Più che di un classico insegnamento in senso tradizionale, qui si preoccupano che ragazzi e ragazze sviluppino le loro potenzialità e che con esse restituiscano qualcosa al territorio e alla comunità, racconta Raúl Zibechi. Il territorio di cui parla il suo reportage è il Complexo o Morro do Alemao, settantamila abitanti suddivisi in 16 favelas, l’ultimo enorme quartiere di Rio de Janeiro secondo l’indice della sviluppo umano. Lì resiste alla militarizzazione del territorio, intensificata dalle deliranti devastazioni operate dal governo del presidente più screditato del pianeta, la gente della piccola scuoletta intitolata a Dandara, eroina del Quilombo de Palmares, la più importante comunità autonoma creata dagli schiavi fuggiti dalle piantagioni nel XVII secolo. Se l’educazione è il passaporto per il futuro, il presente deve saper inventare spazi comunitari anche laddove sembra assurdo perfino immaginarli
“Ho scoperto il colonialismo in questa scuola”, sorride mentre parla, Paloma, poco più che ventenne, spiegando che la sua partecipazione ai workshop presso la Escola Quilombista Dandara de Palmares è stata una svolta nella sua vita. Qualche tempo dopo, si è unita come insegnante volontaria nei corsi di alfabetizzazione per ragazzi e ragazze di età compresa tra gli 8 e i 10 anni che non hanno imparato nemmeno a leggere nella scuola statale.
La piccola Escola è stata creata circa quattro anni fa, da giovani che avevano partecipato a Ocupa Alemão, un movimento nato – dopo una lunga occupazione – nel 2012 per resistere alla militarizzazione della favela che, con la scusa del narcotraffico, ha tentato intimidire una popolazione ribelle.
La Dandara da cui la scuoletta prende il nome era una guerriera nera, moglie di Zumbí, capo del Quilombo de Palmares, una comunità autonoma creata, da schiavi fuggiti dalle piantagioni nel XVII secolo, nel nord-est dell’attuale Brasile e all’epoca colonia portoghese. Dandara fu fatta prigioniera e si gettò nell’abisso da una cava per non tornare più a vivere da schiava, mentre il quilombo, che resistette quasi un secolo, fu sconfitto soltanto dopo 18 spedizioni coloniali.
Recuperare la storia per continuare a resistere
Il Complexo do Alemão, situato nella zona nord del municipio di Rio de Janeiro, ospita più di 70mila persone in 16 favelas. È il quartiere più povero della città. In una delle strade più ampie della zona, si trovano i locali di quella che chiamano “scuola comunitaria” e che accoglie ragazzi e ragazze dai 5 ai 12 anni, offrendo diverse attività di sostegno affettivo, sociale e pedagogico.
A riceverci sono Paloma, Zilda, una vicina di casa che vive da molti anni nel quartiere, e Leo, che ho conosciuto in precedenti viaggi a Rio. Nel raccontare la breve storia della scuoletta, insistono sul fatto che si tratta di “un’organizzazione autonoma gestita dagli abitanti delle favelas che non riceve alcun aiuto, né governativo né privato”.
Più che di un classico insegnamento in senso tradizionale, qui si preoccupano che ragazzi e ragazze sviluppino le loro potenzialità e che con esse restituiscano qualcosa al territorio e alla comunità. Leo racconta che prima della pandemia la scuola lavorava in altri spazi, ma ora lo fa nella parte anteriore della casa dove lui vive con la compagna Deisi, anche lei insegnante alla escola quilombista.
Hanno una sala e due stanze dove insegnano in laboratori di musica e arte, oltre a un bagno e una cucina. E poi c’è un’enorme terrazza sul tetto, dove si svolgono le attività all’aperto. Adesso a frequentare sono una quindicina di bambini, ma prima della pandemia arrivavano a essere 45. Sono tanti e diversi i laboratori che si svolgono nei giorni alla settimana: capoeira, musica, danza, arti, yoga, trecce, sostegno scolastico, audiovisivo, teatro e matematica. Nessuno qui riceve uno stipendio, tutta l’attività è volontaria e la scuola è mantenuta con il sostegno e le raccolte di fondi delle mamme e dei papà di coloro che la frequentano.
La scuola ha avuto molta visibilità durante la pandemia, perché nella favela c’era fame e si sono dedicati a distribuire cesti alle famiglie, sempre all’insegna della solidarietà all’interno del quartiere. «Non facciamo beneficenza ma sostegno alla comunità», disse all’epoca Leonardo al quotidiano Voz das Comunidades, del Movimento delle Comunità Popolari.
