Sono due anni che in buona parte della Spagna, la sequía sta mostrando con particolare veemenza l’impatto dei cambiamenti del clima. María González Reyes, biologa, ha già scritto ben 5 libri per bambini sull’argomento – uno è uscito nel 2020 anche in italiano. Qui però ci regala un piccolo prezioso racconto che intreccia la profondità dei saperi del lavoro con la terra, quelli che insegnano a capire cosa significa davvero prendersi cura di qualcuno o qualcosa, con la relazione tra la scuola e il territorio. Durante una protesta all’uscita della scuola di Madrid dove insegna María, fatta per chiedere ambienti sicuri e utilizzare la strada come spazio per fermarsi e giocare, diverse famiglie avevano pensato che quella fosse una buona occasione per fare anche altro. Così avevano deciso di piantare specie botaniche diverse su un pendio senza vita nella piazza accanto alla scuola, dove ogni pomeriggio giocano tanti ragazzini e ragazzine. Molti avevano portato anche talee da scambiare tra le famiglie. Poi, siccome non piove e senza acqua non cresce nulla, tra scuola e famiglie avevano stabilito turni per irrigare le fragili piantine germogliate. Solo che ogni volta che andavano lì con l’acqua e i secchi, trovavano la terra già bagnata. Non ci hanno messo molto a capire che nel quartiere c’era chi aveva deciso che quell’azione, fatta senza chiedere alcun permesso e che i bambini avevano deciso potesse scavalcare agilmente la recinzione prevista inizialmente dalle mamme e i papà, riguardasse una comunità e quella piccola semina – come accade ogni volta che la resistenza al cemento e all’aridità degli egoismi cittadini mostra la vita che rinasce o si difende – stava facendo germogliare la voglia di imparare ad educarsi insieme. Imparare? Sì, bambini e adulti, perché è mentre rompi le zolle perché la terra respiri che puoi capire perfino perché non piove e, soprattutto, che il ritmo con cui si muove la natura è ben diverso da quello di tutto ciò che si muove bruciando petrolio

Juan, un amico colombiano, mi ha detto molto tempo fa che la soluzione per tutto è seminare. Non si riferiva solo al fatto che quella è la soluzione per frenare un po’ il caldo, procurandosi ombra e umidità, e che quello è il modo migliore per procurarsi il cibo. Pensava anche al fatto che seminare è la soluzione per misurarsi con la fretta e per capire cosa significa prendersi cura di qualcuno o qualcosa.
Quella frase di Juan l’ho capita tempo dopo averla sentita, mentre rompevo con le mani delle zolle di terra. Ci avevano detto che così facendo l’aria poteva circolare e aiutare i semi e le piante che avremmo messo in giardino a crescere meglio.
Mentre rompi le zolle perché la terra respiri, senti la mancanza di fretta, capisci che il ritmo con cui si muove la natura è ben diverso da quello di tutto ciò che si muove bruciando benzina. E che poi c’è il tempo per chiedersi come stanno andando le cose, per pensare a cosa ti frulla per la testa da tanto tempo, per chiederti dove ha più senso per te investire il tuo tempo in questo scenario di caos climatico. Perché non piove. E sai perché non piove. E sai che senza acqua non cresce nulla. E pensi alle parole di Juan.
Nella penultima protesta studentesca che abbiamo organizzato fermando il traffico all’uscita della scuola per chiedere ambienti scolastici sicuri e utilizzare la strada come spazio per fermarsi e giocare, diverse famiglie hanno pensato che quella sarebbe stata una buona occasione per fare altro. Hanno deciso di piantare specie diverse su un pendio privo di vita che c’è nella piazza accanto alla scuola, dove ogni pomeriggio giocano tanti ragazzini e ragazzine. Hanno portato anche le talee da scambiare tra le famiglie e far sì che anche le case si riempiano di piante.

Non hanno chiesto il permesso. Per piantare in un terreno senza vita a loro sembra non ci sia necessità di chiedere l’autorizzazione. A molte persone di età diverse piace piantare. Il pendio si è riempito di verde in poco tempo. È stata una festa. Sebbene varie persone avessero costruito una recinzione per delimitare lo spazio in cui le piante sarebbero dovute crescere, le bambine e i bambini le hanno messe dove meglio credevano.
Siccome non piove, però, e le piante hanno bisogno di acqua, la scuola e le famiglie hanno organizzato dei turni per irrigare. In diverse classi, gli insegnanti hanno sentito ripetere la stessa frase quando uscivano carichi d’acqua: “Questa terra è già bagnata”. Non c’è voluto molto per scoprire che c’erano anche dei vicini e delle vicine che volevano contribuire al fatto che il pendio fosse pieno di piante e così avevano cominciato ad annaffiarle.
L’ho raccontato a Juan. Delle zolle di terra e delle piante nel pendio. Lui dice che al suo Paese sono state le comunità indigene e contadine a insegnar loro l’importanza della semina. Dice che sanno che quando una specie scompare, non si perde solo la diversità genetica, ma anche tutta la conoscenza ad essa associata. Una conoscenza che ha a che fare con come si coltiva, con i modi in cui può essere usata per guarire e con i modi di cucinarla. “Il patrimonio del sapere per comprendere ciò che è necessario perché ci sia la vita rimane attaccato ai territori dove il ritmo è quello della terra”, dice, “quando una specie scompare, viene perso anche il potere di trasmettere l’importanza spirituale associata a quella pianta, l’importanza di conservare e prendersi cura di quei semi”.
Magari quello che dice Juan è vero. La soluzione inizia con la semina.
Fonte: El Salto
Traduzione per Territori Educativi di marco calabria