Quando si cresce, ha detto qualcuno, c’è bisogno di radici e di ali. Nei mesi segnati dalla limitazione di ogni libertà che stanno vivendo i nostri bambini, le ali vanno mantenute sane e libere con ogni cura, ma certo non si possono spiegare. Le radici, quelle che affondano in famiglia, possono invece provare ad allungarsi nel territorio alla ricerca di nuove fonti di nutrimento. Le associazioni di genitori di alcune scuole romane hanno discusso a fondo la crisi e le opportunità di apertura delle scuole al tempo della pandemia in un incontro sorprendente e molto ricco promosso dal Progetto ScApPaRe

Ce ne vorrà di tempo e sarà un processo complesso, difficile, forse perfino estenuante. Prima o poi, tuttavia, le bambine e i bambini che vanno a scuola riusciranno a elaborare l’esperienza vissuta in tanti mesi di immobilità, reclusione, paura, limitazione delle libertà di muoversi, di giocare, litigare, toccarsi, abbracciarsi. Il corpo, per chi va a scuola con lo zaino appesantito dai libri, che si trovi all’asilo o al terzo liceo, è la prima fonte di conoscenza vera, di esperienza vissuta. E quindi di crescita. Non può esistere una comunità di intoccabili. Alla fine di quel processo, poi, molto probabilmente non si tornerà ad alcuna normalità, né a quella vecchia né a una nuova. Per questo, come dice Franco Lorenzoni, bisogna ridare la parola a loro, alle bambine e ai bambini.
E i genitori? Cosa possono fare i genitori? E cosa hanno fatto in questi lunghi mesi, oltre a soffrire con i figli – qualche volta, magari, senza neanche riuscire ad ascoltarli – per far fronte come potevano a una situazione tremenda, del tutto inedita, a cui non avevano certo avuto modo di prepararsi? Una risposta di grande rilevanza e notevole interesse, per molti versi anche sorprendente, è venuta dall’incontro tra le associazioni romane di genitori promosso in rete l’11 marzo dal Progetto ScApPaRe (Scuole aperte e partecipate in rete) in dialogo proprio con il maestro Lorenzoni. Era stato intitolato con una scelta che ne rivela il giusto carattere ambizioso “L’Antivirus Sociale delle scuole aperte”. Le mamme e i papà intervenuti hanno costruito così un racconto sociale di straordinaria ricchezza, e tenacia: un fiume di attività educative diverse, concrete e spesso fantasiose che dà la misura di quanta passione e partecipazione sia stata e venga tutt’ora messa in campo per arginare lo tsunami che ha colpito le scuole, le famiglie e le loro relazioni sociali con i territori.

Dalla mediazione linguistica in cinese, bengalese, arabo e nigeriano alle partite di calcetto online; dai corsi di fumetto a quelli di giornalismo digitale; dalle attività solidali per aiutare concretamente e rompere la solitudine dei bambini e delle famiglie più fragili alla spesa “sospesa” al supermercato per chi non può farla; dai programmi con le Radio Anticorpi e Pisacane alla risistemazione delle case dei custodi per inventare nuovi spazi di incontro e socialità diffusa nei quartieri. Franco Lorenzoni, che partecipa in qualità di formatore al Progetto ScApPaRe, le ha definite “due ore ubriacanti”, nel suo intervento conclusivo. Che era stato preceduto da un’incursione di hackeraggio da parte di giovani nazisti che testimonia in modo significativo quanto venga ritenuto “pericoloso” questo movimento di persone che costruisce dal basso e in condizioni impossibili le premesse e gli spazi, tutti politici, di un cambiamento reale della scuola e dei territori educativi della città.
Non è una novità che ci sia chi trova intollerabile il fatto che dall’esperienza scolastica le ragazze e i ragazzi possano provare a uscire, per dirla con le parole del maestro della sperimentazione della Casa-Laboratorio di Cenci, con un grado maggiore di libertà rispetto alla capacità di orientare la propria vita. E non si tratta certo solo dei miserabili nazistelli bricconi che hanno provato a sabotare l’incontro di Scappare. Ci sono ben altri muri che vengono frapposti a quella libertà, e alla ricostruzione dei legami sociali nei territori, dai nemici della scuola per tutti, dai sostenitori di un’educazione asservita ai superiori interessi dell’economia del Paese o, ancora, dai seguaci – più o meno consapevoli – dei miti securitari in fatto di salute o protezione dell’infanzia dai “cattivi maestri” di una scuola aperta e antigerarchica dove si perde un sacco di tempo e non si impara quel che serve a trovare un lavoro.
Per chi avrà voglia e tempo per guardare e ascoltare interamente la registrazione della “diretta” che trovate qui sotto, non mancherà, infine, e soprattutto nell’intervento che ha concluso l’incontro, l’invito a porsi alcune delle grandi domande che investono oggi la scuola, i genitori e la città che deve aprire con ben altra determinazione e fantasia i suoi spazi all’educazione. Se, come afferma Lorenzoni, immaginare di poter obbligare una scuola ad aprirsi è un ossimoro, come costruire le condizioni per aprire in modo costante e non episodico varchi, finestre di dialogo vero con la società? E come può aprirsi, invece, in un circuito virtuoso di reciprocità, una città che sappia mettere finalmente al centro il tema educazione? Se le “comunità educanti” sono fiori di serra (che vanno molto curati) e non di campo, come dice, con una potente metafora, un amico napoletano del maestro, come si potranno aprire ampi spazi di co-progettazione non subalterna alla routine istituzionale? Se l’autonomia è il nodo fondamentale di qualunque crescita, come costruirla – e poi come difenderla – senza trasformarla in isolamento e auto-referenzialità? E, ancora, come far sì che, al di là dei limiti imposti dal virus, la capacità di interazione tra soggetti diversi e paritari resti nella scuola sussidiarietà e non surroga ai deficit strutturali della scuola pubblica?
Si tratta solo di alcuni dei grandi temi che il dilagare del virus, le sue perniciose ridondanze mediatiche, e la sistematica reiterazione di logiche emergenziali pongono oggi in maniera più drammatica che mai alle piccole e grandi questioni educative. Probabilmente solo una lettura attenta delle esperienze della vita di ogni giorno, in aula e non, potranno aiutarci a cercare risposte radicate finalmente nella realtà che continua a esistere al di fuori dagli schermi digitali. I prossimi incontri, con focus diversificati, annunciati dal Progetto Scappare potrebbero aiutare chi vive queste esperienze a Roma almeno ad ampliare il ventaglio delle domande essenziali a cui – oggi men che mai – non possiamo sottrarci. A cominciare, naturalmente, da quelle che porranno proprio i bambini, una volta che sarà restituita loro la possibilità di trovare e riprendersi le parole più importanti.
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