Brindisi è una città in profonda transizione, dopo la stagione del petrolchimico e della grande centrale a carbone. «In questo momento è una città del “non-più” e del “non-ancora” – spiega Roberto Covolo, sociologo – Non è più la città delle grandi industrie e, come conferma tanta letteratura, ha cominciato a ragionare sui costi ambientali, sanitari, paesaggisti di quella stagione. Ma è anche una città che non ha ancora individuato, nella nuova geografia della regione e del paese, un suo ruolo…». Di certo, uno degli ambiti nei quali emergono esperienze importanti è quello del nuovo welfare: i percorsi della cooperativa “Legami di comunità” e quello delle scuole aperte si inseriscono in questo scenario. La sfida resta permettere che i cittadini si autorganizzino sempre di più a livello territoriale per obiettivi collettivi
Questo articolo fa parte dell’inchiesta Brindisi alla scuola aperta
L’imboccatura del porto di Brindisi (Ph Brindisi Bene Comune)
Roberto Covolo, sociologo, si occupa di politiche pubbliche e di territorio. Lo fa da diversi anni cercando, insieme a tanti e tante, di favorire una nuova cultura politica a proposito di sviluppo locale. Tra il 2007 e il 2012, ad esempio, ha lavorato per Bollenti Spiriti, il programma della Regione Puglia dedicato alle politiche giovanili. Già assessore tecnico a Brindisi, negli ultimi ha fondato e fatto crescere il laboratorio di innovazione urbana Ex Fadda e l’azienda di agricoltura ecologica e sociale Ex Farm, nata su cinquanta ettari di terre confiscate alla criminalità organizzata, a San Vito nei Normanni. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Ci sono state diverse stagioni, per essere molto schematici, a Brindisi: quella industriale, quella delle migrazioni dall’Albania e quella del contrabbando. Oggi cosa segna questo pezzo del Salento?
Brindisi è una città in profonda transizione: siamo nella coda lunga della stagione del petrolchimico ma anche della centrale a carbone, una delle più grandi d’Europa, oggi in progressiva dismissione. Gran parte dell’economia della città e del territorio intorno era orientata a servizi di fornitura e subappalto per queste grandi imprese. Quando quell’economia ha cominciato a venir meno sono scomparsi centinaia di posti di lavoro: per questo oggi è un territorio con un tasso di povertà e con un livello di disoccupazione molto alti. È una città in cerca di nuove vocazioni, che da un lato tentano di inserirsi dentro la riscrittura del paradigma economico dell’intera regione, tra economia del turismo ed economia della conoscenza, dall’altro fa i conti con la trasformazione demografica, la città infatti perde abitanti in maniera verticale. Brindisi in questo momento è una città del “non-più” e del “non-ancora”: non è più la città delle grandi industrie e, come conferma tanta letteratura, ha cominciato a ragionare sui costi ambientali, sanitari, paesaggisti di quella stagione. Ma è anche una città che non ha ancora individuato, nella nuova geografia della regione e del paese, un suo ruolo: da questo punto di vista il lavoro che la comunità e l’amministrazione locale stanno facendo negli ultimi anni è legato a mobilitare le risorse locali per la ricerca di nuove strade.
Ci piace pensare al concetto di territorio non in senso geografico ma come insieme delle relazioni sociali di un luogo. A Brindisi e dintorni dove si riconoscono esperienze che creano, tra inevitabili limiti e contraddizioni, relazioni sociali diverse?
Ce ne sono diverse di esperienza nuove e importanti, nonostante qui si registrino tassi di vitalità sociale, culturale ed economica inferiori ad altri angoli della Puglia. Questa caratteristica è stato il punto di partenza per progettare le politiche di Palazzo Guerrieri (sede del Brindisi Smart Lab, nato per favorire l’innovazione sociale e tecnologica e diventato un riferimento dell’Assessorato comunale alla Programmazione, Economia e Sviluppo, ndr), cioè l’idea che servisse alla città lavorare sul vivaio, lavorare per sostenere organizzazioni che provassero a costruire forme di impresa sociale incrociando le vocazioni del territorio. Palazzo Guerrieri in pochi mesi ha seguito la nascita di oltre venti organizzazioni. Così è emerso, ad esempio, un cluster interessante di imprese che si occupa di fruizione della città da un punto di vista turistico. In modo analogo, si è formato un gruppo di imprese che lavorano sul nuovo welfare, dalle disabilità all’invecchiamento della popolazione, come dimostra la recente inaugurazione di un co-housing per persone anziane. Insomma, l’elenco sarebbe lungo… Alcune esperienze, come Ex Fadda e Ex Farm, sono nate in provincia e dialogano con la città. Tuttavia il territorio è in continua ricerca. Per dirla con Franco Arminio, cito a memoria, Brindisi è ancora un cartello di svolta nella superstrada per andare a Lecce…
Ex Fadda. L’officina del sapere

Nel quartiere di periferia Sant’Elia hai visto nascere la cooperativa “Legami di comunità”. Perché una cooperativa di comunità può aprire orizzonti importanti per il territorio?
Sono sempre stato convinto che le politiche pubbliche non possano essere progettate soltanto dalle istituzioni. Per essere efficaci devono essere pensate insieme ai cittadini e alle cittadine, in una logica che tanti chiamiamo generativa, cioè che prova a chiedersi non quante risorse ci sono da spendere e per quali target, ma quante risorse si possono mobilitare coinvolgendo alcune comunità. Questa declinazione del principio costituzionale di sussidiarietà è il valore delle cooperative di comunità. È stato questo il motivo per cui, quando sono stato assessore a Brindisi, abbiamo lavorato molto per affiancare “Legami di comunità” nella sua fase di costituzione, ma anche per dargli un ruolo rispetto ad alcune strategie di governo del territorio che nel frattempo cercavamo di mettere in campo. L’iniziativa Parchi Bene Comune, che affida la gestione del Parco Buscicchio, è dentro questa logica, così come il progetto delle scuole aperte e partecipate. Permettere che i cittadini si autorganizzino per obiettivi collettivi è una strategia fondamentale per le politiche pubbliche, tanto più ai tempio della crisi dei corpi sociali intermedi.
Come è possibile, in particolare, favorire le esperienze delle “scuole aperte e partecipate”?
Come tutte le istituzioni democratiche anche la scuola è sottoposta a forti stress e vive una crisi di consenso: per questo occorre ripensarla e ridarle nuova centralità rispetto al raggiungimento di obiettivi collettivi. Oggi parliamo sempre più spesso di comunità educante, la scuola non viene pensata solo come erogatore di servizi formativi ma come una sorta di piattaforma per costruire la crescita della comunità intrecciando percorsi di welfare, di rigenerazione urbana e, ovviamente, di lotta alla povertà educativa. Un’infrastruttura sociale, dunque, che non sia aperta soltanto nelle ore didattiche e che sappia dialogare ogni giorno con il quartiere. La differenza, come sempre, la fanno prima di tutto le sensibilità di chi abita queste istituzioni: abbiamo bisogno di insegnanti e dirigenti scolastici coraggiosi e coraggiose, in grado di hackerare il senso delle istituzioni.
Come rafforzare la partecipazione dei genitori?
Non ci sono ricette. Possiamo però creare alcune precondizioni per provare poi a innescare la partecipazione. Servono, ad esempio, leadership che interpretino il proprio ruolo in termini di servizio. Servono persone che siano disposte a praticare la prossimità, cioè a passare molto tempo nei territori, tra i problemi della vita di ogni giorno delle persone. Infine, servono luoghi nei quali le persone possono incontrarsi.