Stanno provando a cercare modalità di lavoro adeguate alla cultura nera e recuperano i versi del poeta Nelson Maca: “Affronta i tuoi problemi e balla. Affronta le tue ansie e balla”. Mettendo in movimento il corpo, fanno la loro apparizione le oppressioni e la potenzialità liberatoria, dicono nella scuola.
Paloma, ad esempio, non fa alfabetizzazione basata sul metodo educativo popolare di Paulo Freire, ma con dinamiche di gioco e interazione tra ragazzini e ragazzine, che spesso la portano a improvvisare, sperimentare, a cercare nuovi modi di fare le cose. Non esiste una pedagogia prestabilita, ma ci si orienta sul recupero dell’autostima di un popolo soggiogato, che ha bisogno di recuperarla per continuare ad esistere.
Creazioni collettive
A un certo punto della nostra chiacchierata, le parole girano intorno a un argomento delicato: i neri che si stirano i capelli, per essere simili al modello bianco. Zilda interviene: “Sono stata la prima donna nella favela a farmi le trecce, ora ce ne sono tante che le hanno”. Anche Leo e Paloma si facevano i capelli lisci, ma ora sfoggiano i loro capelli naturali. Leo ricorda che una volta, a causa degli acidi utilizzati, si bruciò parte della pelle e persino un orecchio.
Quando capita di precisare le date in cui sono passati dalla stiratura ai capelli ricci o alle trecce, le cose prendono una piega diversa. Intorno al 2012 e al 2013 è successo qualcosa che ha cambiato il rapporto della popolazione nera con se stessa. Nel 2012 fu la reazione organizzata all’occupazione militare delle favelas (si preparava il campionato del mondo di calcio del 2014, ndr) e nel giugno 2013 le grandi mobilitazioni per chiedere uguaglianza sotto il governo del Partito dei Lavoratori, guidato da Dilma Rousseff.
I riferimenti più politici dei nostri amici si fanno chiari quando ci avviciniamo al tavolo dove espongono libri la cui vendita rappresenta una delle entrate della scuola comunitaria: sono molto visibili bell hooks, Audre Lorde e Malcolm X, ma anche i brasiliani, da Hamilton Borges del movimento Reaja (Reagisci) a Lima Barreto e all’attivista Beatriz Nascimento.
La scuola è stata una creazione della comunità che stava appena muovendo i primi passi durante la mia precedente visita ad Alemão, alla fine del 2018. A quel tempo, il discorso ruotava attorno alla funivia costruita nel 2011, sfollando decine di famiglie, nell’ambito dei mega-progetti fatti per ospitare i Giochi Olimpici del 2016.
La funivia ha chiuso poco dopo che gli ultimi atleti hanno lasciato il Villaggio Olimpico e ora restano solo le strutture fatiscenti e la rabbia di una popolazione impoverita ed emarginata, che guarda come si sprecano risorse statali a beneficio delle grandi imprese edili che, al tempo, hanno sostenuto Lula e Dilma con generose risorse per le loro campagne elettorali.
Creazioni collettive come la Escuela Quilombista Dandara de Palmares si sono moltiplicate nelle favelas, in particolare nell’ultimo decennio, quando la potenza che le comunità custodiscono ha iniziato a farsi visibile. All’osservatore esterno queste realizzazioni potrebbero sembrare di scarsa rilevanza, ma bisogna sempre ricordare che la favela è lo spazio della violenza di Stato, del traffico di armi, della repressione pura e dura, dove l’azione collettiva deve affrontare sempre enormi difficoltà. L’omicidio di Marielle Franco, nel marzo 2018, da parte delle milizie, ne è solo un esempio.
La scuola Dandara de Palmares non è un episodio isolato, fa parte dell’attuale movimento delle favelas. Forse proprio una frase di Malcolm X potrebbe aiutare a fare la miglior sintesi delle intenzioni delle decine di persone che partecipano alla scuola: “L’educazione è un mezzo per aiutare i nostri figli e tutte le altre persone a riscoprire la propria identità e, quindi, ad accrescere il proprio rispetto per sè. È l’educazione il nostro passaporto per il futuro”.
(continua)
Questa è la prima puntata di un lungo reportage sulla resistenza delle periferie estreme della città carioca nel Brasile di Bolsonaro che ci ha inviato Raul Zibechi. Le due parti successive saranno publicate nei prossimi giorni su Comune-info
Traduzione per Territori Educativi di marco calabria
* Tutte le foto in pagina, tranne quella tratta da wikipedia, e molte altre ancora si trovano sulla pagina facebook della scuola: https://www.facebook.com/Escola-Quilombista-Dandara-de-Palmares-1956425914624411/