Lili (personaggio di fantasia, a cui dà volto e voce Leola Bekthi) sono due madri in difficoltà. La seconda non accetta la disabilità della figlia. La prima ha un figlio, Mario, che ha due anni all’epoca del racconto, avuto da Montesano in una relazione che lei stessa non vuole sancire col matrimonio e a causa della quale il bambino dev’essere in pratica tenuto nascosto dalle convenzioni sociali e dal benpensante senso comune dell’epoca.
Nei primi minuti del film c’è un’inquadratura nella quale Lili e Tina si riflettono in tre specchi davanti ai quali è seduta la cortigiana che si prepara al riposo serale, e si tratta di un evidente segnale visivo della divisione emotiva e fisica tra loro e anche tra loro stesse. Va ricordato che Tina è interpretata dalla brava e intensissima Raffaèlle Sonneville-Caby, bambina neurodivergente così come altri e altre interpreti del film, ed è un grande merito di una realizzazione cinematografica nella quale c’è stato un evidente lavoro di applicazione pedagogica anche sul set.
Sarà attraverso la conoscenza prima della dottoressa (che al primo incontro non viene riconosciuta come tale, così come stentano a fare anche moltissimi dei colleghi maschi) con la bambina, poi delle due donne che a poco a poco imparano a capirsi, che Maria Montessori maturerà non solo l’idea di poter applicare le sue intuizioni definite scientificamente e l’uso dei suoi materiali anche con i bambini “normali”, ma anche che il piccolo figlio ha bisogno di qualcosa di più che la vita in campagna con la balia che lo sta crescendo.
È un film scritto da donne, diretto da una donna, donne sono anche la costumista e la responsabile del montaggio, incentrato sul rapporto tra due madri, nel quale la parte dei maschi è quasi del tutto relegata a quella di adagiati nel proprio storico privilegio patriarcale – sono amanti a pagamento della cortigiana o luminari dell’università attaccati alle proprie certezze che ritengono incrollabili – che non si rendono conto che il mondo attorno a loro sta cambiando con grande velocità e in modo irreversibile. Anche nella breve ma importante sequenza nella quale si immagina l’incontro di Montessori con la teosofia, che ispirerà non poco il suo pensiero e le sue azioni, sono le donne ad avere la parte preminente, mentre ai maschi è riservato solo un ruolo di accompagnamento ritmico.
La potente riflessione sull’importanza fondamentale della maternità – apparentemente contraddetta nella decisione di Montessori di lasciare il figlio al padre che ha deciso di sposarsi con un’altra donna: non lo vedrà per dodici anni, dopo i quali Mario tornerà a vivere con lei, ne assumerà il cognome e non la lascerà più – inizia durante l’ultimo confronto tra Montessori e Montesano con un quadro di maternità mariana ben visibile in secondo piano.
Così come è da notare che spesso le voci di chi detiene il potere – il rettore, il primario, la ricca signora – si sentono mentre non vengono inquadrati i soggetti che stanno parlando: il potere parla senza volto.
E c’è dentro questo film un compito predominante assegnato alla musica: Tina e la madre che cercano con un esito che sarà catastrofico di suonare insieme un pianoforte molto scordato; la stessa Lili che fa scoprire agli ospiti dell’istituto per ritardati la bellezza della musica; una magnifica sequenza centrale nella quale musica, corpi e pedagogia danzano insieme con una espressività artistica e una significanza pedagogica più forti di mille e mille parole.
Molto correttamente ricorrono in un paio di momenti i riferimenti a pionieri della presa in cura di “deficienti” come Jean Itard e Eduard Séguin. Riferimenti che non possono che rimandare a un capolavoro del cinema e del cinema pedagogico come Il ragazzo selvaggio di Francois Truffaut, che interpreta lo stesso Itard.
Ed è nella grande tradizione del cinema francese di ispirazione pedagogica che possiamo a pieno diritto inserire quest’opera prima di Léa Todorov, che fra i molti meriti ha anche quello di riportare Maria Montessori a un’origine di rigore scientifico, metodologico ed etico che talvolta pare perdersi nell’eco del passato remoto, in un’epoca in cui il suo metodo e le sue riflessioni rischiano in continuazione di esser ridotte a marchio commerciale per la conquista di spazi di mercato della didattica molto più interessati al risultato economico che alla fedeltà, pur nel necessario adattamento alle trasformazioni della storia e della tecnologia, ai principi originari.
MARIA MONTESSORI – LA NOUVELLE FEMME
Francia/Italia, 2023;
regìa: Léa Todorov
sceneggiatura: Léa Todorov, Catherine Paillé
fotografia: Sébastien Goepfert
scenografia: Pascale Consigny
costumi: Agnès Noden
montaggio: Esther Lowe
con: Jasmine Trinca (Maria Montessori), Leola Bekthi (Lili d’Alengy), Raffaèlle Sonneville-Caby (Tina d’Alengy), Raffaele Esposito (Giuseppe Montesano).
produzione: Grégoire Debailly
distribuzione: Wanted Cinema
durata: 114’