Nella scuola si è imposta una valutazione basata su una misurazione standardizzata e su un approccio quantitativo, una valutazione del tutto estranea al contesto quotidiano della dinamica di apprendimento. I sistemi che attuano questa idea di valutazione pretendono di misurare ciò che non è misurabile, cioè si propongono di dare un valore quantitativo a una qualità, e inducono a insegnare solo ciò che si ritiene misurabile, una didattica che produce segmentazione e meccanizzazione dell’apprendimento. Tutto questo significa che il valutare deve essere bandito? “No – scrive Francesco Codello in L’illusione meritocratica (elèuthera), di cui pubblichiamo ampi stralci di un capitolo – Ma occorre riprendere significati più autentici, più consoni a relazioni umane ispirate ai valori della cooperazione piuttosto che della competizione…”
Ciò che conta per l’ideologia meritocratica è che tutti abbiano le stesse opportunità di salire la scala del successo. Questa semplice e apparentemente ovvia affermazione evoca, nelle persone che soffrono a causa di una qualche forma di ingiustizia, una speranza, una possibilità di riuscita e di successo. Ma questa dichiarazione non tiene conto e non ha nulla da dire su quanto dovrebbero essere alti i gradini della scala e neppure se sia giusto o corretto dare per scontato che debbano esistere comunque dei gradini.
La fortuna che gode l’idea meritocratica nelle società contemporanee è palese e, con il passare del tempo, diviene sempre più una sorta di parola-chiave attorno al quale si coagula la gran parte delle forze politiche, indipendentemente dalla loro collocazione. L’adesione così forte a questa ideologia interessa in realtà strati sempre più ampi delle popolazioni delle moderne società. […]
Meritocrazia e psiche
L’idea meritocratica così come viene comunemente evocata non ha solo risvolti molto concreti nelle società competitive ma produce e, a sua volta, si auto-alimenta anche di elementi psicologici. […] Gli effetti di tutto questo sono riscontrabili nella psiche dei vari soggetti. E non solo nell’alimentare il super ego dei vincenti ma anche (anzi soprattutto, direi) nel demoralizzare i perdenti. Questo oggi avviene in modo del tutto evidente, rendendo i singoli perdenti sempre più accondiscendenti nei confronti del proprio fallimento. […]
L’idea antropologica che caratterizza l’individuo contemporaneo, perfettamente inserito in questa visione meritocratica, esprime bene la psicologia individuale: vivere il presente, consumare l’attimo, essere prestazionista, gareggiare e competere sempre, produrre, fare, fare, fare… Non c’è spazio per la cura del proprio essere più intimo e interiore, per l’attesa, per uno sguardo lungo e rilassato. L’ideologia meritocratica, da questo punto di vista, ben incrocia le istanze del liberismo economico e si dimostra sempre più come il coronamento di un’idea di società ben definita e selettiva. […]
La valutazione meritocratica
Se «meritocrazia» è la parola chiave, il concetto per eccellenza che ispira quanti si propongono come i veri riformatori di queste nostre società rimanda a un altro termine che ormai risuona in ciascuno di noi: «valutazione». […] La valutazione è l’atto effettivo del valutare e il suo significato (nella molteplicità di derivati e di sensi che le si attribuiscono) è preminentemente legato al concetto di valore o stima, alla determinazione di un prezzo, trasformandosi così in un potente strumento di potere (nel senso di poter «far fare» e non di poter «fare»). […] Come ben sottolinea Angélique Del Rey in La tirannia della valutazione (2018), quest’ultima è lo strumento centrale della flessibilizzazione contemporanea del lavoro, che produce inevitabilmente una precarizzazione psicologica dell’essere umano. […]
Un esempio particolarmente significativo di tutto ciò lo possiamo rilevare nei sistemi scolastici. La logica meritocratica si propone di trasformare i giovani da soggetti a oggetti, e la funzione dei sistemi scolastici è innanzitutto quella di fornire al mercato del lavoro globalizzato e fluido soggetti-oggetti malleabili e utilizzabili (spendibili) in contesti diversi, privi di contenuti problematizzati, ma ricchi di capacità di adattamento psicologico e professionale (imparare a imparare). Abbiamo ormai consumato il passaggio strategico dall’idea di istruzione obbligatoria a quello di formazione obbligatoria, dall’uomo produttore a quello consumatore. Ecco perché in passato l’attenzione era rivolta all’acquisizione delle conoscenze mentre adesso è rivolta all’acquisizione delle competenze. Il sistema scolastico è transitato dall’essere al servizio dell’economia, all’essere al servizio di uno dei settori strategici dell’economia. La sua mission è infatti quella di formare adeguatamente i lavoratori alle esigenze della logica capitalistico-finanziaria, di educare e stimolare il consumatore, di aprire le scuole stesse alle strategie pervasive dei mercati. Il futuro lavoratore (fin da studente) deve essere flessibile, adattabile, competitivo, animato da spirito d’impresa e soprattutto responsabile, ovvero conscio che il suo interesse coincide con quello generale (cioè con quello delle classi dominanti).
