Il movimento a scuola resta uno strumento fondamentale contro disuguaglianze, povertà educativa e difficoltà di concentrazione

Siamo in cerchio e i bambini si divertono ad accucciarsi, alzarsi o stare a mezz’aria quando dico «Sacco vuoto», «Pieno» o «Mezzo» (poi passerò alle istruzioni in inglese). Le cose si complicano quando la regola diventa fare ciò che dice l’insegnante ignorando il suo movimento, opposto alle parole; o viceversa. Gli errori sono clamorosi (a partire dal maestro): ed è così che questa attività fa ridere tutti diventando un mattoncino per il benessere del gruppo. Al contempo si sollecitano le funzioni cognitive grazie all’attenzione di ascoltare, osservare e muoversi dovendo decidere da quale canale percettivo farsi guidare. In pochi minuti si ha un concentrato di ciò che serve allo sviluppo del bambino: relazione, gesto e “cervello”.
Quest’attività è solo un piccolo esempio di ciò che ho appreso in una formazione per insegnanti della rete Scuole che promuovono salute in Lombardia. Il corso, in particolare, ha riguardato le pause attive: una fase di movimento nelle ore di lezione, dai cinque ai venti minuti (per chi volesse approfondire, si consiglia un articolo del Centro piemontese di Documentazione per la promozione della salute, mentre esempi pratici sono visibili sul sitoScuola in movimento e su quello del metodoJoy of moving).
Come spiegato dai professori Veronica Velasco (università Milano-Bicocca) e Matteo Vandoni (università di Pavia), la ricerca scientifica ha dimostrato che se eseguite in modo regolare durante l’attività scolastica, le pause attive migliorano la concentrazione, riducono lo stress, aumentano la motivazione, sviluppano le competenze sociali: si genera così un beneficio per l’apprendimento. Non a caso le scuole più innovative in Europa svolgono 45 minuti di attività didattica e 15 di pausa attiva.
Insomma, tale metodologia, se adottata su larga scala, aiuterebbe l’Italia ad affrontare dati drammatici come quelli recenti dell’Istat, secondo cui la metà degli studenti di quinta superiore ha competenze alfabetiche e numeriche insufficienti (vedi pagina 17 del «Testo integrale e nota metodologica»).
Il movimento a scuola è inoltre un modo per combattere le disuguaglianze, sia perché spesso bambini e ragazzi di condizione socio-economica svantaggiata non possono svolgere attività sportiva extra-scolastica, sia perché il movimento crea una comunità più inclusiva, sollecitando le capacità cognitive di tutti, la collaborazione e il senso di appartenenza. I professori hanno sottolineato che la didattica integrata al movimento deve essere un approccio adottato a livello di istituto, non soltanto da singoli insegnanti.
L’Organizzazione mondiale della sanità, e diversi Paesi tra cui l’Italia, considerano le pause attive «come una delle azioni più utili da implementare nelle scuole per raggiungere sia obiettivi educativi che di salute» (da Pronti? Facciamo una pausa, R. Mulato, S. Riegger, ed. La Meridiana, p.66 espansione online).
A spiegare in modo netto perché la scuola dovrebbe inserire il movimento come attività di base quotidiana è Carlo Rossi (conduttore della parte pratica del corso che ho seguito), per 45 anni professore di educazione fisica alle superiori e responsabile di laboratori per bambini. Ora insegna Didattica del movimento umano all’università degli studi di Milano. «I bambini di oggi – dice Rossi – hanno generalmente una vita sedentaria come mai accaduto prima, e sono i meno autonomi che io abbia mai conosciuto. Rischiamo qualcosa di terribile: questi bambini avranno una vita più lunga della nostra, ma la qualità del loro invecchiamento sarà peggiore. Questa è una tragedia per lo sviluppo di una società. Se non si interviene a partire dalla scuola, i bambini di oggi saranno adulti con molti problemi dal punto di vista motorio».
«L’Organizzazione mondiale della sanità – prosegue Rossi – raccomanda per i bambini un’ora di attività motoria quotidiana, da moderata a intensa: non bastano certo le due ore di palestra a settimana. Occorre dunque che gli istituti adottino una didattica del movimento per tutta la scuola: non servono esperti esterni né grandi competenze, ma insegnanti di classe che inseriscano giochi motori nelle attività quotidiane. La ricerca ha dimostrato che se si coniugano didattica e movimento, si aumenta il benessere del gruppo e gli apprendimenti si consolidano maggiormente. E poi le pause attive, e in generale la didattica del gioco, permettono ai bambini di divertirsi insieme ai propri compagni, e quindi di andare a scuola contenti».
La pratica scolastica italiana, in generale, sembra però molto lontana dalle evidenze scientifiche riscontrate dalla teoria dell’embodied cognition (la “cognizione incarnata”, secondo cui l’apprendimento e la percezione del mondo sono il risultato di un continuo scambio tra mente e corpo). «L’embodied cognition – spiega Rossi – si è strutturato negli ultimi vent’anni, ma vi sono grandi antesignani, come Maria Montessori con la sua scuola del fare, o Jean Piaget che ha studiato il legame tra sviluppo cognitivo e motorio. Basta pensare alla nostra vita per accorgersi che tutto passa attraverso il corpo: da bambini si diventa intelligenti con il movimento. I bambini piccoli, appena riescono, afferrano un oggetto e lo portano alla bocca per cercare di capire che cos’è, e poi crescendo esplorano tutto l’ambiente alla loro portata. Non c’è un altro modo per diventare intelligenti: bisogna muoversi».
Se un tempo gli studiosi si affidavano alla propria intuizione, la tecnologia ha poi reso possibile scrutare ciò che accade nel cervello. «Non sembra un caso – conclude Rossi – che a livello cerebrale le aree motorie siano vicinissime all’area di Broca, quella del linguaggio. Il legame tra intelligenza e movimento è stato verificato dagli studi sui neuroni specchio: i neuroni motori si attivano non soltanto quando si compie davvero un’azione, ma anche quando la si pensa soltanto».
Daniele Ferro, educatore e giornalista, ha scoperto la bellezza dell’educazione da adolescente nello scautismo. Ha studiato e lavorato in diversi paesi europei, in India e in Argentina. Maestro elementare di sostegno, studia Scienze della formazione primaria. Ha un blog: danieleferro.it. Ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura