Dobbiamo smettere di pensare la conoscenza come un insieme di saperi o una riserva di erudizione da esibire. La conoscenza è prima di tutto la capacità di imparare ad apprendere e di utilizzare i saperi per cambiare il mondo. Per crescere, quella capacità ha bisogno di tempo, di esperienze, di tanti spazi differenti, ben oltre le mura scolastiche: per questo occorre percorrere la strada delle città che apprendono, qualcosa che riguarda anche gli adulti, e qualificare tanto l’apprendimento formale quanto gli apprendimenti non formali e informali. “Chi insegna ai giovani di oggi come considerare il mondo nuovo che ci travolge?”, si chiede Giovanni Fioravanti nel capitolo “Conoscenza, Competenze, Complessità” (di cui pubblichiamo ampi stralci) tratto da La cultura della scuola. Facciamo un patto (Armando ed.)


Da tempo conoscenza, competenze, patrimonio di saperi non solo hanno cambiato volto, hanno pure mutato percorso, abbandonando i sentieri tradizionali per intraprendere strade nuove. Anziché bagaglio nozionistico, riserva di erudizione da esibire, si sono trasformati in risorsa preziosa per le donne e gli uomini dell’epoca che viviamo. […]
Nel momento in cui ci sarebbero stati necessari più spazi, all’epoca della pandemia, questi ci sono mancati, perché non ne erano mai stati approntati altri, a partire da musei, biblioteche, archivi e gallerie, teatri, dimore antiche e ancora se ne potrebbero aggiungere, luoghi spesso ostinatamente più di conservazione che di azione. Non sono mai stati attrezzati come avrebbero dovuto con spazi interattivi, modulari, con ambienti per fare didattica, con la rigidità prussiana che un museo e una biblioteca non sono una scuola. Idea davvero stravagante visto che ciò che ospitano e conservano ha fatto scuola nei secoli e ancora fa scuola.
L’esperienza dei laboratori didattici ancora non si è tradotta in consuetudine, in modo che sia più che naturale l’intercambiabilità tra spazi scolastici e spazi delle istituzioni culturali. […]
Se c’è qualcosa da tempo in crisi è proprio la conoscenza come coscienza e consapevolezza, come capacità di imparare ad apprendere. […] Ci aveva avvertiti Bauman nelle sue 44 lettere dal mondo liquido, la cosa più ardua sarebbe stata preparare gli esseri umani ad apprendere l’arte di vivere in un mondo più che saturo di informazioni. Informazioni, non saperi e neppure conoscenze.
Perché il rapporto tra informazioni, saperi e conoscenze è ben più complesso. Edgar Morin, in Scienza con coscienza, ci ricorda che Eliot si chiedeva: “Qual è la conoscenza che perdiamo nell’informazione e qual è la la saggezza che perdiamo nella conoscenza?”1. […]
La conoscenza intesa come coscienza, come consapevolezza, come capacità di apprendere è un diritto, un diritto di cittadinanza, perché non sei cittadino se non sai da che parte guardare.
Ma noi il salto dal diritto all’istruzione al diritto alla conoscenza non l’abbiamo ancora compiuto. Il diritto all’istruzione, grande conquista del secolo scorso per combattere analfabetismo e svantaggi sociali, da tempo si è tradotto in diritto alla conoscenza, continua e permanente, a imparare ad apprendere sempre. La conoscenza e la sua mobilitazione come diritto da conquistare nel XXI° secolo, l’espandersi dell’analfabetismo funzionale, il dilagare delle incolture social ne fanno oggi una lotta fondamentale. […]

L’informazione ha bisogno di cultura senza la quale diviene manipolazione. È la questione dell’istruzione permanente, della mobilitazione delle conoscenze, della diffusione dei saperi, della transdisciplinarità d’ogni apprendimento, di un approccio scientifico e intellettuale che miri alla piena comprensione della complessità del mondo presente.
Ora paghiamo l’avere sottovalutato per ignoranza e arroganza in tutti questi anni il tema dell’apprendimento permanente lanciato già nel 1972 dal Rapporto Faure della Commissione UNESCO sull’educazione dal titolo significativo “Learning to be”. E proprio con la crisi climatica, l’aggressione all’ambiente, le pandemie abbiamo toccato con mano che per essere, per esistere è necessario l’apprendimento, non l’apprendimento in generale, l’apprendimento scolastico, ma l’apprendimento continuo e che il destino dell’umanità è strettamente legato alla conquista dell’istruzione permanente. L’Unesco non ha mancato di ricordarcelo fino al rapporto Delors del 1995. […]
C’erano strade da percorrere, la strada delle città che apprendono, le città della conoscenza attribuendo valore ai cittadini, alla cura dei loro saperi, delle loro intelligenze, alla loro creatività, più che ai mercati della cultura e dei grandi eventi. L’Unesco fornisce una guida e una rete di sostegno alle learning city, alle città che vogliono fare dell’apprendimento permanente un asse portante del loro sviluppo, della loro crescita, del loro modo d’essere.2 Come non mancano nel mondo in tutti i continenti città che hanno fondato la loro rinascita sull’economia della conoscenza.3[…]. Allora la cura delle nostre città, perché siano urbane in tutti i sensi, portatrici di un nuovo urbanesimo è una delle questioni centrali di questo secolo che ancora si trascina la zavorra del secolo passato. Non vogliamo la repubblica di Platone, ma la città è l’habitat che ci contiene, l’ambiente che ci deve essere congeniale, non possiamo consegnarla all’ignoranza, alla rete delle incolture, la città deve apprendere con noi, dobbiamo affidarla a mani sicure che dell’apprendere insieme facciano il cuore vitale e creativo del suo abitare. […]
Diciamoci la verità, a non sapere si sta molto meglio, perché la resistenza all’apprendimento è il prodotto del bombardamento di informazioni e notizie a cui ogni giorno siamo esposti. A un certo punto si raggiunge la saturazione, allora ci si difende diventando refrattari, almeno impermeabili. Meno si sa, meno ansie si hanno sul clima, sull’ambiente, sulla sicurezza personale, sulla salute, su come eravamo, e su come potremmo diventare. Come si fa ad essere continuamente sollecitati da tutti questi messaggi, è difficile da reggere, è troppo complicato mantenere un sano equilibrio.
Però anche non sapere è rischioso, perché potremmo essere presi di sorpresa. Se l’avessimo saputo prima avremmo potuto provvedere in qualche modo. Si è ignoranti anche nei pesci da pigliare. […]

Siamo il paese con il minor numero di laureati e il più ignorante in Europa. Qualcuno dovrebbe farsi sfiorare dal dubbio che la questione centrale, l’emergenza del paese è l’apprendimento, che probabilmente bisognerebbe fare qualcosa come ai tempi in cui la televisione affrontò il problema della alfabetizzazione con il “Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi. Le cose oggi sono assai differenti, i bisogni di sapere sono diversi, altro è l’analfabetismo, che ora viene denunciato come funzionale, cioè non essere in grado di usare i propri saperi, anche da parte di chi ha conseguito una laurea. Allora la questione dell’apprendimento è “la questione”. Come avviene, come è organizzato, metodi, tempi e contenuti.
Se c’è un’età per lo studio e una in cui non si studia, o apprendere sempre, perché apprendere è una necessità come nutrirsi, che ha inizio con la nascita e termina con la morte.
Sono usciti libri importanti in materia che dovrebbero aiutare la politica ad affrontare la questione, l’emergenza apprendimento. Penso a Apprendimento non stop di Rossella Cappetta, docente della Bocconi, a Ignorantocrazia di Gianni Canova, rettore della Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. […]
Le questioni che il nostro paese dovrebbe affrontare non sono solo, dunque, lo stato delle nostre scuole e delle nostre università, ma lo stato delle competenze dei suoi cittadini, come mettere mano a una politica di apprendimento permanente capace di qualificare l’apprendimento formale e di investire nello stesso tempo sul riconoscimento degli apprendimenti non formali e informali, in modo che nulla nella formazione delle persone vada sprecato, così come non si butta nulla del cibo del corpo, nulla va sprecato del cibo della mente. […]
Secondo i dati di “Education at a Glance” 2020, l’Italia investe il 3,9% del PIL in istruzione primaria, secondaria e terziaria contro la media del 4,9 dei paesi Ocse e 4,5 dell’UE. Il Regno Unito investe il 6,3, gli Stati Uniti il 6,1, la Francia il 5,2. Da noi le famiglie spendono 4,8 volte in più in alcool e fumo rispetto a quanto spendono in istruzione e questo rapporto sale al 5,3 al Centro e al 6,6 nel Mezzogiorno4. L’inadeguato livello di investimenti pubblici e privati fa sì che l’Italia faccia registrare il numero di laureati più basso in Europa dopo la Romania, un primato non invidiabile. […]
In un bel libro come Terra-Patria Edgar Morin ha scritto:
Alle soglie del terzo millennio, la nostra è una condizione “di agonia”, sospesi come siamo tra possibilità di rinascita e vigilia di distruzione.
Chi insegna ai giovani di oggi come considerare il mondo nuovo che ci travolge? Su quali concetti essenziali devono fondare la comprensione del futuro? Su quali basi teoriche possono appoggiarsi per vincere le sfide che si accumulano? Queste sono le domande a cui la scuola dovrebbe rispondere per essere utile ai giovani di oggi, perché siano aiutati ad affrontare meglio il loro destino e a meglio comprendere il nostro pianeta. Sono le domande che anni fa l’Unesco ha rivolto ad Edgard Morin il quale ha risposto nel 1999 con I sette saperi necessari all’educazione del futuro. […]
Note
1 E. Morin, Scienza con coscienza, p. 61, Franco Angeli, Milano, 1984
2 https://www.unesco.it/it/ItaliaNellUnesco/Detail/192
3 F. J. Carrillo, Knowledge cities, Routledge, 2005
4 Si veda: ISTAT 2020; Osservatorio Talents Venture, 2018