La pedagogia delle competenze, così come delineata nelle otto competenze-chiave contenute nelle «Raccomandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa» del 18 dicembre 2006, ha colonizzato l’insieme dei sistemi educativi del globo […]. Tutto ciò si è imposto senza che governi nazionali, sindacati tradizionali e forze politiche abbiano speso una parola di condanna o abbiano allertato i loro iscritti rispetto alle conseguenze che questo fenomeno trasversale e internazionale sta producendo. L’internazionalizzazione dei sistemi valutativi risponde in pieno a un modello educativo che è divenuto irrimediabilmente «formativo» e che ha trasformato la Scuola in una fabbrica di allievi performanti, in una fabbrica di «risorse umane».
Si è così imposta una valutazione che poggia su una filosofia caratterizzata da una misurazione standardizzata e da un approccio quantitativo, una valutazione del tutto estranea al contesto quotidiano della dinamica apprendimento/insegnamento/apprendimento. Le tecnologie e gli strumenti valutativi (definiti dal pisa, Programme for International Student Assessment dell’ocse, e in Italia tradotti da invalsi) stanno trasformando l’intero sistema di istruzione, diventando ormai il presupposto e non la conseguenza delle pratiche quotidiane del fare scuola. Questi sistemi pretendono di misurare ciò che non è misurabile, cioè si propongono di dare un valore quantitativo a una qualità. La competenza è, infatti, quella capacità tutta personale di tradurre concretamente in una situazione specifica le proprie abilità e conoscenze. Pertanto, non può essere misurata quantitativamente ma solo qualitativamente (e non si può quantificare una qualità), poiché dipende da un insieme di fattori che esigono continue verifiche nella pratica. La competenza dunque definisce la capacità di portare a termine una funzione, un insieme di compiti. Tradizionalmente, è vista come il risultato di una padronanza delle conoscenze acquisite, del saper-fare, dei comportamenti adeguati e delle esperienze pratiche. Ma dalla fine del xx secolo, questo buon senso ha lasciato il posto a una nuova interpretazione del termine «competenza», che ora non significa più solo una somma di saperi efficaci, ma rimanda sempre più a una capacità astratta di mobilitare le proprie conoscenze (qualunque esse siano). […]
Ciò che caratterizza l’approccio a queste nuove competenze, predominante a partire dagli anni Novanta, è che gli obiettivi educativi, più che a trasferire contenuti, mirano a conseguire una capacità di azione. Una competenza non è riducibile a specifici saperi, né a specifici saper-fare o comportamenti. Questi sono solo risorse che l’allievo non deve necessariamente possedere, ma che deve essere in grado di mobilitare, in un modo o nell’altro, per la realizzazione di un compito particolare. Tali nuove modalità valutative inducono perciò a insegnare solo ciò che è misurabile o che si ritiene tale. Quindi non solo condizionano le modalità di insegnamento e le didattiche che ne conseguono, ma soprattutto plasmano e rendono validi solo alcuni modi di apprendere. Con un’operazione arbitraria e pericolosa la qualità viene fatta coincidere con la quantità, senza considerare realmente che l’essere vivente non è mai uguale a sé stesso (cambia, si evolve) e soprattutto non è mai uguale a un altro, neanche nel modo, nello stile e nei tempi del suo apprendimento.
Questo fenomeno sta producendo una sorta di insegnamento dell’ignoranza, che depaupera i saperi, abbassa i livelli e svuota di criticità i contenuti. Quello che è ormai divenuto una sorta di supermarket dell’istruzione, l’istituto scolastico, dà spazio a una didattica che produce segmentazione e meccanizzazione dell’apprendimento, attraverso una pratica valutativa standardizzata che si basa sul rispondere a domande (test) e che ha ormai rinunciato a stimolare la proposizione di domande e a mantenere acceso un pensiero critico e divergente. La filosofia dell’utilitarismo meritocratico governa il processo di trasmissione del sapere e plasma le metodologie di insegnamento, producendo nei fatti un «uomo senza qualità».
Non si tratta di bandire le valutazioni
Tutto questo significa forse che il valutare deve essere bandito da ogni forma di relazione e di organizzazione sociale? Ovviamente no! Neanche all’interno delle scuole. Ma occorre riprendere significati più autentici, più consoni a relazioni umane ispirate ai valori della cooperazione piuttosto che della competizione. Ciò che va dunque respinto è quel dispositivo di potere che assume le caratteristiche di un controllo totale funzionale alla diffusione di un «essere senza qualità», funzionale al mercato del lavoro globale. Un dispositivo prodotto da un sistema scolastico fondato sulla cultura dell’utilitarismo e organizzato su tempi «spesi bene» (dove per bene si intende qualcosa di specifico e predefinito).
Ciò che urge modificare è proprio il paradigma di fondo: accettare la complessità, l’incertezza, l’imprevedibilità, la specificità, la singolarità, la contestualizzazione, rimpiazzando la linearità e il riduzionismo sistematico. Ecco dunque che, in ambito valutativo, prevarrà l’osservazione e la registrazione sul giudizio, l’attenzione al processo più che al prodotto. […]