Qualche giorno fa Guido Viale ha scritto a proposito del bisogno di pensare all’educazione ambientale come didattica esperienziale, educazione diffusa nel territorio, impegno diretto di studenti e insegnanti, scuola come polo civico di comunità autoeducanti in grado di coinvolgere adulti e ragazzi. In questo articolo Franco Lorenzoni, dopo quanto accaduto nella Marche e a Ischia, si chiede come la cura e la manutenzione dei territori possono divenire terreno di ricerca e di sperimentazione nelle scuole. Si tratta, ad esempio, di promuovere ricerche che comportano “l’attraversamento di diverse discipline, e numerosi sconfinamenti”, a cominciare dalla geografia che potrebbe costituire “un prezioso luogo di collegamento tra studio del clima e geologia, statistica, demografia, urbanistica, architettura e studio degli alberi, delle acque, dei paesaggi…”

Nel 2018 un gruppo di studenti di licei e istituti tecnici di Vimercate – per il progetto “Le pietre che narrano. La conoscenza itinerante” – accompagnati da 4 docenti (geologo, architetto, storico, ginnasta) ha viaggiato a piedi da Vimercate a Milano accompagnati dal CAI: durante il viaggio, insieme ad altre associazioni, sono state proposte lezioni sui rischi idrogeologici del territorio (fiume Lambro), esercitazioni di protezione civile, osservazioni astronomiche, misurazioni sismiche della pericolosità dei territori, esercitazioni con elettropompe, studi dei paesaggi storici, rievocazione del primo volo italiano in Mongolfiera a Brugherio
Dopo la frana sulla Marmolada (il 3 luglio 2022 un enorme seracco si è staccato dalle Dolomiti al confine tra il Trentino e il Veneto, uccidendo undici persone, ndr) e gli alluvioni nelle Marche (leggi Il nostro temporale) e a Ischia (leggi anche Alberi, cemento e condono) sembra che persino la destra, che ironizzava fino a ieri sui “gretini”, si sia resa conto che c’è bisogno di un grande impegno per fronteggiare mutamenti climatici dalle conseguenze devastanti.
E allora, invece di perderci dietro alle farneticazioni sul merito e le umiliazioni come occasione di crescita del neonato ministro, o dietro all’assurda riproposizione di un’opera faraonica come la costruzione del ponte più lungo del mondo in zona sismica, a Messina, perché non cominciamo a ragionare su cosa a scuola possiamo fare e imparare, a tutte le età, da un rapporto di studio e di relazione intensa con le fragilità dei nostri territori?
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La manutenzione, il rammendo e le previsioni, insieme agli obbligatori interventi puntuali necessitano di nuove sensibilità, nuove competenze e nuovi mestieri. Tutti da inventare, a partire da ciò che di buono si sta facendo, purtroppo raramente. Sono ricerche e studi che comportano l’attraversamento di diverse discipline, e numerosi sconfinamenti, magari a partire da un ripensamento radicale della geografia, spesso odiata perché insensata, mentre potrebbe costituire un prezioso luogo di collegamento tra studio del clima e geologia, statistica, demografia, urbanistica, architettura e studio degli alberi, delle acque, dei paesaggi.

Vasti orizzonti da esplorare pensando che la cura del pianeta, dalla piccola porzione che abitiamo al vasto mondo pieno di contraddizioni, riguarda tutte e tutti noi e le generazioni che verranno a cui stiamo sottraendo il futuro.
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