“La nostra è una scuola vecchia, l’edificio è antico e inadatto all’apprendimento. Nell’attesa ormai ventennale di un nuovo edificio l’Amministrazione comunale lo scorso anno ha allestito una piazzetta scolastica nella zona antistante l’entrata della scuola, interdetta alle auto e con alcune isolette verdi. Come potevamo lasciarci sfuggire questa occasione? Quando ancora gli operai stavano rifinendo il lavoro abbiamo adottato due di queste isole. Una l’abbiamo seminata trasformandola in orto mentre per l’altra abbiamo deciso di non fare nulla, volevamo solo osservare lasciandola sviluppare in autonomia. Così abbiamo chiesto al Quartiere di affidarcele, ci avremmo pensato noi…”. Cronaca di una meravigliosa esperienza didattica, nel senso che provoca meraviglia, sulla natura in città

È piccolo. Probabilmente è il più piccolo. Non crescerà, le sue dimensioni rimarranno quelle di oggi, sempre ammesso che riusciamo a proteggerlo e a farlo sopravvivere. Forse è il più piccolo del mondo, paragonato agli altri della sua specie. Eppure non fatevi ingannare, non confondete la dimensione con l’importanza. La sua vita segue il corso delle stagioni, e noi – la scuola – siamo i suoi protettori, lui vive e noi impariamo. Lui è “Il più piccolo parco del mondo”.
È davvero molto piccolo, all’incirca otto per due metri, anche se non è proprio rettangolare, i lati minori sono delimitati in modo impreciso. Lo potete trovare all’ingresso della nostra scuola, la primaria Federzoni di Bologna. La nostra è una scuola vecchia, l’edificio è antico e inadatto all’apprendimento. Nell’attesa ormai ventennale di un nuovo edificio l’Amministrazione comunale lo scorso anno ha allestito una piazzetta scolastica nella zona antistante l’entrata della scuola, interdetta alle auto e con alcune isolette verdi. Come potevamo lasciarci sfuggire questa occasione? Quando ancora gli operai stavano rifinendo il lavoro abbiamo adottato due di queste isole.


Una l’abbiamo seminata trasformandola in orto mentre per l’altra abbiamo deciso di non fare nulla, volevamo solo osservare lasciandola sviluppare in autonomia. Così abbiamo chiesto al Quartiere di affidarcele, ci avremmo pensato noi. A parte un primo fraintendimento, quando giardinieri zelanti alla vigilia dell’inaugurazione pubblica hanno falciato tutte le creature cresciute nei primi mesi (mentre dalle finestre i bambini urlavano di smettere), in seguito tutto è filato liscio, il parco e l’orto vivono uno accanto all’altro, l’orto ha prodotto patate, piselli e ravanelli, il parco ha prodotto biodiversità e conoscenza. Ma l’orto è un altro discorso; concentriamoci sul parco.
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Come si presidia a livello didattico ed educativo un parco naturale in città? Non abbiamo ancora messo a punto un curricolo molto preciso, ma ci stiamo lavorando.
Per prima cosa abbiamo agito su noi stessi, insegnanti. Chi conosceva le erbe che crescono spontanee? Quasi tutto da imparare, da studiare per poi poterlo insegnare, poter limitare le perdite di tempo quando avremmo cercato, insieme alle bambine e ai bambini, le risposte alle domande che sarebbero emerse. Così piano piano siamo diventati dei discreti conoscitori di piante spontanee, quelle che ai bambini abbiamo presentato come “piante vagabonde”, non certo perché non abbiano voglia di lavorare, ma perché si muovono, viaggiano nei primi tempi della loro esistenza. Da piccole sono dei semi; arrivano volando con il vento o attaccandosi alle suole delle scarpe e al fango delle zampe o anche viaggiando dentro lo stomaco degli uccelli e poi atterrando nel terreno protetti dalle loro cacche nutrienti.
Dopo questa prima fase abbiamo passato il testimone, hanno cominciato a lavorarci le bambine e i bambini. L’entusiasmo di avere un micro ecosistema vivente di fronte a scuola li ha portati a disegnare questi individui, queste viandanti vegetali. Disegnare è un bel modo per conoscere, ci si accorge di come sono fatte le cose, si impara ad osservare i particolari, a distinguere. All’inizio qualcuno si oppone, dice di non essere bravo, di non essere portata, poi iniziano e non li ferma più nessuno. Nei primi disegni tutto è verde o marrone, alla fine i colori non bastano mai, i verdi sono tanti, quello chiaro, quello meno chiaro, quello che è anche un po’ grigio, i marroni somigliano alla terra, al nero, al cane, alla pelle, prestami quello, prova con questo.
Poi abbiamo dovuto affrontare il rapporto con il territorio circostante, parecchio antropizzato. Dovevamo proteggere il nostro parco. I maggiori nemici erano due: prima di tutto i “tagliatori di erbe”, i giardinieri che per vivere falciano le erbe dei giardini della città. Bisognava insegnargli che quello non era un normale giardino, bensì era l’equivalente della foresta Amazzonica nel Brasile, un luogo sacro dove non si taglia nulla. Il secondo pericolo erano i possessori di cani. Infatti in città i cani non hanno il verde di cui avrebbero bisogno, quindi vengono portati in qualsiasi spazio disponibile; ma nonostante la nostra simpatia per questi animali, il nostro parco non poteva diventare il luogo dei loro bisogni, e quindi bisognava avvertire i loro padroni di tenerli a distanza. Così la seconda attività che ci ha impegnato è stata la preparazione di artistici cartelli con perentori messaggi: “non tagliate le piante”, “non fate fare la cacca ai cani nel prato”, “le piante ci fanno vivere, proteggetele”. I cartelli ci sono stati molto utili non solo per difendere il parco, ma anche per iniziare a comunicare il nostro progetto alle persone che vivono nel caseggiato e a conquistare la loro simpatia e complicità (abbiamo fatto amicizia). L’ultimo lavoro da fare era una recinzione, attività molto divertente ma per nulla facile che implica l’apprendimento della capacità di annodare.
Dopo questo ingente lavoro artistico e artigiano di difesa del territorio, la nostra zona protetta aveva già assunto un aspetto invidiabile, ormai era dimenticata la “rasatura cerimoniale” di dicembre e la primavera aveva stimolato la nascita di molti nuovi individui. Non solo, ormai stavano arrivando anche gli animali, invertebrati ovviamente, viste le dimensioni del nostro parco. Coccinelle, farfalle, strane mosche vagamente somiglianti alle api. Non di tutti gli individui attualmente siamo riusciti fare il censimento e ad individuare la specie, ormai la scuola si avviava al termine e il lavoro di osservazione e di protezione riprenderà a settembre, quando speriamo nell’arrivo di qualche lucertola.

Abbiamo pensato molte attività e solo alcune di queste siamo riusciti a realizzarle. Altre ce ne verranno in mente e ce le suggeriranno le bambine e i bambini. La più semplice, basilare, a fondamento di tutte le altre, è l’osservazione: sedersi in silenzio a guardare le piante che crescono, che vivono, che fanno la fotosintesi. Rimanere seduti sperando che arrivi una farfalla, che una mosca voli da un fiore all’altro. Ma non fermiamoci qui. Disegnare una pianta, e poi riconoscerla in un’altra zona del piccolo parco e in altri angoli di verde cittadini. Scegliere una pianta e seguirla nella sua esistenza, settimana dopo settimana, darle un nome e un cognome, osservarla crescere e misurarla, osservarla riprodursi, seccare e morire oppure rinascere. Tenere pulito il parco dalle cartacce portate dal vento o da umanoidi poco rispettosi. Annusare i fiori. Preparare un opuscolo con le specie presenti e gli animali avvistati. Alla fine nelle nostre classi cresceranno delle valide guide consapevoli, pronte ad offrire visite guidate al parco e ad insegnare quanta diversità può vivere in un fazzoletto di terra cittadino.
Se passate da Bologna non dimenticate di dare un’occhiata al parco più piccolo del mondo. È assai vicino alla stazione dei treni, è ad entrata libera (o meglio, è ad osservazione libera, perché la zona è a protezione integrale, quindi non si può entrare nei sedici metri quadrati, si può solo girare attorno). Ricordatevi le regole di tutti i parchi: nessuna interazione troppo stretta con gli essere viventi selvatici, non annaffiate le piante anche se le piogge sono scarse, non date da mangiare alle coccinelle anche se faticano a trovare gli afidi. Lo so, sembra crudele, ma quello che serve per dare una mano alla natura non è il buon cuore verso un singolo essere vivente, ma la trasformazione delle nostre città difendendo e moltiplicando gli spazi in cui la natura possa sopravvivere nonostante noi esseri umani.
Lunga vita al nostro piccolo parco, tu vivi e noi impariamo.
*Gianluca Gabrielli è storico e insegnante di scuola primaria. Il suo ultimo libro è Educati alla guerra. Nazionalizzazione e militarizzazione dell’infanzia nella prima metà del Novecento (Ombre corte, 2016), dal quale è tratta l’omonima mostra. Altri suoi articoli sono leggibili qui.